«Hai paura della notte?

NC17,Adult Content,Non-con,Long Fic

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  1. MiikHy_Deafening
     
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    ops, sempre in ritardo xD
    ecco l'ottavo capitolo *-*

    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...







    « ● Hai paura della notte?



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    Capitolo VIII



    Mi alzai dal letto piuttosto frastornato.
    Non ricordavo cosa era successo, non ricordavo esattamente ogni minimo particolare ed ogni sensazione.
    Ricordavo semplicemente che la mia testa era diventata pesante, che l’aria era priva di ossigeno come se fosse stata impregnata dell’odore di tanta gente ammassata una sopra all’altra, come se il mio odore fosse simile a quello di tutta quella gente messa insieme, ed ero svenuto.
    Ero svenuto sul tappeto come una statua di cera e solo a tarda notte mi ero alzato zoppicante e mi ero accasciato su quel letto tentando di riprendere aria, tentando di trovare nella freschezza delle coperte e nel suo odore di cui queste erano impregnate, del sollievo.
    E mi ero addormentato, di nuovo.
    E quella notte però…avvolto dal suo odore non avevo urlato…








    -Bill…perché proprio a nostro figlio??-

    Sentii provenire del rumore dalla sala inferiore. Quelle rare volte in cui uscivo dalla mia amata camera per immergermi nel resto di quella immensa casa era perché fossi alla ricerca di qualcosa, magari di uno snack o di qualche mio oggetto lasciato qua e là o panno da stirare di cui avevo troppo bisogno.
    In quel momento però non cercavo mia madre.
    Non capii come mai Margot non avesse citofonato in camera mia per farmi alzare ed andare a scuola, quando infatti vedeva che entro una tot ora non citofonavo per farle intendere che ero sveglio, era lei che veniva lì a chiamarmi consapevole del fatto che sono sempre stato un grande dormiglione.

    Andai in bagno e mi cambiai, indossai le mie solite cose, una maglia nera e un paio di jeans, mi truccai elegantemente e chiusi il mio mondo alle mie spalle.

    Scesi le scale in punta di piedi come ero solito fare per non farmi sentire.
    Il contatto del marmo freddo sull'inferriata dell'enorme scalinata mi fece rabbrividire all’istante come la mancanza di quel dolce odore zuccherino, quasi neutro che aleggiava tra le mie coperte.

    Sentii provenire di nuovo dei sussurri disperati dalla sala da studio e decisi che avrei mille volte preferito soccombere che incontrare mia madre in una delle sue crisi mattutine arrabbiata con qualche solito cliente, innervosita per aver perso qualcosa o piagnucolante per avere una famiglia cosi disastrata.

    Sorrisi inconsciamente a quelle parole.

    -Ma non capisco perché proprio a noi??- continuai a sentir provenire dalla stanza davanti a me.
    Come mi era solito fare da diciassette anni a questa parte misi l’occhio tra le due ante socchiuse e rimase spalancato dallo stupore.

    Mia madre era lì, in piedi di fronte a mio padre mentre piangeva disperata battendo i piedi e continuando a camminare avanti e indietro come presa da un accurato attacco di panico.
    E ad un lato c’era Margot, seduta su una sedia mentre continuava a guardare la scena rattristata.

    E in un attimo sorridendo capii anche di cosa stessero parlando, e spalancai la porta.

    Mia madre si voltò di scatto tentando poi inutilmente di asciugarsi le lacrime, il trucco colato sulle guance che le dava un aspetto mostruoso benché fosse alta la sua bellezza.

    -Bill torna a letto!- sentii dire autoritario da mio padre mentre il fuoco scoppiettava allegro nell’immenso camino ed io ero lì, immobile di fronte all’enorme sala, con lo sguardo di ghiaccio e le mani strette a pugno.

    E un ghigno che non mi si addiceva affatto.

    E una voglio di piangere ed urlare che ad ogni discussione con i miei saltava fuori e rimaneva imprigionata nel mio animo mentre l’involucro di un angelo caduto dal cielo faceva divenire la mia espressività marmorea.

    Come quando tenti di difenderti da qualcuno da cui non vorresti mai farti vedere infelice.
    Anche se quelle persone ti hanno visto crescere e sanno cosa tu abbia passato.

    Come quando tenti di spostare i brutti pensieri e tenti di renderti semplicemente superiore.
    Pur sapendo di essere in netta minoranza.
    Pur sapendo che quei brutti pensieri ci sono eccome.

    E sono causati da quelle persone che dopo averti cresciuto…
    …non sanno nemmeno chi sei.




    *







    Rincasai quella mattina alle quattro o forse cinque.
    Spalancai la porta con un calcio e mi accasciai subito sul letto di camera mia ben consapevole che tanto quella casa era vuota.

    Mi levai le scarpe con i piedi rimanendo sdraiato su quelle fresche e morbide coperte stanco dell’intera giornata o nottata passata, con una voglia immensa di restare chiuso in quella topaia e rimanerci a marcire per sempre.

    Se non fosse stato per qualcosa che mi dava una voglia matta di andare avanti.
    Qualcosa o meglio qualcuno il cui sorriso malinconico mi rimbombava come un pesante mal di testa nelle tempie.

    La serata prima avevo lasciato Bill a casa sua dovendo correre di corsa dai miei compagni.
    Quando ero uscito da quell’immenso palazzo ero quasi certo di non essere più a Berlino o di essere almeno nella parte opposta della città poiché una via ricca e piena di ville con piscine come quella l'avevo vita solo in tv in quelle stupide fiction americane.

    Ero anche quasi sicuro che mi sarei sicuramente perso, cosi avevo dovuto chiedere informazioni ad un ragazzino sicuramente ricco sfondato che trotterellava per la strada. E in seguito gli avevo anche sorriso.

    La vicinanza di Bill anche solo un pomeriggio mi aveva reso uno stupido rammollito.

    In seguito alle informazioni di quel ragazzino su come arrivare alla prima fermata degli autobus possibile, ero riuscito a tornare nel centro contaminato e malfamato di Berlino, arrivando così in una mezz’ora nel mio quartiere, quello sotto il dominio della mia banda di delinquenti.
    Non che ovviamente facessimo del male a qualcuno sia chiaro, però... risse, scambi di droga,
    quelle cazzate che si fanno quando si ha 17 anni e si è figli di nessuno.

    Quando la strada diventa la tua casa e l’eroina la tua migliore amica.

    Quel quartiere era nostro, l’erba che ci girava sotto la nostra influenza, le donne sotto la nostra premura, le discoteche sotto il nostro possesso e la legge era la nostra legge.
    Era una cosa forte insomma, un qualcosa che ti fa sentire qualcuno, un qualcosa che ti fa sentire importante.

    Una cosa del tutto inutile ma che almeno ti da una casa.


    Georg, Andreas e Gustav erano i miei migliori amici. I più raccomandabili del gruppo insomma.
    E poi vi erano gli altri scellerati. Peter, Ren, Heinrich e Ludwig erano quelli più simpatici e sempre presenti all’interno del team. E diciamo anche le nostre spie.

    Loro erano i miei amici, o almeno qualcuno su cui poter contare quando ti serve un po’ di roba, tutto qui.

    Di amici veri non ne avevo, o meglio…avevo Bill.

    Notizia entusiasmante della serata prima era che avessero trovato quel gruppo di teppistelli ancora giovani che, non conoscendo quanto il nostro gruppo fosse pericoloso e da tenere alla larga, avevano preso il controllo di una discoteca del nostro quartiere.
    E addio teppistelli, la notizia meno entusiasmante era andare a prenderli a pugni e fargli “cambiare idea”.

    E quando mi ero ritrovato davanti un mocciosetto dagli occhi come i suoi…
    Come quel ragazzo che era entrato nella mia esistenza…
    Il volto di Bill si era sovrapposto a lui. Avevo notato che gli occhi di quel ragazzino che rischiava di rimanerci secco tra le mani avevano la stessa emotività che avevo letto negli occhi di Bill tante volte.

    E ne ero rimasto sorpreso.
    Ero rimasto sorpreso dal fatto che quella fosse paura, che quello fosse il terrore della violenza, e che quel sentimento…senza accorgermene, era sempre stato negli occhi di Bill.



    Lo avevo lasciato andare.
    -Sparisci- gli aveva sussurrato.
    E quel moccioso si era messo a correre senza voltarsi indietro.
    Perché aveva avuto paura di me.





    *








    La porta sbatté di colpo alle mie spalle.

    -E SMETTETELA DI PARLARE; VOI NON SAPETE NULLA DI ME- continuai a urlare.
    Le lacrime che scorrevano veloci, la maschera da duro che se ne era andata felicemente a farsi fottere.

    -Perché dici cosi??- cinguettò mia madre –perché non vuoi capire che lo facciamo per il tuo bene?- continuò tentando di darsi del contegno davanti a Margot.
    Gli altri inservienti che sentite le grida erano corsi verso di noi e la porta che avevo fatto sbattere alle mie spalle per non far loro vedere mia madre in quelle condizioni, perché un po’ di pudore ce l’avevo…io.

    -Perché è vero Simone!- continuai guardandola con quanto più disprezzo avevo in corpo.
    -Perché non la chiami mamma, è? Che rispetto porti verso i tuoi genitori??- sentii tuonare forte mio padre per la prima volta in vita mia.

    Quella discussione stava degenerando troppo.

    -SO GIA’ DI COSA STAVATE PARLANDO SAI??LO SO CHE VI SENTITE UMILIATI DALLA MIA PRESENZA NON è COSI??- gridai facendo sfrecciare il mio sguardo tra loro due.
    La gola che mi bruciava da diventare pazzo.
    L’aria che mi grattava nella bocca come ricoperta di spilli ardenti.

    Io non gridavo mai.
    Parlavo poco perché sapevo che l’odore nella bocca diventa sapore.

    E quello fa male da impazzire.



    -SO GIA’ CHE MI ODIATE PERCHE’ NON POTRETE AVRE MAI UN FIGLIO AVVOCATO COME VOI. PERCHE’ PER COLPA MIA QUESTA STUPIDA FAMIGLIA SI INTERROMPERA’ COSI.- continuai sentendo che nessuno aveva la minima voglia di fermarmi o meglio che nessuno…ne aveva il coraggio.

    Sapevano…sapevamo tutti che avevo ragione.

    -E NE VADO FIERO. QUESTA MERDA FINIRA QUI CON L’ULTIMO DEI TRUMPER CHE
    PER COLPA DI UN INCIDENTE NON POTRà MAI ACCOSTARSI AD UNA DONNA ED AVERE DEI BAMBINI!-

    -Non chiamare questa famiglia merda, ragazzino!-

    -Fermati Gordon- mia madre lo tirò da un braccio per calmarlo mentre lui si avvicinava pesantemente a me.

    La testa…stava facendo male.


    -Non è colpa nostra se purtroppo non sei come dovresti essere- continuò.





    E questa volta a stare zitto fui io.

    Sposati lo sguardo su Margot seduta terrorizzata dietro a mia madre impaurita di prender parte alla conversazione.

    Vidi mia madre piangere ancora più forte aggrappata al braccio di mio padre e quella bestia, che padre ancora avevo il coraggio di chiamare, che mi guardava con gli occhi ardenti e quello sguardo che prima di quella stupida violenza aveva la stessa scintilla del mio.

    Scintilla che era svanita sotto il soffio di una notte gelida.

    -E’ vero...- sussurrai questa volta rabbuiato e stanco –Non è colpa vostra se non avete neanche l’intelligenza di capire che...-




    Avrei voluto dire: che questo non lo faccio per farvi un dispetto mi dispiace.

    Che questo fa più male a me che a voi.




    Sapere che non potrai mai avere una famiglia, che non potrai mai stringere a te la persona che ami e poterla baciare sulle labbra dichiarandole tutto il tuo amore.
    E poter vivere una vita normale come qualsiasi ragazzino della tua età
    E poter uscire...e sorridere alla vita.




    Avrei voluto dire.... Se uno schiaffo non mi avesse colpito in pieno volto facendomi cadere a terra.





    Facendo riaffiorare delle paure che avevo tentato di accantonare.

    Facendomi perdere quella minima virilità che mi dava ancora l’aggettivo di uomo.

    Distruggendo tutta la mia volontà e il mio orgoglio. O quel poco...che ne era ancora rimasto.

    -NO!!!- sentii urlare mia madre mentre tirava a se mio padre con la faccia sconvolta dal terrore.
    -COSA HAI FATTO SEI IMPAZZITO?- continuò guardandolo impaurita.
    E lui rispose al suo sguardo, anche lui terrorizzato.
    La mano tremante, gli occhi spalancati.

    Perché da quella volta papà...ricordi? Nessuno mai avrebbe più dovuto anche solo tentare di sfiorarmi con violenza.





    -Perdonatemi se sono anormale- sussurrai rialzandomi a fatica. Il volto scuro, la guancia congestionata, il corpo scosso dal tremore.



    Perché sai papà, le cure servono a coprire,ma sotto ribolle la ferita





    -Ma almeno nella mia anormalità ho ancora il coraggio di capire...-



    La ferita e il ricordo che quella notte...rimasi inerme in quel vicolo con un decimo del mio sangue nelle vene.
    In bilico.






    Mi rialzai veloce e corsi via spalancando la porta.




    In bilico su un filo







    Lasciandomi dietro le spalle le loro grida di richiamo, le loro inutili scuse...
    uscii di casa fuggendo chissà dove.












    Su un filo


    Tra la vita...












    ...e la salvezza...























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