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  1. Kate ~
     
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    Grazie Giuly! *_*

    4. I’m cool, I’m great, I’m a jerk



    “Dai cazzo, cazzo!” sbraitò Lisbeth, sbattendo la porta del suo camerino e fiondandosi verso il pacchetto di sigarette “Mi sta bene tutto ragazzi ma questo no, cazzo!”
    “Lisbeth, il copione lo prevede”
    “Me ne infischio del copione, Lou!” urlò, rivolta all’assistente di scena, un signore di mezza età che lavorava per quel network da almeno trent’anni e che per Lisbeth era un punto di riferimento in quel mondo caotico “Non ho intenzione di farlo!”
    “Non ti sei letta il copione prima della diretta?”
    “Certo che l’ho letto e non era scritto che avrei dovuto sottopormi ad una seduta di torte in faccia!”

    In quell’istante Ingrid varcò la soglia del camerino: “Che c’è, principessa? Qualcosa non va?”
    “Ingrid, quando avete aggiunto la gag delle torte in faccia alla sottoscritta?”
    “Circa q uindici minuti dopo l’inizio dello show. Ci sembrava una cosa simpatica, abbiamo pensato di improvvisare”
    “Come… come si fa ad improvvisare una scena simile? E le torte?”
    “Ehi, ci prendi per scemi? Abbiamo tutto sotto controllo. Ci sono circa venti torte pronte per essere tirate sul tuo bel faccino. Cambiati, tra cinque minuti devi tornare in scena”
    “Ingrid!” urlò a quel punto Lisbeth “Non ho intenzione di sottopormi al lancio delle torte in faccia. Quindi o mi fate tornare in scena e continuiamo come da scaletta NON improvvisata oppure me ne vado immediatamente”
    “Non credo ti converrebbe, ragazzina” la minacciò Ingrid, puntandole l’indice contro “Questo è un canale importante. Se non stai alle loro regole sei finita. E intendo dire che la tua carriera è finita, qui e altrove”

    Lisbeth pensò al talk show dei suoi sogni, pensò a tutte le domande che avrebbe potuto fare ai suoi ospiti quando sarebbe arrivato il suo momento. Pensò che l’avrebbe fatta pagare a tutti quegli stronzi che la stavano usando come fosse una marionetta solo perché sapevano quanto tenesse a quel mestiere.
    Inspirò quindi profondamente, ricacciò indietro le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi e si cambiò d’abito.

    **



    La parte più bella in assoluto del programma era la fine. Anzi, quel momento che precedeva la fine. In quell’istante Lisbeth sapeva che di lì a poco sarebbe finito tutto e lei avrebbe potuto guidare fino a casa, immergersi nella vasca da bagno bollente e passare almeno un’ora a mollo nella schiuma, con la musica come unica compagnia.
    Stava appunto per riempire la vasca quando il cellulare, che solitamente spegneva in modo da essere libera da seccature durante il suo momento di relax, squillò facendola sussultare.
    Uscì dalla vasca avvolgendosi in un asciugamano che sapeva di muschio bianco e corse in salotto. Rovistò un po’ nella borsa prima di trovarlo e rispose.

    “Sono Ingrid” disse la voce all’altro capo del telefono e a Lisbeth parve di sentire, nel suo tono, un pizzico di esultanza
    “Dimmi” mormorò Lisbeth, ancora seccata per quella stupida gag di prima
    “Ho ricevuto una chiamata importante, bambina”

    Lisbeth detestava quando Ingrid la chiamava “bambina”. Non era più una bambina e anche se lo fosse stata non voleva essere chiamata con quel nomignolo da lei. Ingrid non le piaceva affatto ma era una brava donna d’affari e, fino a quel momento, aveva sempre tutelato la sua carriera. Anche quando l’aveva convinta ad accettare la proposta del programma per bambini l’aveva fatto per il suo bene. Ora Lisbeth era famosa in tutta la Germania, ogni persona conosceva il suo volto e aveva vinto, più volte, diversi premi e riconoscimenti in Patria. E quello era l’unico motivo per cui non l’aveva ancora licenziata in tronco.

    “Cosa?” per un attimo sperò che qualcuno le avesse proposto il talkshow
    “Mi ha chiamata Mister David Jost”
    “E quindi? Non ho intenzione di registrare un CD con le canzoni dei cartoni animati, sia chiaro”
    “No tesoro, non vuole farti cantare” ridacchiò Ingrid “Mi ha proposto un incontro perché dice che vorrebbe discutere con noi una proposta di affari”
    “Ma in merito a cosa?” chiese Lisbeth, curiosa ma seccata allo stesso tempo. Conosceva David Jost, sapeva che era il manager dei Tokio Hotel ed, ultimamente, sapeva anche che il gruppo stava rischiando il fallimento a causa dei problemi del cantante. Non voleva averci nulla a che fare con quelli. La sua vita era già abbastanza incasinata.
    “Non me ne ha voluto parlare al telefono, ha chiesto se possiamo incontrarci domani. Ci ha permesso di scegliere luogo e ora. Che ne dici?”
    “Ascoltare non costa nulla. Mi sta bene. Facciamo domani intorno alle 10.00 nel tuo ufficio”
    “Certo tesoro. Ora confermo a Jost. Ci vediamo domani mattina, sii in forma!”

    Lisbeth chiuse la comunicazione e tornò in bagno. Non bastavano le torte in faccia! Quella sera anche il suo momento di relax era stato interrotto. Sbuffando rumorosamente continuò a riempire la vasca e vi si immerse, coprendosi il viso con un panno umido e sperando di potersi rilassare per almeno quindici minuti consecutivi.

    **



    “Quindi?” domandò Bill, quando David interruppe la chiamata.
    “La signorina Scholz parlerà con Lisbeth e ci farà sapere”
    “Non accetterà mai” sentenziò Tom “E’ una porcata. Se dieci anni fa mi avessero parlato di tutti questi sotterfugi non credo avrei intrapreso la carriera di musicista”
    “Cazzate” sbuffò David, infastidito “Avete una vita da sogno. Soldi, belle auto, belle case, belle donne. Che diamine volete d’altro?”
    “Una vita normale” mormorò Georg, senza guardare David negli occhi
    “Beh, caro mio, questo si chiama compromesso. Io ti do una cosa ma tu, in cambio, me ne devi un’altra. La vita normale, poi, cosa sarebbe? Sveglia tutti i giorni alle sette, lavoro d’ufficio fino alle cinque di sera, casa, divano e poi letto? Baratteresti quello che hai ora con una vita normale?” chiese il manager, calcando con ironia sulla parola “normale”
    “Certe volte sì” disse Gustav “Ed io sono quello che se la gode più di tutti la vita”
    “Concordo con lui” si intromise Bill “A me piace cantare. Quando ero un bambino sognavo questa vita ma non credevo fosse…” sospirò e poi aggiunse “così”
    “Animo gente!” trillò David “Si sistemerà tutto, vedrete. Dovrete solo fidarvi di me”
    “Ci stai chiedendo di raccontare una bugia gigantesca” insinuò Bill “Permetti che non sia poi così entusiasta?”
    Il manager si grattò la testa con una mano, poi si stropicciò gli occhi e sbuffando disse “Bill, ti ricordi quando hai cominciato a prendere farmaci? Noi tutti sapevamo del tuo piccolo problema, eppure abbiamo messo a tacere ogni cosa. Successivamente non è più stato possibile farlo ma, credimi, ho provato di tutto. Non è la prima volta che siete costretti a mentire al pubblico. Funziona così, non potete essere sempre cristallini e trasparenti con tutti”
    “Perché no?” chiese il cantante, con espressione ingenua
    “Perché noi vendiamo un prodotto! E, in affari, non si vende merce scadente. Un cantante tossico e con manie suicida fa una pessima impressione. Molte delle tue fan sono giovanissime. Cosa credi che penserebbero le loro madri se tu andassi in giro a parlare liberamente di come ti diverti ad ingerire antidolorifici dalla mattina alla sera? E i media cosa direbbero? Direbbero che tu vendi un’idea sbagliata della vita, che incoraggi i giovani a drogarsi! Lo capisci?”

    Il tono duro del manager e le sue parole, così tristi ma così vere, ferirono Bill. Eppure non riuscì a ribattere. In fondo anche la sua musica, quella che tanto amava e che aveva idolatrato per anni, era un business. C’erano in ballo soldi e contratti. C’era gente che si aspettava determinate cose da lui e, che gli piacesse o meno, doveva accettarlo. O, in caso contrario, lasciar perdere e cambiare lavoro.

    “Ecco ecco” disse David, interrompendo il flusso dei pensieri di Bill “Mi sta richiamando la Scholz. Pronto? Sì, certo… sono felice che abbiate accettato la proposta! Certo, va benissimo. Domani mattina alle dieci nel suo ufficio. Sì… sì, un attimo, prendo nota” fece il gesto di scrivere a Bill che, prontamente, si alzò alla ricerca di un foglietto e una penna. Qualche secondo dopo tornò con l’occorrente e lo porse al manager che riprese “Ecco, segnato. Va benissimo, a domani mattina allora! Buona serata signorina Scholz!” interruppe la comunicazione e, guardando i suoi ragazzi soddisfatto, disse “Domani mattina si comincia!”

    *That day - Tokio Hotel
     
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138 replies since 23/10/2010, 13:11   1627 views
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