«Hai paura della notte?

NC17,Adult Content,Non-con,Long Fic

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  1. MiikHy_Deafening
     
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    ahahaha, non ti preoccupare che anche qui le radiazioni hanno fritto abbastanza neuroni nella mia testolina xD

    ecco il chappy v.v

    Autore: Me xD
    Rating: NC17
    Avviso: Angst; Adult Content; AU; Blood; Drug Use; Violence; Smut; Non-con;
    Genere: Long Fic
    Disclaimers: ciò che scrivo è inventato O_O, Tom e Bill non mi appartengono anche perchè sennò non starei qui O_O, Tom e Bill non si amano e se lo fanno di certo non lo dicono a me O_O, non ci guardagno un ficoletto inacidito O_o ne ce lo voglio guardagnare x°D.
    Riassunto:
    Ero Tom Kaulitz diamine.
    Non credevo nell'amore, non esisteva, ne avevo avuto la certezza.
    Ma a me andava benissimo cosi...



    Incredibile come poi tutte le mie certezze sarebbero crollate...







    « ● Hai paura della notte?






    image














    IX Capitolo





    -Hey ragazzino-
    un signore che avevo per sbaglio toccato con la spalla nella mia tremenda corsa si fermò voltandosi indignato verso di me. Non lo stetti nemmeno a sentire, continuai senza sosta a tagliare il vento senza badare a dove stessi andando.

    Stavo correndo.
    Non ricordavo da quanto, non ricordavo nemmeno il perché.
    Ero voluto scappare tutto qui. Scappare da tutto ciò che mi stava opprimendo, da tutto ciò che mi aveva sempre distrutto, spappolandomi il cuore.

    Il vento che si infrangeva forte sulle guance ghiacciando le lacrime che inutilmente tentavo di fermare.
    Perché stava accadendo tutto quello?
    Che cosa avevo mai combinato per meritarmi di essere semplicemente un giocattolo, un nessuno, per chiunque?

    Boccheggiai un attimo giunto di fronte alla strada principale che ricca di negozi si mostrava di fronte a me.
    La gente brulicante che indaffarata svolgeva i loro affari.
    Non si curarono di me,
    ed io non mi curai di loro.

    Il corpo provato da una corsa affaticante che non mi era solito provare era sudato e stanco, il cuore batteva veloce come preso da chissà quale scarica elettrica e l’aria, come una grattugia nella gola, tagliava le corde vocali con forti e veloci fendenti mentre queste boccheggiavano di sangue gridando vendetta.

    Mi sedetti.
    Sostai sotto un piccolo portico su un parco piuttosto abbandonato.
    Tranquillamente lontano da tutta quella gente e dal traffico di quella città.
    Dimenticato persino da me stesso.

    E mi addormentai per non so quanto.
    Quando riaprii gli occhi però capii che le quattro del pomeriggio erano sicuramente passate da un pezzo.






    *








    -Tom cazzo sei un grande!- mi urlò dietro Georg dandomi una pacca sulle spalle.
    -Ti portò un po’di erba fresca e te mi ricompensi con tutte queste smancerie? – sorrisi camminando accanto a lui –lo farò più spesso allora- continuai avvicinandomi la canna tra le labbra.

    Poi alzammo lo sguardo sentendo un goccia posarsi sul mio naso.
    -Oh merda sta per iniziare a piovere- sospirò Georg spostando il suo sguardo verso terra.
    -Quando sono uscito non faceva cosi schifo- dissi io tranquillo continuando a camminare per le strade di Berlino.
    Le ragazzine che vestite come degli stupidi manichini si atteggiavano a fotomodelle mentre ci passavano vicino tentando di attirare la nostra attenzione.

    Puttanelle, puttanelle e basta.

    -Credo che verrà giù un temporale- sentii poi dire da un vecchio uomo seduto su un tavolinetto di un bar mentre gli passavamo accanto.
    Lo guardai.
    -Dice sul serio?-
    Il volto dell’uomo rangrinzito e stanco a causa della vecchiaia era però illuminato da due grandissimi occhi che, seppur assottigliati, erano ricchi di luce e serenità.

    Quella serenità che si ha sapendo che sì, si è vecchi, ma che si hanno fatte grandi cose delle quali andare fiero.
    Aver costruito una famiglia, avere dei nipotini felici e sapere che per quanto tutti vedano in lui solo un vecchio vicino alla morte, lui non lo è, è un anziano con ancora tanti anni da vivere e tanti nipotini ancora da allevare.

    -Oh si caro giovane, il meteo ieri sera diceva proprio che ci sarebbe stato un temporale. Una bufera. Spero davvero che non combini danni in città.-
    Sorrisi alle sue parole.

    -Tom che ti ridi? Caspita una bufera, io me ne torno a casa mia- sentii Georg borbottare mentre si apprestava a riassestarsi la giacchetta.
    -A domani compare- disse poi con la sua solita sbruffagine accellerando il passo verso il centro di Berlino.

    Sospirai grattandomi il capo.
    Sorrisi ancora ringraziando il pover’uomo.
    -Grazie davvero signore.-
    -Di niente giovane. E butta quella cosa che fa male!- cintinuò guardandomi critico.
    Io sorrisi ancora.
    -Sa che anche un mio amico me l’ha detto?- risposi senza fare caso alle mie parole.
    E poi ripresi a camminare scrutando la cappa nera che ormai ricopriva Berlino.
    Tenendo ferma la canna tra le dita.

    Già, anche un mio dolcissimo amico mi aveva detto che facevano male.
    Male mai quanto la sua lontananza.






    *








    Diamine, la pioggia scrosciava veloce sulle vie di Berlino mentre correvo sotto di questa non sapendo nè dove fossi nè tantomeno come tirarmi fuori da quel casino.
    A casa non ci volevo tornare.
    Quella non era casa mia.
    Era una prigione, lo era sempre stata.

    Eppure lì almeno ero al sicuro.

    Correvo mentre la pioggia mi appicicava i capelli sul viso, era gelida e faceva freddo.
    Sì...Faceva un freddo da impazzire e il cielo si era fatto scuro, il sole coperto da una cappa nera era sicuramente tramontato da un pezzo e la luna, la luna non c’era quella notte.

    L’unica cosa che illuminava quelle vie erano i suoi negozi, i lampioni, la gente che ancora iperattiva continuava a fare compere e a correre a destra e a sinistra per le sue vie.

    Non ero mai stato lì, io, non ero mai stato a Berlino.
    Vivevo in una zona non molto lontano ma ben oltre, come in un altro mondo.
    Lì vi era tranquillità, lì non vi erano negozi, vi erano ville, ville a schiera e basta.

    I miei incubi la notte mi riportavano in posti come questi, luoghi frenetici e asfissianti, luoghi dove vi era la gente, dove era notte, dove ero solo.

    Quel luogo per eccellenza.
    Dovevo scappare subito da qui.

    Senza pensare oltre, tentando di non ascoltare il suono dei tuoni che aleggiava nell’aria bagnata e tentando di schivare quanta più gente mi fosse possibile, il naso chiuso con una mano e la bocca aperta in modo disumano ed ansimante, mi muovevo veloce in quella lunghissima e vivissima via.
    L’odore leggermenete attutito dalla pioggia fu forse in quel momento la mia salvezza.

    I miei avevano chiamato forse la polizia?
    Qualcuno si era forse preoccupato di venirmi a cercare?

    Sapevano che non osavo attardarmi oltre le quattro del pomeriggio in veranda, come si stavano comportando ora che mi avevano perso oltre il loro castello in una notte buia e in piena tempesta?

    Forse mia madre era preoccupata per me.
    Sicuramente i miei dottori erano subito accorsi a casa dopo le sue incessanti chiamate.
    Aveva sicuamente rimproverato mio padre.

    Tutti sapevano che qualsiasi cosa ricordasse quella notte mi faceva male.
    Distuggeva quella tranquillità e serenità che magari in mesi e mesi avevano tentato di ridarmi, di ricostruire.

    Non criticavo a mia madre tutto quello che faceva per me, per curami da tutto ciò ch mi era accaduto.
    Criticavo i miei genitori per non avermi dato forse l’unica cosa che avrebbe potuto salvarmi.
    L’affetto. Il loro semplice affetto che avrebbe potuto darmi quella poca sicurezza di cui avevo bisogno. Solo quella.
    E ormai era troppo tardi.

    E se gli altri mi vedevano come una piccola creatura indifesa, lo ero.
    Per quanto il mio carattere fosse forte e deciso lo ero.
    Ero infinitamente debole.
    Infinitamente stupido ed inutile.

    Mi morsi il labbro mentre la testa doleva da impazzire e senza rendermene neanche conto mi infilai in un vicolo tentando di proteggermi in qualche modo da quella pioggia.

    Mi appoggiai su una parete del sudicio posto chiudendo gli occhi e aspirando piano piano.
    Dove stavo andando?
    Non avevo un luogo dove stare, non sapevo nemmeno dove fossi.

    Non ero mai uscito da quella prigione, quando ero piccolo ricordavo di aver preso una volta forse qualcosa per potermi spostare da un luogo all’altro, ma cosa?
    Che cosa diamine mi dava la forza di scappare e di continuare a correre
    invece di lasciarmi andare in questo vicolo, e di morire??


    Non lo sapevo.
    Volevo solo che tutto finisse, in quel momento, subito.
    Che le tenebre mi avvolgessero.
    Che quel qualcosa che mi aveva cambiato la vita da un giorno all’altro sconvolgendo tutto ciò che per anni avevo costruito arrivasse
    E mi dicesse: “Non hai superato la prova. Sei fuggito. E continuerai a farlo
    Game over

    Game over Bill.





    La pioggia continuò a far colare quel poco di trucco che mi rimaneva in faccia.
    Il gelo filtrato nelle ossa aveva reso la mia pelle un susseguirsi di fremiti.
    Stavo anche singhiozzando forse. Non vedevo, non sentivo niente.
    Percepivo e basta.

    Non volevo aprire gli occhi, non volevo ascoltare tutto quello eppure lo feci.
    Aprii le palpebre.

    Mi resi cosciente per un attimo del presente.


    Un vicolo.

    Il Buio.

    I Tuoni.

    Il freddo.



    -Hei ragazzino- sentii provenire dalla parte più remota di quel postaccio.
    Sussultante e con gli occhi spalancati mi voltai.
    C’era qualcuno lì, c’era qualcuno in quel maledetto vicolo con me.
    QUELLA NOTTE.

    -NON TI AVVICINARE!- urlai in preda al panico indietreggiando verso la strada principale che era a quattro, forse cinque metri da me.

    -Ragazzino non urlare, volevo solo chiederti un favore-
    -NON TI AVVICINARE HO DETTO!- continuai.
    Le lacrime sul mio volto spettrale che cadevano.
    Non vedevo nulla.
    Non vedevo.
    Non…

    Tentai di scappare zoppicante, inciampai. Caddi con le mani sul cemento sporco.
    Sentii l’odore metallico del sangue a malapena percettibile dalla mia mano scorticata a terra.

    -Dove vuoi andare ragazzino?- continuai a sentire mentre qualcuno si avvicinava a me.
    Velocemente.
    E il suo tono non era più gentile.
    Era…malizioso.

    -Diamine- digrignai i denti tentando di ritirarmi in piedi il più in fretta possibile.
    Il corpo sporco e gelido che non si tirava su.
    Perché? Perché ero cosi maledettamente debole?

    Tentai, tentai ancora, ma le gambe tremavano, la testa era pesante, gli occhi offuscati.

    I tuoni rimbombavano nella testa.
    I ricordi.
    Quello schifosissimo sapore.

    L’odore del sesso

    -Non urlare…-

    -NOOO!!-

    Sentendo la mano strusciare sul cemento lurido di quell’inferno sentii altro sangue scorrermi lungo le dita.
    Non ci feci caso. C’era un altro odore che lo sovrastava.
    Quello di una mano che mentre tentavo di rialzarmi mi aveva preso la caviglia tirandola verso di sè.

    -Dove vuoi andare puttanella?-
    mi sentii sussurrare nell’orecchio mentre qualcosa di potente mi spingeva verso il muro di quel vicolo, verso la sua oscurità, petto contro petto, schiacciato sotto il suo peso.

    -La-lasci-mi- balbettai mentre tentavo di dimenarmi dalla sua presa.
    -La-lasciamii- continuai piangendo mentre sentivo le sue labbra sul mio collo stridere.
    Mentre sentivo quell’odore tornare.
    Il sangue ribollire.
    E il disgusto di quel giorno.

    Sbatté il palmo della sua mano sulla mia fronte facendola cozzare sull’angolo di quel maledetto vicolo.
    E piangevo, singhiozzavo come non mai sotto le sue botte potenti.
    Perché?


    Perché il destino era così crudele?
    Che cosa avevo fatto?
    Che cosa aveva fatto sì che mi guadagnassi tutto quello?

    Sentii le sue mani stringermi famelici i fianchi e respirare sul mio collo.
    -Sei bellissimo!- mi sputò sulla gola mentre famelico spingeva
    spingeva ciò che rimaneva di me contro quel muro.

    Che cosa aveva fatto sì che avessi quel corpo?


    Senza rendermene conto caddi seduto a terra.
    Non vedevo nulla, era tutto scuro.
    Quell’omone mi era completamente addosso.

    E per un attimo sperai anche che mi facesse suo.

    Come quella notte.

    Che mi rendesse protagonista di qualcosa.
    Che mi usasse come una bambola come facevano tutti.
    E che mi gettasse come poi tutti erano soliti fare.

    Non ero nulla, era come se non esistessi, e solo una persona aveva fatto sì che splendessi per una volta.
    Quella persona che aveva dato uno spiraglio di luce alla mia vita.




    -Cosa ci faccio qui?-






    Quella persona si chiamava Tom…




    -Bill…sto-sto bene-






    Quella persona aveva salvato la mia vita




    -Con che coraggio mi hai raccolto?-






    Quella persona mi aveva considerato come lui, come una persona normale.





    -Siamo amici no?-






    Quella persona…mi voleva bene…





    -Amici-






    Tom…




    -è un onore essere qui-






    Tom…




    -Ciao!-






    -…Tom…- sussurrai.


    Ripresi fiato.

    Io volevo vivere per rivedere Tom.

    -Lasciami- biascicai piano. Lo sguardo basso.
    -Che cosa?-
    -Ho detto DI LASCIARMI- gridai sporgendomi verso il suo braccio.
    Lo morsi.
    Morsi con quanta più forza avessi in corpo e lo sentii gridare e scattare all’indietro stringendosi la ferita.

    Il suo sangue sulle mie labbra.

    Mi rialzai schivando le sue mani, corsi, corsi verso la fine di quel vicolo che pareva non arrivare.

    Le tenebre che avevano ricoperto tutto e tutti rendevano la città spettrale.

    Le persone mi guardavano sfrecciare zuppo, i vestii sgualciti e sporchi, la disperazione dipinta sul mio volto.

    Inciampai due o tre volte, non mi voltai indietro.

    Dovevo andarmene, volevo Tom, volevo solo lui, dove era, dove diamine era?

    Scesi delle scale.
    Era l’unico posto al coperto da tutta quella pioggia che continuava imperterrita a cadere.
    Correvo, strano come la mia vita nell’arco di poco tempo sia diventata un’incessante corsa.
    Come per recuperare tutto il tempo perduto.

    Cos’era quel posto?
    Su un cartello lessi Underground.
    Le avevo viste in qualche film, ne ero sicura.

    Vidi solo delle porte che stavano per chiudersi.
    Dove avrebbe portato quella cosa?
    Non lo sapevo.
    Sentivo solo che dovevo correre.
    Correre correre e correre, ancora.

    Mi infilai tra le porte che stavano per richiudersi.
    Aspirai per riprendere fiato.
    Non l'avessi mai fatto.
    Sbarrai gli occhi mentre il petto di qualcuno spingeva la mia fragile immagine contro la porta.

    Pochi secondi che parvero un’eternità e iniziai a tossire, forte, come non mi era accaduto mai.
    Le voci della gente e la loro altezza che coprivano il mio corpo non accorgendosi di me.
    Poggiai la mano sulla porta ormai chiusa di fronte.
    La testa chinata verso il basso.
    Sputai della saliva.
    I fremiti si impossessarono del mio corpo.
    E sentii le gambe cedere...

    ...se qualcuno non mi avesse afferrato da dietro portandomi un braccio sullo stomaco e sostenendo la mia figura.

    Allontanando tutto ciò che mi circondava.

    Vidi delle braccia piantonarsi intorno a me su quella porta
    Lasciandomi dello spazio come per respirare.

    Ma l’aria, l’aria era pesante come veleno
    E mi girai verso quella figura senza guardarla in faccia.

    Affondando il volto nella sua morbida felpa.
    Aspirando quell’odore forte e chiaro
    Come un malato attaccato alla sua bombola di ossigeno.




    L’odore di Tom.

















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