Balliamo sul mondo

...strappalacrime...

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  1. tombillina
     
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    Ecco il chappy ;)

    CAPITOLO 7
    A cena nessuno aveva fiatato, erano tutti muti come pesci, si percepiva la tensione dei gemelli anche a cinquecento chilometri di distanza. Io mi sentivo in più, forse ero di intralcio, quindi ho lavato il mio piatto e le mie posate e sono salita in camera mia, passando il tempo a riempire le pagine del mio diario di schizzi con la china nera. Disegno una rosa che giace su un tavolo, i petali stanno per appassire e su uno di questi petali c’è una goccia. Una lacrima, o una stilla di sangue proveniente direttamente dal vorticare di emozioni che ho nello stomaco. Solo l’osservatore attento può capire, solo chi non si ferma alle apparenze e guarda oltre può vedere comprendendo il significato di quello schizzo, sebbene breve e poco definito, che si è tracciato da solo. Io ho solo seguito le mie emozioni che hanno mosso il braccio e tracciato i dolci ma spigolosi contorni di quel fiore dall’aspetto così agnello per i petali, così leone per le spine.
    “Bisogna prendere il meglio dal mondo, io ho scelto questo fiore perché rappresenta sia la dolcezza che l’aggressività.” Scrivo sotto il disegno.
    E così, come solo l’osservatore attento può capire, come solo chi non si ferma alle apparenze e guarda oltre può vedere comprendendo il significato di quello schizzo, io ho compreso la dolcezza d’animo ma il forte carattere di Bill e Tom, così uguali nella loro diversità. Avevano litigato per un motivo futile, ma erano comunque arrabbiati fra di loro. E stavano male, si vedeva. Forse solo loro si sforzavano di non vedere quel grande muro di indifferenza, quella grande catena di ostilità che regnava in casa quella sera. Mi ricordo che il mio professore citava sempre una famosa frase: < Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire>. Questo era il loro caso. Era ora di intervenire.

    ***

    Per prima cosa avrei dovuto parlare con Tom.
    Mi infilai le morbide, calde e comode pantofole e mi diressi verso la sua stanza. Esitai non appena me la trovai davanti. Poi mi feci coraggio. Battei tre colpi con le nocche sul duro legno scuro. Udii un <avanti> piuttosto scocciato, aprii la porta timida, mi affacciai all’interno della stanza. C’era Tom sul pavimento vicino al letto con la chitarra in mano. Non appena notò che ero io, e, vedendo la mia timidezza, mi venne incontro esclamando:
    -Oh, Sara, non pensavo fossi tu.-
    Posò la chitarra a terra e si sedette sul suo letto, invitandomi a fare lo stesso. Non appena mi sedetti affianco a lui, mi accorsi solo allora di avere ancora il diario in mano. Lo tolsi via imbarazzata posandolo sul comodino. Alzò un sopracciglio con aria interrogativa, ma notando il mio rossore preferì non complicare le cose distogliendo lo sguardo dall’oggetto sul quale scrivevo tutte le mie emozioni e al quale mi ero tanto affezionata. Mi mordo le labbra, mi mangio le unghie, mi arrotolo una ciocca di capelli e accavallo le gambe prima di incominciare a parlare. Sono molto insicura e Tom lo nota. Sa dove voglio arrivare e cosa voglio dire, ma non mi precede, aspetta che formuli una frase, o almeno accenni a farlo.
    -Ehm…- farfuglio.
    Lui sorride, un sorriso che sembra magnetico, un sorriso che non vuole esprimere un sorriso ma qualcos’altro, qualcosa di più intenso, un frullato di emozioni. Qualcosa di più forte di un sorriso ma che non può essere espressa in alcun modo, se non dietro a trentadue denti bianchi dentro una bocca dagli angoli incurvati verso l’alto.
    -Senti… io ho pensato che… magari...-
    Sorride ancora.
    -…potresti far pace con Bill, chiedergli scusa, farti avanti… in fondo sei stato tu a fargli prendere uno spavento colossale per averlo scippato.-
    Lui sorride, adesso col suo vero sorriso, con la sua vera faccia. Non sembra più quel ragazzo con lo sguardo magnetico di prima, ora sembra abbia cambiato viso, sembra che si sia tolto la maschera che aveva pochi secondi fa. Mi sorprendo del fatto di come abbia fatto a farlo così velocemente, mi faceva quasi paura. Per pochi attimi quello sguardo mi è sembrato come quello del vampiro di Twilight, Edward! Mi sono spaventata a morte per paura che da un momento all’altro mi prendesse a morsi.
    Bando alle ciance, riprendo a parlare seriamente scrollandomi e cercando di dimenticare quei pensieri che mi fanno solo ridere e deconcentrare, allontanandomi dal fulcro del discorso, dal nocciolo della questione.
    -Si vede da un miglio che vi siete arrabbiati!-
    Gli faccio gli occhi da cucciolo, come potrà resistere? La sua espressione tesa infatti si scioglie in un tenero e largo sorriso.
    -Mi dispiace, Sara, ma anche tu hai visto come ci ha lasciati soli in mezzo alla strada, chiedendo a Saki di scappare via a tutta velocità!- replica.
    Annuisco. Ha ragione, come posso dargli torto? In fondo è stato lui a iniziare.
    Penso ad una valida motivazione per andare da lui a chiedere perdono senza aspettare Bill che, conoscendo, non è nella sua indole andare di proposito da una persona con l’obbiettivo di scusarsi. Passa il tempo, io zitta come una scema a fissare un punto fisso. Lui mi osserva, so che lo fa perché percepisco il peso dello suo sguardo. Lo distoglie un attimo da me e lo va a far posare sul mio diario che è ancora sul comodino. Lo prende, lo apre. Io non lo fermo, voglio che lo legga. Che capisca.
    Si mette a ridere rileggendo le pagine che avevo scritto quando era arrivato David e quando mi aveva spacciata per la sua fidanzata. E poi, quando mi aveva chiesto esplicitamente di stare con lui. Mi mette in difficoltà, legge ad alta voce quegli ultimi righi facendomi arrossire ancora di più. Lo fa apposta, mi sciolgo come burro al sole quando mi tira a sé, facendomi stendere a fianco a lui e, con in una mano il diario, e l’altro braccio sotto la mia schiena, mi bacia la punta del naso. Nei nostri occhi si può scorgere dolcezza infinita. Poi gira pagina e vede la rosa fatta con la china, gli occhi gli si inumidiscono vedendo quel disegno, scorgendo quella goccia che solo l’osservatore attento che non si ferma alle apparenze può notare… chiude il diario, gli occhi ancora lucidi, si allontana per rimetterlo al suo posto e torna a cingermi le spalle con il suo braccio. Ad illuminare la stanza è solo la luce dell’abat-jour che rende la situazione più intima. Mi sento in imbarazzo, ma non devo, perché sono con il mio ragazzo. Si sistema meglio e dice:
    -Sara, a pensarci bene non mi hai ancora raccontato la tua storia-…

    Ecco qui ^^ non è uun poema epico, ma spero che vi piaccia. Ho fatto il possibile per postarlo stasera. E' quasi mezzanotte, ho sonno.
    Commentate vi prego :)
     
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27 replies since 4/6/2010, 09:09   510 views
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