«Hai paura della notte?

NC17,Adult Content,Non-con,Long Fic

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. MiikHy_Deafening
     
    .

    User deleted


    allora ragazze ç___ç
    eccomi qui.
    Volevo scusarmi apertamente con tutte, tra una cosa e l'altra, tra la pigrizia e tra la memoria fracica ho dimenticato completamente questo forum ç_ç
    Ma ora che leggo tutti i vostri commenti...pensavo che ve ne eravate dimenticate e invece...eravate tutte qua ç^ç
    poi avete scoperto il plagio, vi giuro, quando schrei483 mi ha mandato l'mp e me l'ha detto sono morta di tristezza, non tanto per quello ma per il forum, perché davvero voi stavate ancora qui ad aspettare ç^ç

    Non accade in nessun altro forum, davvero, quindi vi ringrazio con tutto il cuore.
    Farò una lista di tutte voi,, ù_ù lo giuro.
    E poi non so per cosa ma mi servirà xD
    Poii ora metto questa sezione in preferiti sul nuovo pc, e inizierò anche a postare Love-Game(over) qui, appena appena iniziata ** e verrò ogni giorno a rispondere a voi e a trovare un pò di calore, perché siete davvero state dolcissime ç___ç

    *si mette la tazzina di cioccolata calda in testa*
    e adesso... postiamo

    Autore: Me xD
    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...











    « ● Hai paura della notte?




    image













    XXII Capitolo.









    Ciao Tom, sono Georg.
    Ho ricevuto una chiamata, era Ris e con lui c'era anche James.
    Ha detto che deve dirti delle cose, le ha già dette a me.
    Non ti incazzare perché non sono stronzate.
    Dice di aver già visto Bill, in ospedale tanto tempo fà.
    è una cosa seria.
    Fatti sentire appena puoi.













    *

















    -Attenti, fate piano. Bill tesoro, bentornato a casa-
    Scesi dalla macchina, o meglio... mi fecero scendere.
    Jared mi teneva in braccio mentre io, lo sguardo vaquo e le mani rannicchiate in grembo, guardavo senza vita il palazzo di fronte a me.

    -Entrate, presto. Fatelo sedere sul divano!-

    Sentii il freddo di quel luogo entrarmi nelle ossa quando venni comodamente lasciato giacere su quella morbida copertura bianca mentre lo psichiatra e tutti, non ricordo chi, mi stavano intorno.
    Mi guardavano, mi sorridevano.
    Mi compativano.

    Io comprendevo tutto seppur la mia mente non fosse del tutto chiara.

    -Bill, mi senti? Dimmi come va?-

    Come poteva andare dopo esser stato mesi rinchiuso in una stanza senza aver visto né i propri genitori né nessun altro al mondo se non uno stupidissimo dottore e la sua faccia orrida?

    Sospirai, un sospiro tremulo.
    Non riuscivo a muovermi e non riuscivo a dire niente.
    Avevo quasi paura.


    -Dimmi con un cenno se hai bisogno di qualcosa o meno-

    Osservai il suo sguardo, quasi speranzoso, ma non dissi niente.
    Ne mi mossi un poco.

    -Bene- mormorò tirandosi sù.
    -Spero che come ho richiesto la nuova camera di Bill sia insonorizzata!-
    -Si- rispose Margot guardandolo tempestiva.
    -Benissimo, nè servirà. Verrò qui ogni giorno. Mi raccomando di NON farlo uscire, NON fargli vedere né sentire temporali ed altro. Sangue, notte, non parlare assolutamente di tutto ciò-

    Sussultai.

    Notte.


    -Hai paura della notte?-





    Ho paura?

    Rannicchiai le gambe al petto e strinsi le mani sulle orecchie strizzando gli occhi per non sentire altro.

    -Hai paura della notte?-


    Ho paura?


    -Hai paura?-
    -HAI PAURA???-






    Singhiozzai.


    Tutti si voltarono velocemente verso di me.
    Lo psichiatra corse subito accanto alla mia figura, tutti si zittirono, Margot impaurita ci guardava.

    -Schhh Bill non è successo niente-
    Un singhiozzo, più forte degli altri.

    -Portatelo in camera sua, subito, e non disturbatelo più. Non vi avvicinate, tutti questi odori sono per lui già qualcosa di nauseabondo, lasciatelo stare per conto suo in silenzio per un pò-

    Singhiozzai ancora sentendomi tirare sù.

    Dove mi stavano portando?

    Chi erano?

    Che volevano da me?

    Sprofondai il viso tra le mani e sentii la mia testa appesantirsi.
    In un batter d'occhio mi addormentai come se fossi svenuto da un momento all'altro.

    Sentii solo delle voci, un qualcosa formicolare nelle orecchie prima di cedere del tutto.

    -Se continuerà a svenire in questo modo chiamatemi appena succede. Non è un buon segno, vuol dire che la sua mente appesantita sta quasi per scoppiare. E trasformarsi in pappa.-
    -Dottore...-

    -Una cosa del genere- continuò - può far diventare le persone pazze.-













    Spalancai gli occhi guardando dritto il soffitto davanti ai miei occhi.

    Tom!

    Mi voltai alla mia destra tastando il lenzuolo accanto a me.
    Vuoto.

    Mi rizzai a sedere e subito notai un fogliettino poggiato sul cuscino.


    Ho avuto da fare, ma non preoccuparti torno presto.
    Vai a scuola e non cacciarti nei guai.
    Tom.


















    La macchina di Jared si fermò poco distante dalla scuola.
    L'edificio, brulicante di ragazzi che entravano e sostavano di fronte alla sua entrata, mi diede un'immancabile senso di smarrimento e la voglia di sorridere scomparve del tutto.

    Come se la mancanza di Tomi non potesse già bastare.

    La scuola mi esasperava.
    Mi esasperava pensare che avrei rivisto quel dannato professore, mi esasperava pensare che Tom non era accanto a me.

    Pensando che ero solo, solo senza ossigeno, in un luogo dove un qualcosa, un qualcosa di spiacevole, un qualcosa di infantile, mi faceva ricordare flash senza senso, ricordi di un passato solitario ma tranquillo prima di conoscere l'inferno.

    -Arrivederla signorino Trumper-
    -Arrivederci Jared, grazie- sussurrai, ma era già sparito nella limousine dietro di me.
    Sospirai stringendomi lo zaino sulle spalle, come ogni singola mattina davanti a quell'edificio.
    Infondo vivere quella situazione poteva in qualche modo farmi vivere sensazioni più che normali, vivere un qualcosa che fosse anche uguale agli altri, almeno per poche ore della mia esistenza.
    Essere normale.

    Magari potevo guarire o almeno anche solo cambiare, magari avrei potuto concedermi un pò più a Tom, e arrossii a quei pensieri.

    E avrei potuto renderlo un pò felice, e...non annoiarlo come sempre.

    Non volevo che Tom mi lasciasse e stupidamente pensavo che anche se mi amava così tanto avrebbe potuto comunque stancarsi di me da un momento all'altro.

    E lasciarmi solo, solo nella notte.

    Senza di lui io non ero nulla.


    Mi ritrovai senza accorgermene davanti alla mia classe.
    I capelli neri e non troppo piastrati che mi ricadevano morbidi sulle spalle, il giacchetto bianco stretto intorno alla mia fragile vita con una morbida pelliccetta intorno al cappuccio del tutto in contrasto con la mia figura completamente scura, gli occhi contornati di un fitto nero risaltavano sulla mia pallida pelle.

    Ovvio che attirassi una grande attenzione su di me, o per il mio modo di vestire o per il mio stupido modo di essere non facevo altro che far fraintendere chissà cosa alla gente.
    Ma il mio trucco, il mio modo di vestire non lo avrei cambiato mai.
    Era il mio stile, era ciò che insieme, io e lui, avevamo creato.

    -Questo è per te!-
    -Un regalo?-
    -Un regalo speciale-
    -Che cos'è?-

    Glielo sfilai dalle mani, le nostre piccole e candide dita che si incontrarono in un gelido e morbido tocco.
    -Una collana, una collana nera, ti sta bene- e mi sorrise con il suo tenero visetto da bambino.
    -Mi piace quando mi trucchi così-
    -E a me piaci truccato così!-

    Misi la collana e alzai il mio sguardo su di lui. Pieno e trabboccante di felicità.
    Vera e pura, semplice felicità.




    -Ti voglio bene William-

    -Ti voglio bene Bill-









    Ingoiai ripensando a quegli amari ricordi.
    Aprii la porta e un vortice di odori mi investì in pieno.

    Il professore di sostegno questa volta seduto accanto a quel Josh, forse il ragazzo meno intelligente che avessi mai conosciuto in vita mia, anche se infondo ne avevo conosciuti davvero pochi, alzò lo sguardo verso di me con occhi di fuoco, ma tentai innoquo di non notarlo sedendomi silenziozo al posto di Tom, vicino a quella finestra, pensando ovviamente a lui.

    Non cacciarti nei guai.
    Tom.



    Ma io infondo non potevo preoccuparmi un pò di lui?
    Chissà dove o in che postaccio era andato...



















    Quando suonò la ricreazione mi alzai in piedi prendendo in mano il mio cellulare, in quella classe prendeva a mala pena e se Tom mi avesse chiamato si sarebbe sicuramente preoccupato troppo come sempre.
    Uscii dalla classe tentando di non scontrarmi con nessuno e stando attento ad aspirare prima una sana e pulita boccata d'aria, cercando di non dare nell'occhio, e mi immischiai nel corridoio principale.
    Brulicante di ragazze e raggazzi.
    Sorridenti.




    -Bill...allora ci vediamo!- sussurrò toccandomi ancora le mani tra le sue.
    Il suo accento americano mi fece scoppiare in una dolce e serena risata seguita dal suo tenue e dolce ridacchiare.

    I capelli neri e lunghi che ad ogni minimo movimento mi accarezavano le spalle. William li aveva ben pettinati.
    Il trucco nero che spolverava morbido i miei occhi come lui stesso adorava truccarmi spesso.

    Ci eravamo conosciuti non so quanto tempo prima, un giorno in cui piccino mia madre, la sua prima ed ultima volta, mi aveva portato ad un parco lontano dalla nostra casa.
    Il posto era sempre lo stesso, William abitava in una casetta proprio poco lontano da lì, in quel quartiere malfamato sempre però ricco di bambini.
    Lì eravamo ora, in quel parco, anni e anni dopo.
    Ora avevamo ben dieci anni ...per la precisione.

    La mamma di William era malata, lo era sempre stata per quanto ricordassi, e così quando poteva uscire portava con se tutti i trucchi della madre, le sue spazzole, i suoi profumi, e mi faceva sedere a terra, sulla sabbia, mentre felice mi preparava come se fossi la sua piccola bambola.
    E lui era il mio bambolotto.
    Io e William saremmo stati insieme per sempre.

    Avevo sempre pensato che lui facesse tutto questo per la mancanza di una vera madre, mi trattava come se fossi il suo bambino ed io lo trattavo come se lui fosse il mio.
    Io e William eravamo amici per la pelle.
    Come diceva lui, lui amava stringermi le mani e ripetermelo ore ed ore.

    Quel giorno stranamente però si era fatto scuro, il cielo preannunciava sicuramente un temporale.
    Così lo avevo guardato, mi aveva stretto forte le mani, mi aveva detto scherzosamente con la sua vocina da bambino -Forse dovremmo andare-
    Ed io guardandolo sorridente avevo annuito e avevo stretto la sua mano tra le mie.

    I capelli biondi e corti che rispecchiavano i tenui raggi solari, la carnagione bianca, gli occhi ricchi di bontà.

    -Jared non è arrivato. Torno a casa solo.-
    -Non farlo. Si farà buio-
    -Ma io sono forte-
    -Le principesse non sono forti sono belle-
    -Io sono la tua principessa?- sussurrai stringendo più forte le sue mani.

    Lo vidi sorridere e scoppiai anche io.
    -Devo andare William-

    -Ti amo Bill-
    Detti un casto bacio sulle sue tenere labbra.

    -Ti amo William- e mi allontanai da lui.
    -Non cacciarti nei guai!- sussurrò triste vedendomi allontanare da quel parco.

    Le altalene che cigolavano al vento che piano piano si stava levando.

    -Non avere paura, si sta solo facendo notte. Io non ne ho-
    e detto questo mi allontanai dal mio piccolo angelo.
    Per sempre.






    -Hei puttana dove stai andando!-
    E ad un colpo le mie spalle sbatterono contro gli armadietti.







    *








    Georg cazzo non sono potuto venire.
    è successo un casino, a casa.
    Aspettami, ti chiamo appena posso.
    Tom.









    Digrignai i denti quando la sua figura crollò del tutto su di me.
    I suoi ricci lunghi e biondi che ricadderro sulle mie labbra, la puzza di alcool e sigaretta che impregnavano la sua pelle fino all'osso.

    Sorressi mia madre spostando con i piedi le bottiglie a terra, le lacrime che scorrevano sul suo viso che mi bagnavano la maglia.

    -Eppure- singhiozzò per il troppo alcool - io credevo che avessi fatto bene a portarmelo a letto-

    Sorrisi lasciandola sdraiare sul divano.

    Quando l'avevo vista svenuta tra le bottiglie mi era preso un emerito infarto, ma dopo una cioccolata calda e un pò di cibo, si era risvegliata del tutto, o quasi.

    Cazzo, io dovevo, volevo, correre da Georg, il suo messaggio mi aveva già troppo incuriosito. Lasciare Bill quella mattina era già stata una grossa frustrazione e non poter andare da lui era qualcosa che mi stava uccidendo.
    Volevo stringerlo nelle mie braccia e baciare la sua pelle.

    Guardai mia madre oramai addormentata sul divano e sorridendo mi avvicinai a lei.

    -Ora devo andare mamma- sussurai.
    -Bastardo di un figlio mai voluto- disse con la voce impastata dal sonno.
    -Ti voglio bene anche io- risposi poi uscendo dalla stanza.




    Con un sorriso amaro in viso.

    Io a lei gli volevo bene davvero.











    *











    Che cosa?...


    Sentii un dolore forte colpirmi alle spalle quando improvvisamente caddi su quella superficie fredda.

    Ero intontito, non capivo come potessi aver fatto a cadere, chi piuttosto mi avesse spinto con tanta potenza e cattiveria.

    Alzai lo sguardo e lo incrociai con un branco di ragazzi davanti a me.

    Gli altri studenti che indifferenti passavano dietro di loro senza badare a noi, come se quelle fossero scene di tutti i giorni.

    -Che...che cosa volete?- sussurrai impaurito spostando il mio sguardo su colui che sicuramente mi aveva dato quella spinta.

    -Cosa vogliamo? Hei, lo avete sentito? La troia ci chiede cosa vogliamo?- rise di scherno guardando i suoi compagni.
    Poi si riavvicinò a me e mi diede un altra spinta, più forte.

    Strusciai nel cadere la mano sull'armadietto dietro di me tagliandomi per sbaglio un dito, ne sentii il pizzicore tenue.
    L'odore metallico.

    -Vogliamo che ce lo ciucci anche a noi, è!-
    -Non capisco che state dicendo!-

    Un altra spinta, delle mani appicciate alle mie spalle.

    -Ti diverti con il tuo amichetto Tom, vero? Ti diverti a fare la sua troia, tanto è l'unica cosa che sai fare!-

    -Io non sono la troia di nessuno- sbottai esasperato guardando spaventato il ragazzo davanti a me.

    Troia di chi?
    Non era colpa mia.

    Quella notte non era stata colpa mia.

    -Puttanella smettila di dimenarti cazzo!-



    Spalancai gli occhi, giusto in tempo per vedere un cazzotto andare dritto dritto a schiantarsi contro la mia guancia.

    Sentii il sapore del sangue mischiarsi alla saliva e impregnarmi la gola, scendendo giù, piano, come quella sera.

    -Cosa cazzo fai? Se Tom lo viene a sapere ci ammazza a tutti- disse il suo compagno mettendo una mano sulla sua spalla.

    Non vedevo niente, o almeno la loro sfocata immagine davanti a me.

    Stava piano piano impazzendo tutto.

    Vedevo le loro facce parlare e non sentivo i suoni. La gente camminare e correre restando poi ferma.
    Tutto sbatteva sulle pareti della mia mente e rimbombava come se il mondo stesse collassando su se stesso.

    E la mia mente stesse pian piano scoppiando.

    Inclinandosi su se stessa come un vetro spaccato.

    -Non lo farà- degrignò i denti e mi guardo stringengo la presa sulla mia maglietta tirandomi su fino alla sua altezza. La schiena che strusciava contro quei duri armadietti.

    Il corpo gracile e magro tra le sue mani, un rivolo di sangue che per via della posizione sciovolava fuori dalle labbra.

    Gocciolando a terra e rimbombando in quel vicolo vuoto.



    -Puttana- mi sputò in faccia, per lasciarmi andare e cadere seduto con un tonfo a terra.

    Si allontanarono, forse fu così, ma non li vidi affatto, in realtà non vidi nessuno.

    Mi attappai le orecchie.
    Non sentivo alcun suono eppure sentivo le orecchie esplodere.

    -Puttanella-


    No...

    -Per favore lasciami, ti prego-
    -Non scherzare, adesso ci divertiamo-


    No...

    -Tu sei la mia Troia-



    Io non sono la troia di nessuno!


    O forse si...


    -Ti diverti con il tuo amichetto Tom, vero? Ti diverti a fare la sua troia, tanto è l'unica cosa che sai fare!-



    Mi alzai di scatto ignorando il dolore delle gracili ossa e iniziando a correre verso una meta del tutto oscura.
    Volevo scappare, scappare come sempre.



    -Ma non puoi scappare, non puoi, mi dispiace piccolo-





    Sbarrai gli occhi ritrovandomi a sbattere contro un professore.

    Alzai lo sguardo, ma non sapevo cosa vedere, cosa c'era avanti a me.

    Io vedevo solo il fumo e sentivo solo ciò che la mia mente voleva farmi sentire.

    -Signorino Trumper, va tutto bene?-

    Lo guardai spaesato, sentii il mio labbro spaccato bruciare piano, sentii il suo sapore pungente in bocca e la mia mente urlare cose ormai passate.

    Forse vidi anche la faccia di William.



    -Sei così bello Bill. Tu avrai una vita serena amico mio-
    -E l'avrai anche tu-

    -E l'avremo insieme...-




    Poi svenni schiacciato dalla pesantezza della mia stessa anima.





























    Quando aprii gli occhi il bianco delle pareti fecero sì che li dischiudessi appena.

    Il letto morbido e bianco sotto di me lasciò che ricordi e flash back del passato mi facessero rizzare a sedere per controllare se tutto non fosse tornato indietro e la vita non fosse stata tutto un sogno.

    Od un incubo.

    Ed incontrai lo sguardo di Tom, serio e cupo, seduto accanto a me.

    -Tomi- sussurrai ed un brivido mi percorse il corpo facendomi azzittire all'istante.
    Il suo sguardo mi faceva male.

    -Chi è stato Bill- disse fermo con una voce fredda che non era solita del mio dolcissimo Tomi.

    -Ecco, i-io...-

    -Dimmi che è stato!- ammonì forte stringendo le mani a pugno.

    Sussultai sentendo le lacrime giungere angli occhi.

    -Non lo so- mormorai piano con la voce tremante -non lo so, non li conoscevo, non riprendertela con me!- continuai portando le gracili mani davanti al volto tentando di coprire i miei singhiozzi ed il mio viso.

    Tremavo, sicuramente Tom se ne era accorto solo in quel momento, e sicuramente si era pentito all'istante del suo gesto, poiché sentii lo stridere forte e veloce di una sedia, e poi due enormi braccia cingermi il corpo coprendomi con la sua grande figura.

    -Perdonami- lo sentii sussurrare stringendo ancora di più la sua presa.

    -Sto impazzendo, quando Andreas mi ha chiamato dicendomi che eri stato portato in infermeria sono subito scoppiato e corso qui da te. Non sai quanto sono stato in pensiero, scusami, scusami- ripetè tra i miei capelli respirando sul mio caldo collo.

    Non dissi niente finché la sua figura non si allontanò dalla mia.

    Il mio corpo continuava a tremare per quanto io non volessi altro che farlo stare immobile.

    Sul mio volto un sorriso amaro.

    Eppure avevo sperato che potessi tornare normale.

    Perché infondo avevano ragione tutti.
    Io non ero normale.
    Non lo ero affatto.


    -Sono la tua puttana Tom?- sussurrai dopo attimi di silenzio tra di noi.

    -Non so chi ti abbia messo in testa questa cosa, ma sappi che non sarà mai così!-

    Lo guardai, eravamo entrambi seri, io tremavo, lui era immobile.

    -Dio sono uno stupido, non faccio altro che ferirti- sussurrai portando una mano sulle labbra, sentendo le lacrime scendere sul viso.

    -Ma cosa, cosa stai dicendo?- una mano mi cinse la vita, un'altra mi fece alzare il capo e le morbide labbra di Tom si impossessarono delle mie sporche di sangue facendomi notare un fastidioso quanto dolce dolore.

    Sentii la sua lingua passare piano su quel taglio come a non volermi fare male, la sua mano aggrapparsi alla mia maglietta nera quasi a volerla strappare dal corpo.

    Mi aggrappavo a lui mentre sentivo il mondo sotto di me pian piano scomparire.

    -Devi riposare- sussurrò staccandosi da me.

    Lo vidi prendere le mie scarpe e scoprirmi piano piano dalle bianche lenzuola.

    -Jared ti sta aspettando qui, devi andare a casa, metterti sotto le coperte e dormire. Sei troppo caldo- sussurrò poggiando le sue labbra sulla mia fronte.
    Tremai ancora.

    -Forse hai persino un pò di febbre-

    Mi infilò le scarpe, il giacchetto e mi prese in braccio, saltai e tremai tra le sue forti braccia, salutando con un cenno l'infermiera fuori quella stanza.
    La mia cartella che penzolava dalla sua forte spalla.

    Quando uscimmo dall'edificio la scuola ed il piazzale adiacente erano già completamenti vuoti da un pezzo.

    Spalancò lo sportello della limousine e mi lasciò sedere comodamente sul sedile, poi appoggiò le braccia con la sua larga felpa nera sul tettino della grossa auto sovrastandomi con il suo caldissimo corpo.

    -Vai a casa mangia qualcosa e dormi senza pensare a nient'altro-

    -E...e te?-

    -Io...ho una cosa da fare.-

    Sicuramente notò la mia faccia delusa.

    Entrò con le braccia nella macchina e mi strinse tra le forti braccia.
    -Ti bacerei se non ci fosse questo qui- sussurrò e con un cenno del capo indicò Jared davanti a noi che impaziente attendeva di partire.

    -Mi manchi, sappi solo questo- continuò respirandomi sul collo.
    -Se ti accade qualcosa, qualsiasi altra cosa chiamami, subito, in qualsiasi ora, in qualsiasi momento. E io sarò da te-

    Poi si allontanò sorridendomi di sbieco.

    -Ciao Bill- e con dolcezza richiuse lo sportello.

    Sentii la macchina mettere in moto, non feci in tempo a fare nulla, vidi la sua figura scomparire aldilà del finestrino nero.

    Avrei voluto piangere, piangere perché lo amavo da impazzire.

    Ma la testa scoppiava troppo di dolore, e notai che nemmeno di piangere mi era ormai più concesso.












    -Non dovresti piangere, non è bene per una principessa come te-
    Una carezza e William mi rubò una lacrima.

    -Mi dispiace per la tua mamma Willy, cosa, cosa posso fare?- sussurai tra i singhiozzi continuando a piangere forte.

    Sorrise amaramente stringengomi le mani, come tanto adorava fare.

    -Stammi per sempre accanto. Basta solo questo-

    Ma non potei rispettare la promessa.







    Ora Dio mi stava dando un'altra opportunità e nel bene o nel male l'avrei rispettata.
    Per sempre.
    Accanto a Tom.








    Dopo mesi e mesi chiuso in quell'ospedale ebbi il coraggio di tornare a vivere.

    -Tra-trasferito?...-
    -Mi dispiace signorino- disse lo psicologo davanti a me.


    Eppure sembrava che stesse mentendo.
    Tanto ormai non credevo più a nulla.


    William, anche lui, mi aveva mentito.




    Ricorda Bill, mai affezionarsi alle persone.
    Pensai.



    Mai.
    Le persone fanno solo male.






    Sentii delle braccia forti poggiarmi sotto le coperte, le mani di Jared che piano piano mi stendevano sul letto della mia camera, ma dinuovo sprofondai nel sonno.





    -Wi...Willy, chi è lui?-
    Guardai William mentre, come solito, seduti in quel parco giocavamo.

    -Lui? Sorridi Bill. Lui è mio fratello James-
























    ****
     
    Top
    .
994 replies since 8/3/2009, 11:23   50513 views
  Share  
.