«Hai paura della notte?

NC17,Adult Content,Non-con,Long Fic

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  1. MiikHy_Deafening
     
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    aaaaaaaaaaaaaaw vi ringrazio tesore ç_ç
    posto posto, one moment u.u

    Autore: Me xD
    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...






    « ● Hai paura della notte?




    image











    XXXVI Capitolo.





    Mossi leggermente la testa socchiudendo gli occhi e aspettando un qualcosa che presto arrivò. La luce proveniente dalle persiane aperte mi colpì in pieno viso facendomi girare la testa così forte che mi rigirai a riccio coprendomi dalla luce mattutina.
    Mugugnai sentendo le palpebre pesanti e la testa pulsare mentre una strana sensazione mi ingarbugliava persino le ossa lasciandomi completamente intorpidito.

    Soffocai un gemito e tentai di ritirarmi ancora un pò più in sù con la testa lasciando che la luce colpisse il mio braccio nel quale gli occhi erano nascosti.
    Non avevo mai vissuto le conseguenze di una sicura sbornia, e se erano quelle di certo non avrei bevuto mai più in tutta la mia vita.
    Soffocai al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se mi fossi anche solo tirato a sedere, ma di certo avrei almeno dovuto aprire gli occhi e tentare di capire dove ero capitato e dove era Tom.
    Sospirai tenendo gli occhi serrati e voltandomi facendo in modo che la mia testa fissasse intensamente il soffitto.
    Un passo era fatto, ora bisognava semplicemente farne un altro.

    Aprii lentamente gli occhi ambientando il mio sguardo a tutto quello che era intorno a me. La stanza di Tom, la fantastica e silenziosa stanza di Tom dove tutto era iniziato.
    Sorrisi annusando l'aria dolce e calorosa intorno a me, le coperte pesanti che mi coprivano il corpo, un dolce calore che incorniciava quella strana atmosfera.
    Mi chiesi dove fosse Tom, sicuramente era uscito per qualche commissione, forse aveva qualcosa di importante da fare.
    Non ricordavo maledettamente niente della sera prima. Solo il caldo opprimente, e quel fantastico divano...

    Arrossii decidendo che era arrivato il caso di provare ad alzare il capo.
    Mi tirai a sedere proprio mentre la porta della stanza si spalancava e dei grandi pantaloni XXL strusciavano a terra.
    La testa mi scoppiò in un fuoco d'artificio dai mille colori, la nausea mi salì fino alla gola e mi portai una mano sulla bocca aspettando che la testa smettesse di girare così tanto.
    -Buon giorno- urlò una voce e rimbombò forte da un occhio all'altro della testa.
    Mugugnai di dissenso premendo le mani sulle orecchie.
    -Come stai?- gridò ancora portandomi una mano sulla schiena, piegando le ginocchia seduto accanto al letto.
    -Non urlare- pronunciai con la voce impastata dal sonno.
    -Crisi post-sbornia?- ridacchiò mentre un altro conato di vomito si faceva strada nello stomaco.
    Riportai veloce la mano davanti alla bocca lasciando la mano di Tom a mezz'aria e correndo a perdifiato verso il bagno.
    Spalancai la porta e subito le budella si contorsero facendo sì che riggettassi quel niente che c'era nello stomaco.
    Sentii delle mani fresche e piacevoli posarsi sulla mia fronte mentre un'altra mi tirava indietro i capelli facendo in modo tale che non riuscissero a sporcarsi.
    Rimisi di tutto, o almeno tutto ciò che avevo di rimettibile, e mi tirai in piedi lentamente curvandomi sul lavandino e sciacquandomi subito la bocca.

    Delle mani, dolci e morbide mi cinsero il ventre massaggiandomi lentamente la pancia.
    -Tutto bene?- mormorò lasciandomi appoggiare con il capo alla sua spalla.
    Sussurrai un no incrinato aspettando che in qualche modo riuscissi a ritrovare le forze per potermi almeno girare e ritornare a letto. Capite le mie intenzioni mi strinse più forte a sè e lentamente mi accompagnò in camera aspettando che riappoggiassi la schiena sulla tastiera di legno.

    -Ieri sei stato parecchio male- mormorò premendomi le mani sulla pancia e massaggiando lentamente per darmi sollievo.
    Sorrisi non curante delle sue parole e continuai a gustarmi i suoi morbidi e sfiziosi massaggi.
    Ridacchiò e continuò nella sua impresa.
    -Non ricordo niente della scorsa sera...-
    -Ne ero sicuro- rispose lento accarezzandomi i fianchi con le dita gelide.
    Rabbrividii aspettando qualcosa di più.

    -Oggi devo andare al covo, ma tornerò per pranzo- mormorò facendomi semichiudere gli occhi per fissarlo.
    La luce biancheggiante dell'alba che illuminava i suoi tratti fantastici.
    Avrei voluto passare uno splendido giorno con lui ma sarebbe stato meglio ottenere un pò di riposo.
    La stanza ballava sulle note di una melodia inesistente.

    -Ti aspetto qui-
    -Riposa e vedrai che passerà-
    Mi baciò la fronte e poi scivolai di nuovo verso il basso. Le coperte mi coprirono le labbra.
    -Buon riposo Bill- mormorò sorridente mentre piano piano le palpebre tornavano a scendere.

















    Quando mi risvegliai erano forse le dieci passate. La testa aveva smesso di collassare su se stessa senza fermarsi anche se le immagini intorno a me faticavano ad essere nitide.
    I miei occhi, come l'obbiettivo di una macchinetta scadente, non riuscivano a mettere a fuoco.
    Sospirai frustrato scostando le coperte e poggiando i piedi bianchi sul gelido pavimento della casa.
    Tom sarebbe tornato a pranzo ed io entro tutto quel tempo non avevo proprio nulla da fare.
    Forse avrei potuto aiutare Tom a mettere un pò in ordine la casa.

    Mi avviai verso l'armadio aprendo le ante e sperando di trovare qualcosa leggermente della mia misura. Le statistiche erano del tutto negative ma almeno una maglietta su quattro era di una taglia leggermente più piccola del normale.
    Ne sfilai una rossa poggiandola sul manico di una sedia e cercando poi un paio di jeans abbastanza semplici.
    Mi sarei fatto una doccia e poi di certo, se avessi dovuto mettere a posto, avrei iniziato da quell'armadio completamente messo sotto sopra.
    Sfilai un paio di boxer lasciando che le gote si tingessero di rosso.












    Passai un'ultima volta la scopa osservando il pavimento della cucina brillare sotto i miei piedi. Sospirai prendendo lo straccio ormai asciutto e ripiegandolo al suo posto mentre la casa, piccola ma confortevole, ora aleggiava in un dolce profumo di pulito.
    Sorrisi pensando al bel lavoro che avevo fatto mentre afferravo le chiavi di Tom e prendevo una sua felpa XXL dalla pila di panni ben piegati.
    Mi richiusi la porta alle spalle una volta uscito scendendo lentamente le scale e sperando di aver preso tutto.
    Avrei fatto spesa, comprato qualcosa di buono e magari cucinato un bel pranzetto per il mio Tomi.

    Ero così felice di poter camminare al di fuori di quell'edificio ingoiando a pieni polmoni quell'aria così fresca e lasciando che il gelo mi toccasse il viso e facesse diventare rosso il naso.
    Era una sensazione di vera e propria libertà, ero felice, ero felice di tutto quello che pian piano stavo costruendo.
    Tom e in primis le mie condizioni.
    Forse da un lato peggioravo, sentivo in continuazione i ricordi tornare a galla e le mie paure premere per tornare, ma sapevo che prima o poi tutto sarebbe scatenato in qualcosa che avrebbe detto finalmente la parola fine.
    In qualcosa che sarebbe riuscito a farmi trovare il coraggio di vincere una volta per tutte.

    Passai tranquillo tra le stradine di periferia memorizzando passo per passo le vie ed il percorso che stavo facendo. Non vi era ordine in quella zona di Berlino, le case erano basse e squallide, i mercatini si affacciavano sulle strade popolate da persone che uscivano di casa persino in ciabatte.
    Mi strinsi nella felpa odorando il dolce profumo di Tom, della sua pelle calda e buona. Mi sentivo a mio agio in quei vestiti così larghi e strani. Mi sentivo una parte di quel luogo quasi dimenticato da Dio.
    Eppure quei bambini, quei piccoli bambini che scalzi correvano intorno agli altri ridacchiando dimostravano quella felicità che bambini ricchi mille volte di più magari non avrebbero avuto.
    Se la mia vita non fosse andata come era andata, sicuramente anche io in quel momento non sarei stato così stranamente felice, contento delle piccole cose che rendono bella la vita.

    Sporsi un occhio alle pesche esposte da un signore nella sua piccola bancarella. La frutta colorata era un puntino luminoso in quel grigiore di gennaio.
    Mi chiesi chissà come quei colori fossero così belli anche in pieno inverno e fui felice di constatare che al tocco parevano anche piuttosto buone.
    -Vuole una mano signorina?- chiese quell'uomo anziano guardandomi sorridente.
    Con un sorriso buono, le rughe che incorniciavano dei lineamenti molto moribidi. Le mani rovinate dagli anni e dagli sforzi di tentare di riuscire, di potercela fare ancora.
    Forse aveva una famiglia, forse era solo, ma lavorava per guadagnare quel denaro che forse bastava, forse no, per mantenere anche solo una piccola casa.
    -Si, ne vorrei un pò, grazie- sussurrai con un sorriso mentre quel bravuomo ne metteva un pò in una busta con un guanto.
    -Fanno solo cinque, ecco a lei- sorrise di rimando porgendomi la busta oltre il bancone di frutta.
    Gli porsi una banconota da cinquanta e silenziosamente gli diedi le spalte, non ascoltando i richiami dell'altro.

    Sorrisi incurante, quei soldi non servivano di certo a me.

    Camminai ancora affacciandomi in ogni bancarella possibile sulla via principale e decisi di tornare quando l'orologio del cellulare iniziò a segnare un'ora prossima al pranzo.
    La testa faceva ancora male mentre il gelo invernale mi premeva forte sulle tempie.
    Mi guardai un ultima volta attorno stringendo le buste a me e decidendo di svoltare in una piccola scorciatoia stranamente buia per riuscire a sbucare da lì.
    Strinsi a me la plastica bianca e imboccai il vialetto accellerando il passo per riuscire ad uscire, poi vidi la luce e proprio quando mossi un altro passo in avanti inciampicai su un piccolo cartone lasciato lì a marcire a terra.
    Caddi con il sedere mentre con una mano mi massaggiavo il gomito dolorante che avevo sbattuto sul muro grigiastro accanto a me.
    Ero sempre il solito irreparabile imbranato.

    Stavo proprio per rialzarmi quando un qualcosa mi strusciò sulla mano posata a terra e un brivido mi passò veloce per la schiena facendomi raddrizzare i capelli e scattare all'improvviso dalla parte apposta.

    Un gattino.
    Un piccolo gattino di colore nero simile a un minuscolo e dolcissimo patuffolo si strusciava con il musetto bagnato sulle mie dita lasciando piccoli e morbidi gemiti simili a miagolii incomprensibili.
    Rimasi un pò interdetto spostando la mano a terra e posandola sul suo piccolissimo visino.
    Sorrisi scoprendo i denti bianchi quando mi accorsi che la sua reazione era leggermente spaventata ma curiosa.
    Lo presi con entrambe le mani notando come piccolo si accoccolava tra le dita.
    Poi guardai il cartone, guardai attorno a me, e capii che quel micino era stato abbandonato completamente solo a se stesso in un vicolo buio.










    *







    -Bene... anche il funerale è organizzato, è andato tutto piuttosto liscio-
    Sospirai lasciando andare la testa sullo schienale del divano.

    La madre di Peter, alla notizia della mote del figlio, aveva sbattuto più volte le palpebre e poi... poi era scoppiata in un pianto liberatorio consolata dalle forti e grosse braccia di Georg. Niente che una bevuta ed una scopata con una bella ricompensa avrebbero pututo cancellare.
    Mi chiesi se anche mia madre avesse pianto sapendo della morte di suo figlio. Eravamo tutti bastardi lì, c'era chi si rattristava e chi no, ma alla nostra morte non sarebbe cambiato nulla.
    Eravamo nomi registrati su un documento, alcuni di noi all'anagrafe non c'erano nemmeno mai andati.

    -Bene, allora la questione è chiusa- sospirò Gustav prendendo il giacchetto ed avviandosi alla porta.
    -Io devo andare a casa, ho mio fratello che mi aspetta, ci sentiamo- poi detto questo uscì tranquillamente dalla porta.
    James alzò le mani dalla stufa rimettendosele in tasca.
    -Speravo andasse meglio ieri sera, almeno per voi-
    -Lo pensavo anche io, è stato davvero disastroso-
    Georg spense la sigaretta buttando l'ultima cicca nel posacenere.
    -Non che me ne fregasse nulla, accade spesso, ma almeno la notte di capodanno dannazione-
    -Bill come sta?-

    Alzai la testa sentendomi tirato in casa. Guardai Andreas, impassibile come sempre, che mi osservava seduto su una sedia.
    -Bill sta bene, almeno spero. Non ricorda nulla-
    -Meglio così, non deve spaventarsi per ciò che è accaduto-
    -Già, meglio così. Ma di certo non dovrà accadere più-
    Mi alzai in piedi sfilando il giaccone dall'appendiabiti e poggiandomelo sulle spalle dritte.
    -John-
    -Dimmi capo- rispose una voce dalla stanza vicino mentre una testa si affacciava dalla porta.
    -Te seguirai la loro pista. Cerca di scovarli, abbiamo bisogno di sapere almeno dove sono.-
    -Si Tom- ridacchiò tornando alla sua postazione.
    -Andreas?-
    Andreas ghignò dondolandosi con la sedia all'indietro.
    -Dimmi capo-
    -Te terrai sotto controllo Bill quando non ci starò-
    Aprii la porta lasciando filtrare il vento gelido di Berlino.
    -Ho quasi paura a pensare che possano provare a riusarlo per i loro stupidi giochi-
    Lasciai Andreas annuire per poi fare un saluto generale e richiudermi la porta alle spalle.
    La metro a pochi passi da lì.











    Arrivai in casa che aprii la porta con il doppione delle chiavi, richiudendola come mio solito con un calcio dietro di me.
    Il calore dell'intera casa mi fece arrossire le guance mentre le articolazioni iniziavano a sciogliersi lentamente sotto quel tepore.
    -Bill?- chiamai dolcemente levandomi il giacchetto e lasciandolo ammucchiato all'entrata.
    La casa risplendeva di un ordine che non c'era mai stato.

    -Bill?- chiesi ancora mentre mi affacciavo nella piccola cucina.
    Il tavolo imbandito per due persone, una pentola con del riso che si scaldava sul gas acceso, un cesto di frutta colorata posata proprio sulla mensola accanto alla piccola radio.
    Sorrisi sereno senza un motivo preciso ritrovandomi ad indietreggiare fino all'ingresso.
    -Bill?- chiamai ancora per poi fare un passo in camera mia.

    La luce proveniente dalla lampada rossiccia che illuminava la piccola stanza ordinata.
    Sul letto c'era Bill, gli occhi chiusi e la testa sulle mani. Una area beata stampata sul volto.

    Spalancò gli occhi quando poggiai una mia mano sulla sua guancia.
    -Bill- soffiai sul suo viso mentre osservavo i suoi occhioni contornati di nero.
    Si tirò a sedere, sgranchiò le lunghe braccia e mi guardò, per poi spalancare gli occhi e drizzarsi in piedi.
    -Il riso!- bofonchiò correndo a perdifiato in cucina.

    Scoppiai in una dolce risata.
    -Ho già spento il gas prima che prendesse a fuoco la cucina-
    Lo vidi arrossire mentre davanti al tavolino si apprestava ad allontanare il coperchio dalla pentola.

    -Ciao...- mormorai abbracciandolo da dietro con le lunghe braccia.
    -Ciao- sorrise lui aspettando che lo baciassi sulle labbra.
    Mi sporsi un poco e in un attimo assaporai quei dolci petali rossi.
    Rossi e tremendamente buoni.
    -Hai fatto spesa?-
    -Si, solo per te-
    -Come una perfetta mogliettina-
    Si girò nel mio abbraccio sorridendomi ed intrecciando le mani dietro il mio collo, premendo sulla nuca per intensificare quel dolcissimo bacio.
    -Ti amo- soffiò a fior di labbra stampandomi un altro bacio sulle labbra.
    -Ti amo anche io- risposi sospirando mentre le mie mani scendevano lungo il suo bacino.

    -Indossi i miei vestiti!- ridacchiai tirandomi indietro per vederlo meglio.
    Gonfiò le guanciotte sbuffando e voltandosi dall'altra parte.
    Poi improvvisamente un rumore, ed entrambi ci girammo verso la porta della cucina.

    Un qualcosa di indefinito, piccolo nero e paffutello mi guardava con due pozze scure strusciando la sua codina lungo il legno della porta.
    -Che cos'è quel coso?- mormorai voltandomi verso di Bill.
    Arrossì ancora di più, per quanto possibile, e corse a prenderlo tra le mani lasciandoselo poi cullare tra le braccia.
    -è un micino...- bofonchiò lasciandolo giocarellare con le dita.
    -L'ho trovato abbandonato per strada, mi faceva pena e così l'ho preso, ho fatto male?- mormorò mentre la sua espressione questa volta diveniva di tristezza.

    Non avevo mai avuto un gatto in casa, ma se quel piccino faceva felice Bill, avrebbe anche potuto avere una stanza tutta per se.
    Mi avvicinai a lui muovendo un dito verso quel gomitolo nero e notando che tentava con i dentini affatto appuntiti di mozzicare una mano più grande di lui.
    -Ti assomiglia molto- sussurrai ridacchiando alle mie stesse parole.
    -Tomi...- mormorò.
    -Può restare eccome-

    Non aspettai di veder spuntare un enorme sorriso ad illuminargli il volto. Mi avvicinai a lui e stando attendo al gattino lo afferrai tra le braccia divorando le sue labbra.





    *





    Mi stesi sul letto sotto il caldo tocco delle mani di Tom.
    Lasciai che mi mordicchiasse il labbro mentre lentamente passava le sue calde mani sul mio petto tirando morbidamente la maglietta verso l'alto.
    Me la sfilai lasciandola cadere a terra mentre le mani di Tom mi massaggiavano il ventre creando un dolce motivo immaginario.
    -Ti fa ancora male lo stomaco?- ansimò sull mie labbra mentre le mie dita si infilavano tra i suoi rasta dorati sciolti lungo le spalle.
    -Poco- soffiai veloce gemendo quando una sua mano mi strinse un capezzolo.
    Sorrise sulla mia pelle tracciando una scia di saliva lungo la mascella, mordicchiandomi il collo.
    Il caldo proveniente dalla stufa soffocava entrambi ormai soggiogati dal calore dei nostri stessi corpi.

    -Tom-soffiai mentre scendeva a mordicchiarmi il petto.
    Tentò di levarmi i jeans di due taglie più grandi sorridendo quando si sfilarono in fretta.
    -Questi sono dannatamente i pantaloni giusti-
    -Non li metterò più, sono troppo larghi- risi io gemendo quando mi sfiorò con una mano la pelle al disotto dei boxer.
    -Sei molto sexy- soffiò caldo infilando una mano nel tessuto.
    -Tom!- gridai spalancando gli occhi mentre afferrava in mano la mia erezione già divenuta dura.
    Piagniucolai per i suoi movimenti lenti mentre annaspavo alla ricerca di aria.
    -Più veloce- urlettai aspettando che continuasse in quella danza.
    Lo sentii ridere baciandomi le labbra mentre con la mano mi massaggiava con un movimento lento e regolare.
    Lui ancora completamente vestito su di me.

    -Levati questa maglietta, è una coperta- imprecai tentando di tirarla più su. Premette la sua mano più forte e gemetti nel suo orecchio mentre mi mordicchiava il lobo.
    -Sei fottutamente sexy- mormorò lascivo succhiando la mia pelle tra le labbra.
    -Stronzo- ridacchiai strattonando la maglietta tra le mani bianche.

    Si staccò da me provocandomi un senso di vuoto immenso. Riallacciai le mie braccia dietro il suo collo mentre tentava di sfilarsi la maglia.
    -Bill- ridacchiò spostando le mie braccia dal collo.
    Allacciai allora le mie gambe intorno al suo bacino mentre il suo petto andava a strusciarsi caldo e nudo contro il mio.
    Provai a smanettare con i suoi bottoni mentre poggiava le sue braccia intorno al mio viso sul cuscino e mordeva le mie guance baciandole e succhiandole tra le sue fantastiche labbra.
    -Ti amo- sussurrò stridendo sul mio corpo lasciandomi bloccare per un lungo momento.
    Gemetti riprendendo a schiudere irritato i suoi pantaloni.

    Riuscii ad aprirli e li tirai di colpo giù mentre infilavo in fretta e furia la mano calda all'interno dei suoi boxer.
    -Andiamo di fretta..ugh-
    Strinsi la presa muovendo in modo circolare la mano sulla sua erezione proprio come lui aveva fatto con la mia.
    Ribaltai le posizioni faticosamente riuscendo in un momento a sedermi sconvolto sul suo bacino.
    Era una nuova posizione e stare sotto di Tom era di certo più eccitante, ma stare sopra a Tom era un qualcosa di elettrizzante e curioso allo stesso tempo.
    -Cosa vorresti fare?- ridacchiò guardandomi.
    I suoi occhi lucidi ricchi di amore per me.
    Sentii il mio cuore stringersi e portai le mie mani sul suo petto lasciandomi abbassare sulla sua pelle e lambendo con la lingua quel caldo corpo perfetto.
    -Bill- soffiò via mentre lentamente scendevo lasciando una schia di baci incontrollati.
    Poggiai le mani sul tessuto dei suoi boxer, li tirai più giù finché non li lasciai cadere del tutto lasciando libera la sua erezione.
    Mi stupii di quanto fosse rossa e pronta, Tom era terribilmente eccitato.
    La presi in mano sentendo i suoi denti stridere e la bocca degrignarsi, portai una mano sul suo ventre e lentamente mi chinai.
    Non avevo paura più di niente.
    Tom era l'unica cosa per cui avrei mai vissuto e che avrei mai voluto sentire insieme a me,
    dentro di me.

    Feci guizzare la lingua all'infuori dando una piccola leccata alla parte inferiore del pene.
    Tom spalancò gli occhi e mi afferrò i capelli con un mano lasciando poi la presa per non farmi del male.
    Il suo corpo fremeva, il suo corpo aspettava.
    Tom prima di stare con me aveva avuto migliaia e migliaia di ragazze, ragazze con cui stare ogni santissima notte.
    Da quando invece era divenuto il mio ragazzo, Tom era diventato una mia proprietà privata, e ovviamente doveva sempre ritrovarsi ad aspettare che io fossi pronto.

    Io per Tom ero sempre pronto.

    Infilai la sua erezione in bocca improvvisamente succhiando subito dopo mentre con una mano continuavo a massaggiargli il ventre.
    Afferrò le mie dita tra le sue, le strinse forte e lentamente iniziai a chinare la testa tentando di riuscire ad ospitarlo in bocca.
    Per Tom avrei fatto spazio e ce l'avrei fatta.
    Per Tom avrei fatto tutto.

    Succhiai assaggiando il gusto della sua erezione tra le labbra mentre i suoi gemiti rochi facevano risvegliare calorosamente qualcosa in me ancora imprigionato in dei boxer troppo tremendamente stretti.
    -Bill- ansimò ancora stringendo la mia mano ancora più forte.
    Succhiai un ultima volta tirandomi poi a sedere con rammarico mentre le mie labbra schioccavano.
    -Ti voglio dentro di me- mormorai portando le mie labbra accanto al suo orecchio.
    La sua fronte medita di sudore, il suoi occhi chiusi ed il respiro corto.
    Non feci in tempo a provare a baciare le sue labbra, le sue mani mi strinsero le spalle e mi trascinarono sotto di lui mentre con una mano mi sfilava i boxer lasciandomi completamente nudo.
    -Sono bagnato, eccitato e terribilmente innamorato di te. Non devi tentarmi- sussurrò facendo scendere una mano lungo le mie natiche.
    Piegai le gambe circondandogli il bacino mentre lentamente provava a forzare la mia apertura con un dito.
    Entrò rapido in me ed una strana sensazione mi avvolse del tutto lasciandomi sfuggire un gemito mentre lo piegava veloce.
    -Sei così caldo- mormorò spingendo un altro dito dentro di me.
    Serrai gli occhi lasciandomi invadere da una sensazione di calore che mi circondava le parti basse.

    Si sporse un poco e subito sentii le due dita sfilarsi da me.
    Rilassai i muscoli circondando con le braccia il suo collo e tirandomi leggermente a sedere come lui.
    Tirò fuori una boccetta dal comodino accanto al letto ed aprì la lozione portandosela intorno alle mani.
    -Cos'è- ansimai al suo orecchio mentre con le dita gli massaggiavo il collo.
    -Non voglio farti del male-
    -Non me ne faresti comunque-
    -Ed nvece sì...-
    Si premette la lozione sull'erezione strusciandola con cura.
    Mi stesi sotto di lui e lentamente aspettai che si sporgesse su di me.
    -Ti fa ancora male la testa?-
    -Un pò- ammisi io mentre lentamente si avvicinava alla mia entrata.
    Sentivo il suo calore premere eccitante su di me.
    Bofonchiò un "irresponsabile" mentre mi accarezzava la fronte con una mano.
    Poi si avvicinò alle mie labbra dandomi un bacio leggero, i nostri respiri che si scambiarono tra loro.
    -Posso entrare?- mormorò.
    -Sei già dentro di me, sempre- sussurrai mentre il suo bacino si spostava in avanti.
    La sua erezione scivolò nella mia entrata con una dolce spinta e finii per spalancare gli occhi stringendo i suoi rasta tra le dita.
    Entrò dentro di me e sentii un dolore immenso arrivare ad arrossire persino le mie orecchie mentre con lentezza si sfilava da me.
    -Fai piano- sussurrai stringendomi dinuovo a lui e lasciando che la sua erezione entrasse di nuovo in me.
    Mi baciò le labbra mentre afferrava la mia erezione con una mano e pompava lentamente con un movimento pigro e trascinato.

    Entrò in me ancora facendomi gemere, un pizzico di piacere che mi scosse le membra.
    -Tocca dinuovo lì- boccheggiai inarcando la schiena.
    Sorrise dinuovo spingendosi precisamente lì.
    Grugnì mentre aumentava le spinte e lentamente aumentava anche il mio piacere.
    Sarei voluto stare legato a Tom tutta la vita.
    Ma inevitabilmente prima o poi si sarebbe dovuto sfilare via.

    Venne dentro di me inondandomi con il suo liquido caldo mentre lentamente, come in una dolce tortura, venivo nella sua mano accasciandomi sul cuscino.
    -Sei bellissimo-pronunciò uscendo con lentezza da me.
    Mugugnai di dissenso sprofondando nell'incavo del suo collo.
    -Starò sempre accanto a te, anche se non dentro di te- surrurrò al mio orecchio mentre mi addormentavo esausto tra le sue braccia.





    *





    Mossi con attenzione la padella sul gas appena acceso versando un goccio d'olio ed aspettando che la pancetta friggesse.
    Sorrisi notando come Bill era intento a misurare con diligenza la pasta che poneva nella pentola mentre con la linguetta tra le labbra regolava lentamente il gas.
    -Sei sicuro che la ricetta dicesse che la pancetta dovesse cuocere così?-
    Ridacchiai di gusto quando poggiò le mani gracili sui fianchi ondeggiando il suo fantastico corpo in una posa altrettando sexy.
    -Non sono cieco, ho letto benissimo- sbuffò voltandosi poi per mettere i piatti in tavola.
    Mi spostai ad aiutarlo finché non dovetta girarsi a controllare la pancetta sul fuoco.
    Risi poggiando le braccia intorno alla sua vita mentre un poco alla volta lasciava cadere del sale sulla carne.
    -Tom!- rise lui mentre il suo intento di misurarlo in giuste dosi continuava a vacillare.

    -Si?- risi io facendo il solletico sul suo ventre.
    Scoppiò in una risata lasciando un altro pizzico di zsale sulla carne per voltarsi poi a controllare la pasta.
    -Dai che poi mi viene male- rise ancora tentando di liberarsi dalla mia presa.
    La stanza calda e illuminata che risuonava scossa dalle nostre risate.

    Tutto era così stranamente caloroso.
    Tutto era così dolcemente unico.
    Come in quei telefilm dove nel clima natalizio le famigliole ridevano felici.
    Ma quello non era un film, Bill era tra le mie braccia ed io felice lo ero davvero.
    Strinsi la presa voltandolo improvvisamente a me.
    Smise di ridere quando sorridendo alla sua espressione sorpresa mi impossessai nuovamente delle sue labbra.
    Il suo corpo che si lasciò andare alla mia passione rovente.

    Passammo così la serata, tra baci e carezze.
    Noi che non avremmo creduto mai di riuscire a trovare un briciolo di felicità.
    Ci eravamo trovati, non sapevo come ma era successo.
    Era successo che i nostri destini erano diventati un unico filo.











    Le nostre risate che oltre la finestra risuonavano in quel luogo oscuro alle orecchie di un ombra nascosta.

























    Autore: Me xD
    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...







    « ● Hai paura della notte?




    image











    XXXVII Capitolo.




    La luce che filtrava indispettita dalle persiane socchiuse mi fece battere le palpebre mentre un rumore, fastidioso e silenzioso proveniva insistente dal comodino accanto a me.
    Battei ancora gli occhi tentando di abituarmi e di svegliarmi dal torpore del sonno mentre allungavo la mano verso il cellulare posto accanto a me.
    Provai a tirarmi leggermente più sù mentre ancora nel mondo dei sogni una testolina nera poggiava comodamente sul mio petto. Le ditina fine e bianche che stringevano senza un briciolo di forza la pelle lungo gli addominali.
    Sorrisi mentre premevo il tasto di chiamata aspettando che qualcuno parlasse aldilà dell'apparecchio.

    -Pronto?- mormorai, la voce ancora impastata dal sonno.
    Sentii la mano di Bill muoversi goffamente sulla mia pelle mentre il suo viso andava ad infossarsi accanto al mio collo.
    -Pronto!?- rispose una voce mentre con la mano libera accarezzavo lentamente la schiena del moro.
    La pelle morbida e calda sotto il tocco.
    -Andeas- sorrisi sentendo le dita del mio ragazzo stiracchiarsi lungo la mia pelle.
    -Ciao amico!- mi rispose, la voce composta e sarcastica come sempre.
    Aspettai che parlasse mentre mi sedevo comodamente sui cuscini.
    -Abbiamo delle notizie, belle fresche, ma per parlarne dobbiamo incontrarci a quattro occhi-
    -Interessante- mormorai.
    -Lo saranno, davvero-
    -Benissimo hai da dirmi altro?- ridacchiai mentre un musino nero faceva capolino accanto al capo di Bill.
    La testa del moro si alzò, gli occhi insonnoliti e i capelli arruffati, per poi sorridere al micetto che gli leccava una mano.
    -Buon giorno amore- sussurrai sporgendomi a dargli un dolce bacio sulle labbra.
    Rimase fermo, le guance rossiccie e gli occhi leggermente ancora lucidi, per poi sorridere dinuovo e sporgersi per baciarmi una seconda volta sulle labbra.
    -Giorno- biascicò accucciando la testa sul mio collo.
    Andreas trattenne per un attimo il respiro mentre percepiva il dolce clima mattiniero nel quale mi trovavo.
    -Allora?- mormorai accarezzando la schiena di Bill ma sicurissimo che lui stesso e non il micio stesse squittendo miagolando.
    -Ricordati del funerale, tutto qui.-
    -è oggi giusto?-
    -Si..-
    Sospirai guardando il muro davanti a me.
    -L'ora è la solita?-
    -Alle tre, davanti alla Chiesa dell'orfanotrofio-
    -Ci sarò- mormorai sorridendo a un Bill che mi guardava curioso.
    -Chi è?- mimò poggiando il mento sulla mia spalla.
    Ridacchiai. -Andreas-
    -Si?- mi chiamò l'altro.
    Bill sorrise, fece un piccolo cenno con la mano, e prima di chiudere la chiamata mormorai un -ti saluta Bill-.
    E potei giurare di sentire il cuore di Andreas scaldarsi proprio come aveva fatto il mio.







    Il momento del funerale non arrivò lentamente. La mattina era trascorsa silenziosa mentre spiegavo a Bill di un qualche mio amico che era morto, di un fenerale al quale saremmo dovuti andare.
    Quando aveva compreso che si trattava di Peter aveva alzato la testa di scatto sconvolto. Delle perle argentate avevano preso a scendergli dagli occhi mentre le sue labbra non smettevano un attimo di fremere.
    -L-lo conosco- aveva borbottato portandosi le mani davanti alla bocca.
    -Ci siamo conosciuti alla festa, era stato così carino con me, così buono-
    Singhiozzò mentre percorrevo la stanza e lo stringevo reprimendo i suoi singhiozzi.
    Avevo creduto in quel momento di non aver mai visto un ragazzo, o semplicemente una persona, essere dolce e sensibile quanto fosse Bill.
    Mi chiedevo se fosse successo qualcosa a me cosa mai sarebbe potuto accadere.
    Si sarebbe frantumato, come in quel momento continuava a piangere sotto le mie dita.
    Sarebbe caduto in pezzi diventando polvere nel bel mezzo di una tempesta.
    Ma se io fossi davvero finito male in quella faccenda o in qualsiasi altra cosa sarebbe accaduta in futuro, avrei di certo fatto sì che prima di andarmene qualsiasi vento, pronto a spazzarlo via, svanisse.
    Forse, io sarei finito proprio per colpa di quello.

    Stringevo la sua mano mentre teneva gli occhi bassi e colmi di lacrime che però tentava in tutti i modi di fermare.
    Lo faceva per me, per darmi un pò di coraggio. Ma in quel momento il mio cuore era vuoto, il coraggio...non aveva importanza.
    Il cielo, sul cimitero di Berlino, era plumbeo come ogni pomeriggio di gennaio che si rispetti.
    La pioggia preannunciava di scendere da un momento all'altro. La fioca luce del sole di un pomeriggio prossimo al meriggio illuminava la terra con una luce opaca e scintillante, mentre la fossa era aperta, davanti ai nostri occhi, e il prete continuava a parlare e a recitare la sua messa.
    Una bara di un legno rovinato scendeva, trabballante, nella terra dell'inferno e noi, nei nostri abiti neri, la guardavano sparire non proferendo parola.
    Vi era una bambina accanto a quel prete. Stringeva una mano a una signora e riconobbi sotto un velo nero gli occhi di una madre distrutta, la bambina tremante che chiedeva incostantemente perché suo fratello fosse lì, perché non lo aiutassero a farlo uscire dalla cassa.

    Sentii un singhiozzo provenire accanto a me,strinsi la mano ancora di più lasciando che le sue dita si stringessero intorno a quella sinistra, poggiandogli la destra sulla spalla e facendolo appoggiare a me congiungendo le nostre dita sul suo ventre piatto.
    Georg era accanto a noi, vi era Andreas, riconobbi in buona parte in quei volti tutta la nostra banda.
    Amici di infanzia che erano sempre vissuti con lui.
    Perché quando fai parte di questa vita sai che qualcuno potrebbe cadere sotto un colpo di pistola e l'unica cosa che puoi fare è piangerci sù e lasciare che questa merda persista continuando incontrollata a prendere piede.
    Non si può ribattere, non ci si può ribbellare, e se la vittima diventa un tuo amico, un tuo fratello o persino tuo figlio, non resta che ingoiare il boccone amaro ed alzare lo sguardo, perché serbare vendetta era l'unica cosa che mandava avanti quella putrida società.

    Non aspettai che la bambina iniziasse a piangere mentre lentamente ricoprivano la tomba, non aspettai che la madre scoppiasse nel suo dolore sconquassando i cuori deboli di tutte quelle persone accanto a sè.
    Voltai Bill verso il mio petto e lo strinsi a me, sia per lui che per me stesso, sentendomi stranamente vuoto, sentendomi completamente in balia di quel vento che tirava tra le folte chiome dei cipressi lungo il viale della chiesa.
    Quando iniziò a piovere fui sicuro che il funerale fosse quasi giunto al termine, ombrelli di svariati colori si aprirono rovinando l'atmosfera buia che era andata a crearsi accanto a noi, come a sottolineare che la vita continuava. Come a sottolineare che tornati a casa tutto sarebbe tornato come prima, solo con una voragione nel petto in più.
    Mi chiesi se quel vuoto lo stessi provando solo io, ma notando il volto di Gustav accanto a me potei capire che di certo non ero l'unico.

    James era davanti a noi, gli occhi puntati su quella bambina.
    Ricordai quando morì suo fratello per colpa del solito schifo. Quando con le manine strette a quelle di mia madre avevo osservato William scendere in quella bara bianca nello stesso modo nel quale era scomparso Peter.
    Ricordavo James, all'epoca ancora un ragazzo, che si contorceva le mani guardando insistentemente la bara, stringendo sua madre tra le braccia proprio come io stavo facendo con Bill.
    Gli occhi nei quali nasceva lentamente una vendetta che avrebbe dato lo scopo di un altra sola e trististissima vita, vendetta oramai fiamma dei cuori di chi, schiacciato da un qualsiasi dolore, si sarebbe spenta.
    Scostai gli occhi dalle sue mani e le spostai su di lui.
    I nostri occhi si incrociarono, la situazione si ripetè ancora, e ricordai quando a morire fu un'amico di James.
    La memoria percorse in fretta il tempo passato focalizzandosi sull'immagine di quello stesso cimitero di tanti anni fà.
    James stringeva William tra le braccia, la sua testolina bionda che sussultava mentre le lacrime bagnavano la camicia spiegazzata del fratello.
    Aveva stretto il piccolo come in quel momento io stringevo il mio piccolo ragazzo a me.
    Poi però William era morto, William che non c'entrava niente in tutto quello, lui che era l'unico in quel posto che sembrava davvero essere diverso.
    Che non sarebbe mai dovuto essere lì.
    William però non poteva scegliere se restarci o meno.
    WIlliam viveva lì, Bill invece poteva sperare di fuggire e salvare la sua vita dal peccato.

    Un bussare sulla schiena mi fece destare, Andreas, in una giacca nera ed una sciarpa del medesimo colore che gli coprima il collo, accennava un sorriso quanto più adeguato alla situazione.
    Bill si scostò, il trucco nero ancora ben saldo intorno agli occhi, qualche linea più scura che imperterrita gli rigava la guancia.
    Sorrisi e portai una mano sul suo viso cancellandole con il pollice e infondendogli un pò di quella sicurezza che in quel momento avrei voluto io.
    -Ciao- pigolò guardando Andreas mentre continuava a stare con le lunghe dita avvinghiato a me.
    -Ciao- sorrise quello scompigliandogli i capelli con una mano.
    Il suo sguardo, dolce e triste posato su di lui si spostò poi di nuovo su di me, e la sua autorità tornò a farsi notare, il caro vecchio Andreas che mai niente e nessuno era riuscito a scalfire.
    Se non un tenero sorriso di Bill.
    -Io e Josh ti dobbiamo parlare-
    Vidi Bill scostarsi impaurito -te ne vai?- mormorò guardandosi intorno spaesato.
    Poi un ombrello sostituì quello nero di Gustav e il viso di James fece di nuovo capolino mentre dolcemente poggiava una mano sulla spalla di Bill.
    -Ti aspettiamo qui, ci sto io con lui, non ti devi preoccupare-
    Sorrisi, sorrisi a Bill e poggiai le mie labbra sulle sue.
    Il contrasto con il gelo e quella pelle calda lasciò che la mia testa girasse vorticosamente per un attimo.
    -Ti amo, non muoverti da qui-

    Detto questo salutai con un cenno James e mi voltai verso la foschia dei cipressi che adombravano la zona.
    Josh sotto quell'albero che si contorceva le mani.
    Qualcosa non andava, e per un attimo anche io mi scordai di ciò che era successo a Peter, di ciò che era appena accaduto, tornando alla mia vita con un buco nel cuore in più.
    Andreas sospirò affranto.

    Tornando ad una vita che infondo lì conducevamo tutti.




    *






    Tom tornò poco dopo da me. Ero rimasto così, in piedi accanto a quello strano James, i suoi occhi che scrutavano i miei.
    Una sensazione di dolore e di spaesatezza mi avevano stretto il cuore lasciandomi senza fiato ogni due per tre.
    Non sapevo cosa fosse, non capivo perché quell'uomo mi facesse quell'effetto.
    Sapevo soltanto che mi aveva chiamato, mi aveva detto: Bill.
    E per un attimo nella mia testa un fuoco d'artificio era esploso proprio accanto agli occhi, offuscandomi la vista per una decina di secondi.
    -Hey- mormorò prendendomi al volo mentre mi faceva sedere su una panchina accanto a noi.
    Il freddo incrementava il vuoto che sentivo in faccia e sulla pelle, la sua voce risvegliava in me un qualcosa che la mente mi impediva di ricollegare.
    Sapevo solo che qualcosa si mostrava davanti ai miei occhi.
    La scritta: Allarme.
    Quella persona aveva a che fare con qualcosa che era stato nel mio passato.

    La testa vorticò di nuovo e mi ressi inconsciamente lungo i bordi della panchina in legno.
    -Bill?-
    Non lo stetti a sentire.
    Se c'era, se c'era un qualcosa che poteva aiutarmi a capire il mio passato dovevo trovarlo, trovarlo per me e per Tom, riuscire ad eliminare tutto quello che poteva renderlo in un qualche modo stufo di me. Io non volevo che si arrabbiasse per la mia condizione. Io non volevo essere un peso per lui.
    Dove? Dove avevo già visto quel ragazzo nella mia vita?
    In che occasione? Ma più che altro chi era?
    Mi sforzai di ricordare sentendo la testa vorticare instabile. Scavalcai anche quello.
    Chi era lui?

    -James!- urlò Tom avvicinandosi a noi.
    James, era vero.
    Quello...era il suo nome.


    Lui ...era James.





    -Il lupo ci prenderà- canticchiò prendendomi le mani.
    -è una canzone tremenda- ridacchiai guardandolo mentre mi accarezzava il viso.
    -Non è tremenda, è la canzoncina di questo gioco- mise il broncio guardandomi con i suoi occhioni.




    Sbattei le palpebre mentre un qualcosa, un torpore conosciuto mi riscaldava la mente filtrando le voci di un qualcosa di tremendamente lontano.

    -Tom non so che succede, credo non si senta bene.-
    -Cosa?-

    -Ma se siamo nascosti per non farci prendere, che la canti a fare, così ci troverà- sussurrai io avvicinando le mie labbra alla sua morbida e bianca guancia.
    Gli scoccai un bacino e subito iniziò a ridere per il solletico.
    -Zitto- sibilai gonfiando le guanciotte.
    -Eccolo, arriva, arriva il lupacchiotto-



    -Bill?- mormorò Tom sedendosi sulle ginocchia davanti a me e prendendomi le guange gelide tra le mani. Scontrai i miei occhi nei suoi ma un'altra immagine, un'altra immagine si stava sovrapponendo alla sua.

    -Ah ah, vi ho trovati- ridacchiò aiutandoci ad uscire.

    -Tuo fratello è veramente bravo-



    -Bill? piccolo?- Sbattei gli occhi, l'immagine stava pian piano scomparendo.
    No, non doveva, io dovevo sapere, lo volevo, lo pretendevo.
    Mi sforzai di ricordare notando l'espressione di Tom farsi preoccupata.
    Non ancora, non doveva preoccuparsi.
    C'ero quasi, l'avevo quasi afferrato quel pezzo di vita.
    Stava lì, davanti a me.
    Mi sforzai ancora ed un lampo mi trapassò gli occhi. Le tempie bruciarono mentre con un gemito di dolore cadevo in avanti tra le braccia di Tom.
    -Dannazione- mormorò tirandomi in piedi accanto a lui e reggendomi in braccio con facilità.
    -Bill-
    Un attimo Tom.

    -Bill?-
    Aspetta Tom ci sono quasi.
    Dove era finito William? Cosa era successo poi?
    Spalancai gli occhi.

    -Chi è William?- mormorai.

    Tom spalancò i suoi, James si irriggidì guardandomi insistente, pareva teso, colto alla sprovvista.
    James conoscevsa William perché James...


    -Naaa- rise il piccolo guardandomi negli occhi
    -James è soltanto molto bravo a scovare le persone. Sai che nella banda lui è quello che fa la spia?-
    -Spia è una parola grossa- ridacchiò il grande poggiando una mano sulla testa del fratello.



    James era il fratello di William.
    William era... william era stato il mio migliore amico di sempre.
    Il migliore amico che mi aveva salvato dalla solitudine della vita che conducevo.
    Colui che avevo aspettato con ansia dopo che tutto, tutto poi era rotolato via.
    Colui che... non era più venuto a trovarmi in quel letto di ospedale.
    Non dopo quella notte.

    Sentii le palpebre farsi pesanti e mi lasciai andare completamente tra le braccia di Tom.
    Era lì, mi stringeva a sè, e lo vidi baciarmi la fronte dolcemente e coprirmi con la sua grande felpa.
    -Non credevo..ricordasse ancora di lui- mormorò James portandosi una mano sulla faccia.
    -Non potevo nemmeno immagginare che lo conoscesse- disse Tom, per poi fissarmi negli occhi semi chiusi.

    -Forza piccolo- sorrise
    -è l'ora di riposare, si è fatto tardi-
    -Vuoi il mio ombrello Tom? Piove a dirotto e prenderete freddo-
    Sorrise dinuovo il mio amore stringendo a sè il manico e la mano di James.
    -Tornerò a casa con Gustav-
    -Grazie mille James-

    Detto questo si voltò tenendomi in braccio e con un ultimo cenno del capo a Georg si allontanò lentamente verso la macchina dell'amico.
    Gli occhi di James che mentre andavamo via chiedevano perdono.

    Perdono per tanti segreti che avrebbero fatto male in primo luogo a me... e poi a Tom.




    *






    Tornammo a casa che il tramonto illuminava le strade di Berlino. L'aria gelida guizzava tra le chiome del vento mentre la pioggia, che da poco aveva smesso di cadere, lasciava lo spazio ad un arcobaleno inesistente.
    Richiusi la porta dietro di me e lasciai che Bill si stendesse lungo il divano mentre correvo in cucina a preparare un thè o qualcosa di caldo che avrebbe potuto aiutarlo.
    Si teneva la testa tra le mani.
    Sospirai appoggiandomi al fornello mentre l'acqua iniziava lentamente a bollire.

    Una volta tornato davanti al divano lo vidi guardare il soffitto, gli occhi aperti e le labbra dischiuse.
    -Hey...-sussurrai avvicinandomi e posando un bacio sulla sua testa.
    -Mi dispiace...-
    -Non dirlo nemmeno per scherzo-
    Il silenzio filtrava nelle pareti, l'aria dolce e vagamente illuminata che circondava il nostro piccolo nido d'amore.
    -Sei così dolce- sussurrai avviccinando il mio viso al suo e toccando il suo naso con il mio.
    Sorrise e mi sentii rinquorato per questo.
    -Cosa prepari di buono?- biascicò mentre dolorasamente provava a tirarsi a sedere.
    Lo aiutai accarezzandogli i capelli mentre mi tiravo lentamente in piedi.
    -Thè-
    -Amo il thè- sussurrò mettendosi in piedi ed aggrappandosi a me.
    -Io amo te-
    -Anche io...lo sai-
    Mi baciò le labbra con una leggera pressione.
    -Vorrei poter ricordare tutto, e quando accadrà potrò essere libero da questo male che ci opprime Tom-
    Affondai il viso nei suoi capelli mentre annusavo il suo dolce odore.
    -Per quanto possa fare male. Perché ti amo troppo...-
    -Non voglio che ti faccia del male per me.-
    -Potrei vivere qui, senza nessun problema, insieme a te, per sempre, ma prima o poi dovrò scoprire cosa è realmente accaduto-
    -Non voglio che tu soffra-
    -Io soffro se tu non sei accanto a me-
    Mi guardò negli occhi, come a scrutarmi l'anima.
    Lo baciai ancora e lo trascinai in cucina.
    -Nessuno ti farà del male. Scoprirò chi è stato quello che te l'ha fatto, io lo ucciderò con le mie stesse mani Bill-
    -Io non voglio che tu uccida, ti porterebbero via da me-
    -Io non me ne vado!-
    -E allora...non fare queste cose Tom!-

    Poggiai la mia mano sotto il suo maglioncino risalendo fino al petto magro.
    -Sei troppo fragile per stare accanto a me.-
    -Non vivrei una vita senza te-
    -Rischi dei guai, rischi di impazzire-
    -Io sono già pazzo, guardami Tom, guardami!-
    I suoi occhi lucidi si posarono nei miei e le sue parole ruppero il silenzio intorno a noi.
    -Io sto già impazzendo. Ogni giorno che passa la mia lucidità, la mia lucidità va via. Ogni volta che accade qualcosa, una parte di me scompare-
    -Io eviterò che accada-
    -Allora aiutami a ritrovare me stesso Tom, senza andare via...-
    -E te aiuta me ...Bill...-
    Si tuffò sul mio collo mordendolo e lambendolo con le labbra mentre stringeva e strappava la maglietta.
    Lo afferrai per i fianchi, gemette nel mio orecchio mentre lo lasciavo sedere sopra il tavolo e levavo il suo maglione lasciando che i capelli gli ricadessero morbidi sulle spalle.
    -Fammi tuo Tom, di nuovo. Fammi dimenticare quello che ho visto oggi-
    -Cosa hai visto Bill?-
    Sussultò.
    -Ho visto il mio dolore in faccia-

    Aprii il bottone dei suoi pantaloni strattonandoli sulle sue coscie e lasciandoli cadere a terra.
    Sentii la sua pelle tremare e sfiorai con le dita quella cicatrice lungo la sua coscia.
    -Tom?-
    -Dimmi- sussurrai prendendo le sue mani nelle mie.
    Sorrise.
    -Niente...-
    -Niente- ridacchiai tirandolo a me e baciandogli le labbra.
    Sbottonò i miei jeans lasciandoli ricadere lungo la pelle ambrata.
    Divorò le mie labbra mentre affamato percorrevo il suo gracile corpo sotto le mie dita.
    Non parlammo molto quella sera, forse non ne avevamo davvero bisogno, non quanto il bisogno l'uno del corpo dell'altro.

    Il bollitore bollì fino a far sì che metà dell'acqua evaporasse disperdendosi nell'intera cucina.
    I nostri gemiti che coprirono, insieme ai tanti sospiri, il silenzio di quel piccolo luogo.
    Il tavolo che divenne quella sera protagonista della nostra dolce perversione.



    Il telefono che inascoltato suonava dall'altra parte della casa.









    Al segnale acustico registri il suo messaggio

    Tom, sono Andreas.
    Vogliono che ti dica queste cose:
    Lui vincerà sempre e comunque, qualsiasi cosa tu non voglia dargli, qualsiasi cosa tu protegga come un diamante raro stretto tra le braccia.

    Tieni al sicuro quel diamante Tom, sento puzza di guai.
    Aspetto di parlarti appena puoi.

    L'aria sta diventando davvero irrespirabile a Berlino.






























    *******
     
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