«Hai paura della notte?

NC17,Adult Content,Non-con,Long Fic

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  1. MiikHy_Deafening
     
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    per voi *^*
    grazie ragazze,, ve lo avevo promesso v.v

    Autore: Me xD
    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...










    « ● Hai paura della notte?





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    XII Capitolo








    Chiusi gli occhi e sospirai riaprendoli poi per vedere il suo fantastico viso, triste, dolce, semplicemente fatato, che tentava di accennare un sorriso mal riuscito mentre, in piedi davanti al portone del suo enorme palazzo, dava le spalle ad una schiera di persona tutte dall’aria piuttosto ricca e benestante.

    E poi vi era una donna che da come Bill l’aveva chiamata, aveva il nome di Margot, e lo fissava, fissava prima Bill e poi me negli occhi, tentando di capire cosa fosse accaduto, che cosa ci fosse tra me e lui.

    Lo vidi digrignare piano i denti, abbassare il capo imbarazzato ed imporporare di nuovo le sue guance per poi fissare quelle magiche pozze cioccolato su di me, indeciso su cosa dire o meno.
    O su cosa fare o meno.

    -A-Allora grazie di tutto Tom- trillò piano balbettanto imbarazzato e attorcigliandosi le mani.
    Avrei voluto prenderlo in braccio e appoggiarlo su quella parete bianca di fronte a noi per baciarlo e sentire di nuovo i suoi gemiti sommessi riempirmi le orecchie e farmi entrare in estasi.
    Ma non lo feci.
    Non potevo farlo.
    -Di niente Bill, è stato un piacere ospitarti a casa mia- risposi garbato sorridendo al suo sguardo grato.
    Stavamo mettendo su una scenetta un po’ patetica ma abbastanza credibile per far pensare a tutti che semplicemente il nostro era stato solo una specie di pigiama party.

    -La prossima volta che vieni a trovarmi chiamami così caccio via i miei genitori- feci una risata forzata.
    Secondo il copione ora avrei dovuto dire qualcosa da bravo ragazzo di città.
    -O almeno prima dico loro di fare la spesa, scusa se il frigo era mezzo vuoto, mia madre è una gran mangiona-
    E sorrisi ancora, questa volta realmente guardando gli occhi del mio Bill in piedi davanti a me, nella sua piccola corporatura e nella sua angelica e particolare bellezza e ingenuità.

    -Certo, scusami te Tom per essere arrivato così all’improvviso. Ringrazia i tuoi genitori- disse infine guardandomi insistentemente di nuovo negli occhi.

    O sì, capivo cosa mi voleva dire.
    Anche io avrei voluto salutarlo in un altro modo, ma l’unica cosa che potei fare fu dargli due baci sulla guancia e salutare con una stretta di mano quella Margot per allontanarmi poi a malincuore da quella bellissima casa, sotto lo sguardo tristemente frustrato di Bill.

    Come se avesse avuto di nuovo per un attimo la voglia di scappare, e qualcosa, qualcosa di tremendamente cattivo ed egoista, lo avesse tenuto chiuso lì, in quella casa.





    *







    Avanzai di alcuni passi sentendo la porta chiudersi dietro di me.
    Sospirai.
    Margot, mia madre, i nostri dipendenti, erano subito corsi ad aprirci la porta come avevamo sperato.
    E lì avevamo fatto finta di non aver notato nessuno di loro, e di essere dei buoni amici.
    Avevamo finto per far credere a mia madre che avevo un amico, un amico di buona famiglia, con cui avrei potuto passare magari qualche serata a casa mia o a casa sua, una semplice scusa per poter stare insieme.

    Salii le scale sconsolato sentendo il marmo gelido filtrare la sua freddezza nelle ossa.
    Non rivolsi una parola né a Margot né tantomeno a mia madre che, da quando me ne ero andato, sicuramente era restata giorno e notte a sperare che il suo primogenito non fosse morto ammazzato da qualche parte.
    A pensare ad un modo per averne un altro.
    Tutto purché un figlio che diventasse avvocato, un figlio che portasse a casa una famiglia.
    Sorrisi pensando che uno scopo almeno lo avevo raggiunto.
    Mi ero trovato un amico. Per quanto l’odore del tutto fosse diventato doppiamente schifoso e insaziabile, l’odore di Tom era diventata la mia scorta personale di ossigeno pulito.

    E sorrisi pensando anche però che mia madre non avrebbe avuto dei nipotini da accudire.
    Almeno fin quando Tom non sarebbe stato più il mio unico e irremovible punto di riferimento.
    E qualcosa mi diceva che questo era impossibile.

    Aprii le due porte che portavano nella mia stanza.
    Mi buttai sul letto dopo aver richiuso bene il tutto, e iniziai a fissare il soffitto in legno dandomi mentalmente dello stupido per aver deciso di ritornare a casa.
    Ma avevo visto in Tom qualcosa, forse del nervosismo, non sapevo bene.
    Non ero affatto stupido, sapevo comprendere le persone intorno a me per quanto poco sapessi relazionarmi con la gente.
    Tom aveva paura che se fossi restato sarebbe accaduto qualcosa, e il fatto che i suoi genitori non ci fossero mi dava proprio parecchio da pensare.
    E cosi, anche per non far preoccupare ulteriormente la mia famiglia avevo deciso di tornare a casa, di rimettere piede in quell’inferno, e lasciare Tom andare via…senza poter dargli nemmeno un ultimo bacio.

    Chiusi le balpebre piegando le braccia spalancate e chinandomi su un lato.
    Poi avvicinai la mano nella tasca e né tirai fuori un piccolo pezzettino di carta stropicciato con un’annotazione a penna, la sua scrittura veloce e un po’ imprecisa.
    Lì vi era segnato il suo numero telefonico.
    Avrei potuto chiamare il mio Tom quando volevo io.
    Mi diedi mentalmente dello stupido pensando al: Mio Tom.
    Io non sapevo ancora nulla di lui e avevo avuto anche il coraggio di definirlo mio.
    Ma io ero solo suo, di questo ne sarebbe stato sempre più che certo.

    E Tom infondo prima di tornare a casa sua, mi aveva baciato con passione come solo lui sapeva fare e mi ero sentito sciogliere, e lo stomaco sfarfallare contratto, e le dita delle mani arricciarsi, e il cuore saltare un battito, e farmi capire che Tom era la mia unica fonte di salvezza.

    L’unica vera persona alla quale volevo bene.

    L’unica persona per cui avrei dato tutto e perso persino la vita.

    Era un qualcosa che aveva sconvolto la mia esistenza.
    E come una ragazzina alle prese con la sua prima cotta, e infondo era anche un po’ così, iniziai a fantasticare su ciò che avremmo fatto l’indomani a scuola, peché ci sarei andato solo per veder di nuovo lui.

    E mi chiesi che cosa stesse facendo in quel momento, così ingenuamente, da pensare se stesse sul letto a riposarsi o con la sua solita faccia da sbruffone a rullarsi una di quelle maledette canne.





    *







    -Cazzo mi ha macchiato le scarpe- sbraitò Georg ripulendosi la punta dei suoi stivali nuovi di pelle dal sangue che era andato a schizzare fino a lì.
    Ghignai dandogli una pacca sulle spalle e sorrise anche Gustav arrivandomi da dietro.

    Quando Bill se ne era andato, come solito ero tornato nel mio covo.
    E giustamente avevo trovato bella fresca la notizia di altre bande da eliminare.
    -Così imparanno ad invadere il nostro territorio- disse Georg guardando in faccia un ragazzo che aveva tirato su dal colletto e al quale sputò dritto dritto in faccia.

    La strada illuminata dal tramonto di Berlino fece si che filtrasse un po’ di luce all’interno di quel vicolo di città dove i bidoni e la spazzatura ricoprivano i contorni di quei luridi edifici, e i bambini correvano scalzi rincorrendosi, e le madri tornavano dai loro sudici lavori.
    E i ragazzacci giravano fumandosi spinelli tra le strade.
    E ascoltando musica Hip-Hop.
    E pensando solo al sesso e alla droga.
    E pestandosi a vicenda.
    Per ritagliarsi un posto in quella società.

    Sentii Andreas ridacchiare nell’ombra di quel vicolo con un piede sul corpo svenuto di uno dei quei quattro sfortunati che c’erano capitati a tiro.
    Non mi facevano affatto pena.
    Non erano nulla, avrei potuto ammazzarli e non sentirmi rattristato per la loro fine.
    Ma non lo avrei mai fatto.
    Uccidere era contro i miei prinicipi.

    -Capo, sai che presto arriveranno anche gli altri loro compagni?- rise portandosi tranquillamente la canna alle labbra e aspirando piano.
    Io ghignai sputando della saliva a terra.
    La felpa nera completamente sporca di terra e di sangue.
    Le mani segnate dalle solite avventure, dalla solita routine.

    -Evvai, ci sarà da divertirsi- sgnignazzò il castano dai lunghi capelli piastrati muovendoli con una mano per allontanarli dai suoi occhi.
    -Si, era l’ora cazzo- ammise Andreas buttando il filtro in una pozzanghera verdastra.
    -Bene, allora siete pronti vero?- dissi io atono








    Picchiare, scopare, fumare. Questo mi piaceva, il resto era totale indifferenza.

    Ah si, e lui, più di tutto il resto stranamente.





    -Eccoli, stanno arrivando- mi voltai verso Gustav, e alle sue spalle vidi altri cinque o sei ragazzi prepararsi a prenderle di santa ragione.





    *







    Presi il cellulare.
    Cancellai l’sms.
    Lo riscrissi ancora, ma non andava bene.
    Sbagliai a scriverne un altro salvandolo poi per sbaglio a bozze.
    Lo cercai, e lo cancellai tentando di crearne uno decente.
    E alla fine sbuffai buttando indietro la testa sui cuscini rossi e blu del gran tappeto.
    Il silenzio assordante della stanza.

    Niente sms





    *








    Altro sangue schizzò veloce spruzzandomi sui pantaloni e sporcandomi le nocche delle mani.
    -Pietà- sussurrò col labbro gonfio e sanguinante il ragazzo davanti a me.
    I miei compagni avevano appena finito di massacrarli fino a farli diventare carne da macello.

    Sorrisi.

    -Non c’è pietà per chi non rispetta le mie leggi- sussurrai.
    E gli diedi un ultimo grandissimo pugno sulla guancia
    mentre il cellullare nella tasca prendeva a squillare.

    Lui ricadde all’indietro sbalzando sopra ad un suo compagno sicuramente già svenuto.
    Schizzando il sangue uscito dalle labbra sul cemento.
    Piegando la testa indietro quasi a spezzarsi il collo.



    Uno squillo.




    -Bill- sussurrai sorridente.










    Un sorriso da psicopatico.






    Le dita sporche di sangue che scivolavano frenetiche sui tasti per poterlo ricambiare.




















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