Balliamo sul mondo

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  1. tombillina
     
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    Titolo: Balliamo sul mondo
    Autore: tombillina
    Genere: Romantico, Erotico, Triste, Language
    Raiting: G/PG
    Avvisi: Deathfic, Fluff
    Cap: 1 2 3 4 5 6 7
    Note: Salve a tutte!! Questa è la mia prima fan fiction ma ho provato già a postarla su un altro forum. Purtroppo lì è solo uno a commentarla :tytu: Allora ho provato a postarla su questo forum, sperando che abbia più successo. Buona lettura.

    CAPITOLO 1
    Ero seduta su una scomoda sedia che si trovava all’interno di un piccolo bar del centro. Guardavo impaziente l’orologio sperando che quella mattina finisse. Non ero andata a scuola ed era la prima volta che mancavo ed i miei genitori non lo sapevano. Mi guardai intorno. Ero fuori luogo dato che in giro c’erano solo persone grandi, tra l’altro mi osservavano tutti, era un po’ difficile incontrare una ragazza di 17 anni per le strade di Berlino alle dieci di mattina. Sbadigliai assonnata, erano sei ore che vagavo senza meta. Non mi preoccupavo del fatto che non ero andata a scuola, non sarei più tornata in quella casa. Non avrei mai più rivisto i miei genitori. Tra poche ore sarei partita per Amburgo. Mi ero procurata il biglietto poche ore prima in un’agenzia di viaggi. Mi aveva fatto un ottimo prezzo, e l’importante era che non aveva fatto domande indiscrete che mi potevano mettere in difficoltà. Ora aspettavo solo le due dato che a quell’ora avevo il treno. Mi preoccupava molto però il fatto di essere vista da qualcuno dei miei compagni, o peggio dai miei genitori. Passate due o tre ore dall’orario del mio solito ritorno, avrebbero di sicuro chiamato la polizia. Immaginavo già la mia faccia su tutti i giornali e tv. Immaginavo già i titoli del telegiornale con sopra la mia foto. Mi domandai dove fosse finita la ragazza intelligente e riflessiva quale ero. Mi pentii di essere scappata. Addirittura mi pentii di essere nata. Chiusi gli occhi. Dopo un po’ un leggero venticello mi riportò alla realtà. Guardai l’orologio e mi venne un colpo. L’una! Mi alzai di scatto e incominciai a correre verso la stazione che era in periferia. Distava circa tre quarti d’ora a piedi. Di corsa forse avrei impiegato meno tempo. Mi guardai indietro per vedere se qualcuno avesse notato il mio scatto improvviso da maratoneta. Sfortunata com’ero però, inciampai nel gradino del marciapiede che non avevo visto e caddi sbucciandomi le ginocchia. Me le sfregai imprecando e ripresi a correre sempre più velocemente per paura di arrivare tardi e perdere il treno. Dopo mezz’ora di corsa ininterrotta la stanchezza si faceva sentire. All’improvviso avvertii una fitta al fianco che mi costrinse a fermarmi. Mi sedetti su un gradino del primo portone che trovai. Chiusi gli occhi e ne approfittai per prendere fiato. Quando mi passò il fiatone mi alzai e presi a camminare lentamente respirando a pieni polmoni. Fortunatamente avevo solo una borsetta leggera da portare. Scostai la manica e diedi un’occhiata al mio orologio da polso. Bene, ero quasi arrivata ed erano le due meno venti. Accelerai il passo. Tra cinque minuti sarei arrivata, dopodiché addio Berlino… sarebbe iniziata una nuova vita. Un grosso cartello attirò la mia attenzione. Lo lessi e presi a saltellare: ero arrivata alla stazione! Attraversai il parcheggio per le auto e mi diressi verso il mio binario. Mi sedetti su una panchina e attesi. Dopo pochi minuti sentii il campanello che usavano per avvisare dell’arrivo di un treno. Mi alzai, presi la borsetta e mi avvicinai alla striscia gialla che non si poteva oltrepassare. Subito dopo, ecco il treno arrivare veloce e puntuale portando una folata di vento che mi fece rabbrividire. Mi strinsi di più nei miei vestiti pesanti e mi diressi alla porta aperta più vicina. Salii e mi avviai alla ricerca di un sedile non occupato e meno sporco. Dopo averlo trovato, mi ci stravaccai e accesi l’iPod. Le canzoni passavano veloci così come il tempo. Ad un certo punto un forte scampanellio annunciò la prossima fermata del treno.
    Sarei dovuta scendere lì. Fortunatamente avevo il volume al minimo e potei sentire. Mi preparai spegnendo l’iPod e riponendolo nella borsa. Guardai l’orologio. Erano passate tre ore da quando avevo lasciato la mia città. Mi alzai avviandomi verso le porte scorrevoli dalle quali si usciva. Dopo poco, il treno si fermò e io fui la prima a scendere. Avevo fretta, avevo paura che qualcuno mi riconoscesse. Di sicuro i miei genitori avevano già avvertito la polizia. Non appena misi piede a terra presi a tremare per il freddo. L’improvviso sbalzo di temperatura tra il calduccio del treno e il freddo del’aria di Amburgo mi fece rabbrividire. Mi guardai attorno. Erano le cinque ed il sole stava già tramontando. Attraversai la stazione semideserta e incominciai a vagare senza una meta precisa. Respirai a pieni polmoni quell’aria gelida che mi congelò i canali della vie respiratorie. Mi strinsi ancora di più nel mio cappotto e arrivai ad una panchina. Mi stesi e mi sfregai più volte le mani per riscaldarmi. Subito dopo però mi colse il sonno.
    ***
    Mi svegliai infreddolita e con una fame pazzesca. Mi alzai e raccolsi la mia borsetta che avevo nascosto sotto il cappotto. Notai però che non c’era più. Già in preda al terrore tastai più volte tutti i possibili punti di dove poteva essere finita. Non trovai niente. Rassegnata, mi incamminai con le mani in tasca alla prima centrale di polizia per denunciare il furto ma mi bloccai. Sicuramente i miei avevano già dato l’allarme. Guardai l’orologio. Almeno mi avevano lasciato quello. Avevo dormito più di due ore. Ripresi a camminare senza meta verso il centro. Quando vi arrivai notai una limousine nera che stava per partire e nella quale entrarono quattro ragazzi tutti vestiti di nero ed incappucciati. Io mi affrettai a seguirli con un tram. Dopo un quarto d’ora scesero ed entrarono in una lussuosa villa. Aspettai che entrassero ma il cancello automatico si richiuse subito dopo. Sbuffai e mi avvicinai all’alto muretto che costeggiava la villa. Sospirai e mi arrampicai. Dopo vari tentativi ce la feci e notai una stanza la quale luce era stata appena spenta. Mi avvicinai e tirai un sospiro di sollievo. Fortunatamente era al piano terra. Mi alzai sulle punte e mi tirai su con le braccia sedendomi sul davanzale esterno. Abbassai lo sguardo sulla chiusura. Botta di fortuna, era aperta. La alzai con tutte e due le braccia e questa si aprì di scatto, facendomi cadere sul duro pavimento. Mi guardai attorno. Ero “atterrata” nella cucina. Subito dopo sentii dei passi sempre più vicini e la luce si accese di colpo.


    Vedrò se la posso continuare: se nessuno la commenta, mi sembra logico che non possa più postare, ovviamente se non vi piace qualcosa, se ho sbagliato e ho fatto errori grammaticali correggetemi. Accetto commenti anche negativi per migliorare nella scrittura e vi prego, esprimete la vostra opinione. Su un altro forum sono già avanti di qualche capitolo e posterò con più frequenza, ovviamente se commenterete ^^

    Edited by tombillina - 17/6/2010, 23:56
     
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  2. Chan_
     
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    secondo me è molto bella, come inizio mi prende..
    posto voglio leggere la continua ^^

    scrivi molto bene cucciolina :D
     
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  3. Hysteria. 95 <3
     
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    A me piace moltissimo sai! ^^
    Scrivi molto bene.. Spero la continui presto..
    Un bacione!
    Sylvia.
     
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  4. tombillina
     
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    Grazie, sono davvero lusingata. Adesso posto il 2° capitolo ^^

    CAPITOLO 2
    La luce accecante mi fece chiudere gli occhi di scatto. Non appena li riaprii vidi davanti a me un ragazzo con le treccine nere e i vestiti larghi che mi osservava sorpreso. Quando vide che lo scrutavo impaurita, mi sorrise spavaldo e mi si avvicinò. Mi si inginocchiò affianco e, non appena vide il sangue che mi colava dalle ginocchia, i jeans strappati e insanguinati e si spaventò. Subito dopo arrivarono altri tre ragazzi molto strani che mi osservarono spauriti. Ci osservarono, me e il ragazzo con le treccine, e un rasta tutto in nero gli chiese, inarcando un sopracciglio:
    -Tom, la conosci?-
    Intuii che Tom fosse il ragazzo con le treccine. Lui scosse il capo e riportò lo sguardo su di me, indicando con lo sguardo le mie ferite. Gli altri ragazzi, non appena le videro, si precipitarono tutti verso di me. Ad un certo punto la testa mi sembrò pesantissima e dovetti stendermi a terra. Mi guardai per la prima volta dopo la caduta le mie ginocchia, dalle profonde ferite uscivano grumi di sangue. Mi rannicchiai sotto gli occhi impauriti di Tom, massaggiandomi i tagli. Chiusi gli occhi e immediatamente sentii che qualcuno mi prese in braccio. Sospirai mentre salivamo le scale. Mi sentivo protetta tra quelle braccia. Non arrivai neanche a metà scala, che gli occhi mi si chiusero e mi addormentai.
    ***
    Tom la osservava in uno stato di trance profondo. Era la ragazza più bella che avesse mai visto. Giaceva sul letto della sua camera che le aveva ceduto solo per quella sera. Una volta sveglia avrebbero visto. Dormiva a pancia in su ed il ventre si alzava e abbasssava per ogni respiro. Corpo esile e mingherlino, lineamenti dolci e capelli scuri con riflessi castani-rossicci. Era molto femminile, ma vestiva come un maschiaccio, indossava infatti una felpa nera molto larga, jeans scuri e scarpe Converse nere. Provò un pizzico di tenerezza e compassione vedendo dormire quel viso angelico. “Poverina, chissà da quanto tempo non mangia” pensò. “In fondo avrà solo 13 anni”. La stava ancora osservando e non si accorse che piano piano lei si stava svegliando. Non appena aprì gli occhi, infatti, la ragazza si guardò intorno spaurita, stava già per gridare ma lui la zittì:
    -Ciao. Non gridare. Ti ho portato nella mia camera perché ho visto che stavi poco bene. Non avrai mangiato.-
    La ragazza annuì e abbassò lo sguardo. Il chitarrista la guardava perso nei suoi immensi occhi verdi cervone. Erano veramente enormi. All’improvviso scosse la testa come si fosse risvegliato da un sogno e parlò:
    -Piacere, io sono Tom. Tu invece come ti chiami?-
    -Mi chiamo Sara-. Rispose la ragazza.-
    -Quanti anni hai?-
    La ragazza lo squadrò sospettosa.
    -Diciassette,e tu?-
    -Diciassette?- ripetè incredulo il chitarrista. –E io che ti avrei dato non più di tredici anni!-
    Sara arrossì per la rabbia.
    -Cavolo, ti sembro una di tredici anni?-
    Arrossì ancora di più. Aveva urlato forse un po’ troppo. Mormorò scusa e abbassò la testa. Dopo cinque minuti di silenzio imbarazzante nel quale nessuno dei due accennava a parlare per primo, Sara trovò il coraggio di parlare e disse:
    -Comunque, tu quanti anni hai?-
    Tom alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono. Quelli nocciola di lui fissavano quelli verdi di lei. Quelli verdi di lei fissavano quelli nocciola di lui. I loro sguardi si intrecciavano tessendo un lungo filo d’oro, una catena che non aveva fine. Ormai anche solo con uno sguardo si erano detti tutto. Si erano detti ciò che le parole non potevano esprimere. Si guardarono a lungo, un tempo che pareva fosse infinito, il ragazzo le si avviccinò, sempre più vicino, quando la distanza tra le loro labbra era quasi annullata, quando lei stava per chiudere gli occhi, cosciente del fatto che tra poco le loro labbra si sarebbero toccate, le loro lingue si sarebbero unite in una lunga e tenera danza, lui si fermò ad un centimetro di distanza dalla sua bocca rosea, facendo odorare alla ragazza il suo inebriante profumo che per lei erano diventate gocce di vita; dischiuse la bocca e sussurrò:
    -Venti.- Detto questo, si allontanò giusto in tempo perché poco dopo entrarono gli stessi tre ragazzi che erano entrati in cucina poche ore prima. Si presentarono uno a uno.
    Quello rasta era Bill, fratello gemello di Tom. Il rosso era Georg, mentre il biondo occhialuto era Gustav. Tutti e quattro, compreso Tom, formavano una band che si chiamava Tokio Hotel. Tom suonava la chitarra, Gustav la batteria, Georg il basso e Bill cantava.
    ***
    Erano entrati nella stanza. Io e Tom ci stavamo per baciare. In realtà quando si è fermato mi è un po’ dispiaciuto. Ci sono rimasta male, ma non gliel’ho fatto notare. Non voglio dare soddisfazioni alla gente. Fa parte del mio carattere. Ora i tre si erano presentati. Erano tutti gentilissimi, Tom ha detto loro il mio nome e mi hanno chiesto tutti come stessi. Dopo una mezz’oretta, Gustav, il “ragazzo con la testa più sulle spalle del gruppo”, mi medicò le ferite e me le disinfettò con l’alcool. Io intanto strillavo e mi dimenavo come una matta, ma lui mi ha detto:
    -Se non vuoi che ti porti all’ospedale per farti mettere i punti, zitta e sopporta il dolore.-
    Con queste parole mi ha fatto zittire anche solo per cinque secondi, perché sentendo il mio improvviso silenzio, si è girato verso di me ed è scoppiato a ridere. Io ho semplicemente inarcato il sopracciglio e ho sopportato il dolore gridando silenziosamente dato che aveva cominciato a mettermi di nuovo l’alcool. “In effetti”, pensavo, “se non ci fosse stato Gustav, a quest’ora mi sarei messa i punti”. Quando ebbe finito, lo ringraziai e lui mi accarezzò i capelli dicendo:
    -Non c’è di che. Ora riposa ancora un po’ perché tra poco ceniamo e dopo, se vuoi, ti facciamo sentire una delle nostre canzoni-.
    Io mi sistemai meglio sul letto, e esultai al colmo della gioia:
    -Siii!! Che bello!!- stava già partendo la sfilza di esulti, quando mi interruppe dicendo:
    -Sempre se farai la brava.-
    Detto questo, mi strizzò l’occhio e uscì dalla camera, richiudendosi la porta alle spalle.
     
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  5. Chan_
     
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    Bello bello bello!!!!!!!!!!!
    Up!!!!!!!!!!
    ti prego *___*
     
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  6. tombillina
     
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    Ecco qui il 3° capitolo, tanto ce li ho pronti per un bel pò


    CAPITOLO 3
    Avevo trovato nel cassetto del comodino affianco al letto un giornalino dove c’erano molti quiz e cruciverba e ora stavo facendo le parole crociate comodamente seduta sulla poltrona. I Tokio Hotel erano andati a ordinare le pizze per cena ed io, avendo tutte e due le ginocchia “ingessate”, ero rimasta sola a casa perché non mi potevo muovere. Tom però voleva rimanere perché temeva che qualcuno potesse entrare in casa, poi Georg l’ha convinto a venire dicendo che Saki, la guardia del corpo del gruppo, abitava alle spalle della casa, e se c’erano problemi, c’era lui. Sospirai rassicurata. Ero in quella casa da nemmeno un giorno e mi sentivo già protetta, a mio agio con le persone che ci vivevano. Pensai ai miei genitori adottivi. Avevano sicuramente già chiamato la polizia. Chissà dov’erano i miei veri genitori. Forse erano morti. Forse erano più vicini di quanto me l’aspettassi. Mi guardai attorno. Decisi di esplorare la casa, malgrado le ginocchia. Riposi il giornale sul tavolino e presi le stampelle che mi aveva procurato Gustav, santo ragazzo. Mi aiutai ad alzare aggrappandomici. Una volta in piedi mi diressi molto lentamente in cucina, dove c’era un grande tavolo, una cucina moderna ed un frigo molto capiente. C’era anche una finestra. Sorrisi. La stessa finestra dalla quale ero entrata. Abbassai lo sguardo e vidi delle macchie rossicce a terra. Era il sangue caduto dalle mie ginocchia. Georg aveva provato a lavarla con un migliaio di prodotti, ma si era solo scolorita un po’. “Non appena mi rimetto la pulisco”, pensai. Il mio sguardo venne attirato poi da un calendario. Mi avvicinai e lo osservai. Era appeso al muro con un chiodino, i mesi erano segnati in rosso mentre i giorni della settimana in nero. Ci passai una mano sopra. Era fine ottobre, novembre sarebbe iniziato presto. “Questo giorno non me lo dimenticherò mai”, pensai. All’improvviso mi venne un’idea. Volevo riportare su carta tutti gli avvenimenti –belli o brutti- della giornata. Mi diressi verso la rampa delle scale in cerca di un quadernetto o di qualche foglio. Facendo molta attenzione a non inciampare e aggrappandomi alle stampelle, incominciai a salire uno scalino alla volta. Gradino dopo gradino, dopo un quarto d’ora arrivai al primo piano. Mi diressi verso la stanza di Tom nella quale avevo dormito io quel pomeriggio. Frugai in tutti i cassetti, vi trovai un po’ di tutto: biancheria femminile, un pacco di preservativi e non appena mi capitarono tra le mani li rigettai indietro, schifata. Alla fine riuscii a trovare quello che cercavo: dei fogli, bianchissimi, e un cartone abbastanza rigido. Con quel materiale mi sarei fabbricata un diario dove avrei scritto tutti i miei pensieri e tutto ciò che mi capitava. Tagliai a metà i fogli che mi ero procurata e, mentre stavo per incollarli al cartone, sentii delle mani sconosciute posarsi sul mio ventre. Spaventata, mi girai e mi accorsi che era Tom. Sospirai. Ad un certo punto mi prese in braccio e mi gettò sul letto. Prese a baciarmi il collo mentre carezzava la mia pelle divenuta bollente che si trovava al di sotto della maglietta. Io gli dissi:
    -Dai, Tom, non ci conosciamo da neanche un giorno e già vuoi provarci?-
    Lui disse, con la sua solita spavalderia e sicurezza:
    -Non credi che questo sia un ottimo modo per conoscerci?-
    Io scossi la testa e mi allontanai, dato che comiciavo a sudare. Stavo cedendo. Nonostante mi fossi allontanata, lo sbruffone mi si avvicinò ancora di più, ma io ad un certo punto lo respinsi allontanandolo definitivamente con le mani. Restammo per un po’ a guardarci negli occhi. Lui sorrideva appena, quasi divertito, e aveva il fiatone. Lo divertiva quella situazione? Una gocciolina di sudore scese lungo la sua tempia. Anche lui aveva caldo, la cosa infatti stava diventando sempre più… eccitante. Non so per lui, ma per me sicuro. Se non lo avessi fermato, non so dove saremmo arrivati. Forse lui stava pensando la stessa cosa che pensavo io. Ringraziai mentalmente di averlo respinto, da un lato però mi dispiaceva. Ma se fosse entrato qualcuno, addio! Non osavo immaginare. Ad un certo punto si alzò dal letto e mi avvertì:
    -E’ pronta la cena-.
    Dopodichè mi aiutò ad alzare e e recuperò le mie stampelle che erano finite sotto il letto. Mi aiutò a scendere dalle scale e arrivammo in cucina dove gli altri avevano apparecchiato la tavola. Io avevo una fame tremenda e finii la pizza prima di tutti. Quando tutti finirono, ci sedemmo sul divano e guardammo per un po’ la TV. Naturalmente, Tom si sedette accanto a me e la cosa non mi dispiacque affatto. Verso le dieci, Gustav si alzò in piedi e disse:
    -Perché non facciamo sentire a Sara una nostra canzone?-
    Il resto della band annuì ed ognuno andò a prendere il proprio strumento. Mi fecero ascoltare la canzone “In die nacht”, dedicata ai gemelli.
    Una volta finita mi asciugai le lacrime cadute involontariamente sul mio viso e applaudii. Guardai poi l’orologio e sbadigliai. Si era fatto tardi. Salutai tutti e Tom mi aiutò a salire le scale e mi accompagnò nella sua camera che ormai era diventata la mia. Mi diede la buonanotte, e uscì richiudendosi la porta da dietro le spalle. Appena mi stesi sul letto, mi addormentai come un sasso.
     
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  7. Chan_
     
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    è bellissima! davvero!
    mi incuriosisce sempre di più.. posta al più presto donna!!!
    *me balla*
     
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  8. tombillina
     
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    Hihihihihi grazie, sono lusingata, davvero. Ora posto dato che i capitoli ce li ho già pronti


    CAPITOLO 4
    Mi svegliai un pò intontita. Le bende delle ferite si stavano srotolando, infatti il letto era decorato da qualche macchiolina di sangue. Presi le stampelle che erano appoggiate sul comodino ma scivolarono e andarono a finire sotto il letto, creando un rumore insopportabile. Cercai di recuperarle senza scendere dal morbido materasso ma caddi di testa a terra, facendo un rumore ancora più forte che sentirono tutti al piano di sotto. Rimasi in quella posizione per cinque minuti buoni perchè non mi potevo muovere: le bende si erano staccate del tutto, le stampelle erano finite ancora più sotto e in più sentivo dei passi farsi sempre più vicini.
    Infatti, dopo poco, irruppero nella stanza Georg e Tom che mi aiutarono ad alzare. Gerog disse che potevo provare a camminare senza stampelle, ma appoggiandomi comunque a qualcosa, e Tom si offrì di farmi da "stampella" umana. Io accettai, la cosa non mi dispiacque affatto. Georg dopo uscì e ci lasciò soli. Tom mi disse:
    -Come ti senti oggi, principessina?-
    Io lo guardai di traverso, lui scoppiò a ridere.
    Scendemmo le scale molto lentamente e dopo un quarto d'ora arrivammo finalmente in cucina. Tutti mi diedero il buon giorno, e ci guardarono (me e Tom) con un sorrisetto malizioso. Io arrossii e mi staccai subito da lui ma finii per terra. Tutti si misero a ridere.
    Mi alzai aggrappandomi al tavolo e mi sedetti sulla sedia più vicina. Bevvi una tazza di latte con alcuni biscotti e salii di sopra per lavarmi e vestirmi. Scelsi una tuta blu e delle scarpe da ginnastica bianche. Mi legai i capelli con un elastico nero e presi il mio diario. Rubai una penna dalla camera di Bill e mi misi a scrivere:
    "Caro diario,
    ti sembrerà stupido che a scriverti sia una ragazza di diciassette anni, ma sento il bisogno di farlo. Ho bisogno di qualcuno che mi ascolti, che mi stia a sentire anche senza parlare; di qualcuno che non mi critichi per quello che faccio e che non spifferi i miei segreti a nessuno. Ho bisogno di qualcuno che ascolti la mia storia e non si metta a ridere del mio passato. Ho bisogno di un amico fidato. Pensavo a questo e mi sono detta: <perchè non un diario segreto?> allora ho preso dei fogli di carta e li ho incollati l'uno all'altro. Anche senon c'è un lucchetto o una chiave per chiuderti, promesso: ti terrò al sicuro e ben nascosto. Ora devo andare, i ragazzi sono tornati. Ci vediamo presto, Sara."
    Sentii la porta della camera aprirsi e nascosi repentinamente il diario in un cassetto della scrivania. Era Georg, che mi avvisò che a pranzo sarebbe venuto il loro manager. Guardai l'orogio. Cazzo, le dieci! Mi dovevo dare una sistemata, non potevo presentarmi a David Jost in tuta! Guardai nell'armadio, non c'era niente. E ora?
    Qui ci voleva Bill, il mago dello stile, colui che se ne intendeva un casino di moda e seguiva tutte le tendenze. Mi catapultai fuori la stanza, gambe permettendo, e poi giù, a capofitto nelle scale. Travolsi Tom che stava salendo, e non appena arrivai in cucina vi trovai Bill, seduto al tavolo. Gli dissi:
    -Bill, ho bisogno del tuo aiuto!-
    Lui alzò un sopracciglio, incuriosito.
    -Per cosa?-
    -Per come mi devo vestire oggi a pranzo. Verrà David, il mio mito, e non vorrei sembrare disordinata.-
    La sua espressione interrogativa mutò in un sorriso a trentadue denti:
    -Siiii!!! Si va a fare shopping!! Siiii!!-
    E applaudiva come un bimbo contento. Io cercai di replicare:
    -No, non intendevo in quel senso, volevo solamente alcuni consigli!-
    Ma lui era aveva già messo in moto la macchina. Vi salii e chiusi lo sportello. Allacciai la cintura di sicurezza e il vocalist accellerò. In dieci minuti arrivammo ad un centro commerciale grandissimo. Bill respirò a pieni polmoni:
    -Ah, quanto mi mancava fare un pò di shopping!-
    Io scoppiai a ridere e si voltò verso di me, non capendo. Io gli feci segno di lasciar perdere.
    Mi portò nei negozi più costosi, e mi obbligò a comprare tutto. Non appena usciti, ringraziai dicendogli che tutto ciò non era necessario.
    -Avrai speso una cifra, Bill- commentai sarcastica.
    Lui mi guardò e disse:
    -Ti sembro uno che è a corto di soldi? E poi quando li uso per comprere i vestiti non sono mai sprecati.-
    Io annuii. Tanto con Bill non si poteva replicare. Arrivammo a casa e chiamò Gustav per portare le buste in casa. Soffocai una risatina. Mi piacevano i suoi modi da principessa. Entrammo in casa e salii con le mie buste. Tra poco sarebbe arrivato David, l'uomo che da sempre volevo incontrare. Mi misi un jeans e una felpa nera con il cappuccio, mi legai i capelli con uno chignon e trassi un profondo respiro. Stavo scendendo le scale quando qualcuno suonò alla porta.
     
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  9. Chan_
     
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    :5yth: :vytn: mi fai impazzire donna!!!!!!!!!!
    Uuuuuuuuuuuuuuuuuuup!!
     
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  10. tombillina
     
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    CAPITOLO 5
    Non appena Gustav andò ad aprire entrò un uomo tutto vestito di nero. Era lui! Incominciai a tremare e a sudare. Non si accorse di me, non appena avevo sentito il campanello ero risalita al piano di sopra. David disse buongiorno a tutti e la band al completo si precipitò in salone per salutare il loro manager, infatti lo abbracciarono calorosamente tutti e quattro contemporaneamente. Non appena si staccarono, si srotolò la sciarpa e la appese all'attaccapanni, così come il cappotto. Si andò a sedere sul divano e accese la televisione. Io lo spiavo dal piano superiore, ero accovacciata sul primo gradino di freddo marmo. Fortunatamente non mi vedeva, ma ad un certo punto sentii Georg che saliva le scale. Mi nascosi dietro la porta della prima camera aperta che trovai. Era il bagno. Trattenni il respiro perchè sentii che il bassista stava entrando proprio lì. Fortunatamente non fece nulla, prese solo un elastico e si legò i capelli. Si atteggiò qualche minuto davanti allo specchio facendo le smorfie da duro e io ne approfittai per uscire furtivamente e mi aqquattai sugli scalini per ritornare alla mia occupazione: osservare David in tutto il suo splendore senza farlo accorgere di ciò che stavo facendo. Ma, sfortunata come sono, ecco Georg che è uscito dal bagno, deve scendere le scale, e grida:
    -Sara! Sara! Ecco dov'era!-
    David, che stava bevendo un pò di birra, si stava per strozzare e sputò l'acqua sul televisore che si fulminò all'istante; uno spesso strato di fumo invase la casa. L'hobbit mi tirò per un braccio costringendomi a salutarlo, e io presi di nuovo a sudare. Mentre scendevamo, sentii il manager chiedere:
    -Chi è Sara?-
    Sentii deglutire la band al completo, in particolare Tom. Osservai il suo pomo d'Adamo alzarsi ed abbassarsi. Il suo petto si muoveva velocemente a causa del respiro molto accellerato. Nella casa, per la prima volta, regnò il più silenzio totale. Arrivai di sotto. Non appena mi vide arrivare, Tom disse
    -Ehm... Sara è...-
    Lo guardai in pieno volto. Era rosso in viso. Continuò, facendosi coraggio:
    -Sara è la mia fidanzata.-
    Mi sentii otto paia di occhi puntati addosso. Tom guardava in basso, ancora paonazzo. Io non appena sentii, diventai di tutti i colori; gialla, rossa, blu, verde, viola... Bill, con il suo solito modo di fare di voler sapere tutti i fatti di tutti chiese:
    -Veramente?-
    Bill, Gustav, David e Georg passavano in rassegna le facce mie e di Tom. Alzai lo sguardo verso quest'ultimo che annuì impercettibilmente. Io dissi, traendo un respiro:
    -Sì.-
    Si lasciarono sfuggire un'esclamazione di sorpresa dalle bocche aperte per lo stupore. L'espressione interrogativa di David mutò in un'espressione di felicità, di contentezza; gli angoli della bocca si sollevarono e le sopracciglia aggrottate si distesero.
    -Piacere, David Jost.-
    Cazzo, fà che non lo conoscevo!
    Mi risveglai come da un sogno e notai che mi porgeva la mano. Gliela strinsi:
    -Piacere tutto mio, Sara.- Balbettai, ancora incredula. Ero in uno stato di trance profondo.
    Dopodichè non fecero più domande, se ne andarono e ognuno ritornò alle proprie occupazioni. Uscii dalla casa e mi sedetti su uno dei gradini che si trovavano fuori alla porta. Pensai alle parole di Tom. Chissà se le aveva pensate veramente. Se non era vero, se era stato detto solo per evitare che David scoprisse com'ero arrivata in quella casa, nonsarebbe diventato rosso tutto d'un colpo! Mi alzai e presi a saltellare per tutto il cortile presa da un improvviso momento di sclero. Sentii la voce acuta di Bill annunciare:
    -E' pronto a tavola!-
    Io rientrai e arrivai in cucina. Casualmente, mi avevano sistemata vicino Tom. Mi sedetti e Gustav incominciò a servire i piatti. Aveva preparato la pasta al sugo, si sentiva un profumo! Divorai tutto il piatto in poco tempo, poi raccolse i piatti sporchi e li sostituì con quelli puliti. Servì la cotoletta, io presi un pò d'insalata insieme a delle carotine a rondelle. Mangiai il tutto con molto gusto, Gustav cucinava davvero bene. Finimmo verso le due e mezza, in fondo questo era un evento molto importante, la visita del manager avveniva una volta al mese. Ci alzammo dal tavolo tutti molto appesantiti, avevamo mangiato molto. Ci stendemmo sul divano e guardammo un pò di televisione, che aveva riparato Georg. Erano rimaste ancora però tutte le sputacchie di David. Io soffocai un risata per non sembrare pazza. Dopo un pò guardò l'orologio, si lasciò sfuggire un'imprecazione:
    -Devo stare al circolo golf tra un quarto d'ora!-
    Tom commentò, sarcastico:
    -Non si perde mai una lezione, vero Daviduccio?-
    -Io non penso solo alle ragazze come te.- rispose a sua volta, riuscendo a zittire il chitarrista. Salutò tutti, in particolare me, e mi disse:
    -Stai attenta a Tom, è un vero donnaiolo.-
    Scoppiò a ridere e io lo imitai, suscitando la curiosità della band al completo. Dopodichè sventolò una mano in aria mentre usciva e metteva in moto la macchina. Chiusi la porta e mi sedetti sul divano. Guardai l'orologio. Ero stanchissima e mi sentivo piena, a pranzo avevo mangiato come cento uomini, se non di più. Ora ero stesa comodamente sul divano, pensavo a Tom e a quello che aveva detto a pranzo. Da allora non ci eravamo più guardati. Mi alzai in piedi di scatto e salii le scale, chiusi la porta della mia camera e presi il diario dal cassetto. Mi dtesi sul letto e incominciai a scrivere:
    "Caro diario,
    oggi ho conosciuto David Jost! Era uno splendore dal vivo. Ha chiesto chi fossi, e Tom è intervenuto dicendo che ero la sua fidanzata!..."
    E continuai riempendo due pagine intere, riportando su un pezzo di carta le mie emozioni e i fatti avvenuti in giornata. Sentii bussare alla porta. Nascosi il diario sotto il cuscino e dissi:
    -Avanti.-
    Era Tom. Rimase in piedi vicino alla porta, io gli dissi di sedersi e lui chiuse la porta e si sdraiò, vicino a me.
    -Senti, la cosa che ho detto oggi...-
    Io sorrisi.
    -Non era vera. Era solo per non dare lunghe spiegazioni a David.-
    Il mondo sembrò crollarmi addosso. I miei occhi si spensero e il mio sorriso si tramutò in una smorfia triste. Gli angoli della bocca si incurvarono, ma proseguì:
    -Ma non sarebbe una cattiva idea se ci mettessimo veramente insieme.-
    Io rimasi interdetta, non ero pronta a questo, non ero preparata psicologicamente. Tom mi guardò, abbassando la testa da un lato:
    -Che ne dici?-
    Io, come mi fossi appena risvegliata da un sogno, risposi balbettando:
    -S-sì, n-non sarebbe una c-cattiva idea.-
    -Bene.-
    Lui sorrise soddisfatto e mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia. Uscì dalla camera augurandomi la buonanotte e non appena uscì presi a saltellare presa da uno dei miei soliti improvvisi momenti di sclero. Una volta calmata, mi stesi sul letto e incominciai a disegnare. Più che disegni, erano schizzi di me e Tom. Guardai l'orologio. Sospirai, le undici. Non provavo nemmeno ad addormentarmi, vivevo la favola più bella che potevo immaginare, e superava qualsiasi sogno.

    Ecco ^^ commentate grazie v.v
     
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  11. Chan_
     
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    è Bellaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
    Upp!!!! :)
     
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  12. Chan_
     
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    Up!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Ti pregoooo *____________*
     
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  13. tombillina
     
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    Ok, scusate ecco il chappy!

    CAPITOLO 6
    Mi svegliai con un mal di testa insopportabile. Guardai l’orologio. “Che pretendi, Sara, hai dormito solo un ora”, mi dissi mentalmente. Posai lo sguardo sui disegni della sera precedente e li presi fra le mani, come se fossero delle reliquie; questa era la dimostrazione che non avevo sognato, che non mi ero inventata tutto. Sospirai soddisfatta. Quante ragazze avrebbero voluto Tom come fidanzato! Io ero la fortunata. Ma le parole di David mi impaurivano e mi mettevano ansia. Tom era un donnaiolo, ok, ma si era fidanzato con me solo per divertirsi un po’? Rabbrividii al pensiero. Mi stava forse usando? No, per quanto fosse burbero, scontroso e tutto il resto non credo fosse così stronzo. Forse mi stavo facendo delle seghe mentali. Forse voleva solo vivere una storia d’amore seria con una ragazza normale come me. Sì, questa era l’ipotesi migliore. Rasserenata, portai di nuovo lo sguardo sull’orologio. Ancora le sei. Avrei fatto meglio a riposare per non sembrare una morta di sonno. Mi girai dall’altro lato valutando quale fosse la posizione migliore per addormentarmi presto e stare comoda; alla fine mi girai dall’altro lato, sul cuscino però notai un bigliettino piccolo di carta bianca semi-aperto che lasciava intravedere una scritta in nero. Lo aprii e notai con sorpresa che era di Tom. Lo lessi attentamente, quasi commuovendomi.
    “ Buonanotte!
    Cara la mia ragazza, stasera non sarai l’unica a rimanere sveglia, anche io non riuscirò a dormire. Non ti credere che io sono un duro, in fondo sono un gran bel tenerone, mi commuovo facilmente. Bè, ora ti lascio dato che gli occhi si chiudono da soli.
    P.S.: cerca di dormire dato che domani ti voglio splendida come sempre! "

    Anche se era un piccolo pensiero, mi commossi. Io sono fatta per le piccole cose, e forse è per questo che mi emoziono facilmente. Allora era vero: voleva solo vivere una storia d’amore con una normale ragazza come me.

    ***

    Sentivo un caldo respiro sul collo. Non ero sveglia, non proprio, ero in uno stato di dormiveglia, quando sembra che si dorme ma invece si vede e sente tutto. Ero come in coma, non riuscivo a svegliarmi. Forse il mio corpo me lo impediva, forse il mio cervello. Sta di fatto che mi sentivo bene, coccolata, come avrei sempre voluto. Infatti ero tra le braccia di qualcuno, non so chi, ma era la stessa sensazione che sentii non appena mi presero perchè mi accasciai a terra arrivata in quella casa. Aprii finalmente gli occhi e vidi che era Tom. Il mio stomaco fece un triplo salto mortale non appena ci guardammo negli occhi. Mi diede un tenero bacio sulla punta del naso. Buongiorno principessa, dormito bene? Io annuii dopodiché, imbarazzato, spostò lo sguardo in un punto non definito della camera. Io continuavo a osservarlo, era così bello. Maledettamente perfetto. Tom riportò lo sguardo su di me e mi strinse ancora di più. Mi sentivo protetta tra quelle braccia. Ad un certo punto però venne il solito guastafeste Georg che ci disse di scendere perché dovevamo uscire. Tom disse -un momento- e mi trattenne per un braccio visto che stavo già incominciando a scendere le scale. Mi prese per mano e mi portò in camera sua. Aprì il cassetto del comodino a fianco al suo letto e ne uscì un cellulare. Mi si avvicinò e me lo porse. Era bellissimo. Io lo presi in mano come se fosse un oggetto fragilissimo e lo custodii nella mia piccola borsa, che era stata un regalo di Bill il giorno della passeggiata al centro commerciale. Ringraziai ripetutamente ma Tom disse:
    -Anche se il modello è un po’ vecchio, infatti quello era il mio ex cellulare. Ho deciso di darlo a te dato che hai detto che ti avevano rubato la borsetta con tutte le tue cose.-
    -Ma che dici, Tom, è bellissimo e non è per niente un vecchio modello, anzi…- mi si avvicinò e mi baciò la tempia carezzandomi i capelli. Io mi zittii approfittando del momento per bearmi di tutte quelle attenzioni. Dopo cinque minuti di silenzio (non proprio perché ormai Georg, Gustav e Bill ci cercavano disperatamente), ci accorgemmo che dovevamo uscire e stavamo facendo spazientire il resto della band perché eravamo in ritardo. Incominciammo a correre per tutta casa alla ricerca delle nostre giacche ridendo come bambini, ridendo a crepapelle e ogni tanto inciampando nelle pieghe di qualche tappeto o in una scarpa. Non appena le trovammo, ci catapultammo giù, a capofitto, mentre Saki suonava il clacson insistentemente. Uscimmo di casa e corremmo verso la limousine senza fiato. Aprimmo lo sportello ma lo trovammo chiuso. Da dietro il vetro del finestrino potevamo scorgere il bassista, il batterista e il cantante che se la ridevano come matti. Che bastardi! Avevano chiuso con la sicura gli sportelli. Ad un certo punto notammo che Bill, quello che pareva si stesse divertendo di più di tutti, si era avvicinato a Saki che era al volante, e gli aveva detto qualcosa all’orecchio, notammo anche la reazione della guardia del corpo, pareva contrariato, ma poi Bill gli fece la faccia da cucciolo e acconsentì ridacchiando. La macchina accelerò e partì a razzo lasciando me e Tom sul marciapiede. Quest’ultimo buttò giù santi e madonne, sbattendo i piedi a terra, sedendosi con le gambe incrociate, pensando. All'improvviso, come folgorato da un’illuminazione, si alzò di scatto e recuperò dalla tasca le chiavi della sua Audi R8. Mi invitò a seguirlo e salimmo su quella lussuosa vettura. La mise in moto e mi consigliò di allacciare la cintura, in poco tempo raggiungemmo la limousine. La seguimmo e si fermò in centro. Bill, Gustav e Georg scesero accompagnati dal fedele Saki. I tre ridevano ancora e il vocalist della band batteva le mani compiaciuto. Tom fece un sorrisetto furbo e si appostò dietro dei cespugli dopo aver nascosto la macchina in una viuzza. Io rimasi interdetta ma lo seguii per paura di perdermi. Mi aggrappai alla sua manica, mentre gli stringevo con l’altra mano il braccio per il nervosismo. Chissà cosa doveva fare! Ecco Bill appena uscito da un bar, Quando passò di lì con la sua mega borsa, ecco Tom mettersi il cappuccio e alzarsi la maglia fino al naso, invitandomi a fare lo stesso. Io ubbidii. Ed ecco il gemello che porta la borsetta con il manico infilato per il magro braccio, casualmente quello dalla parte del cespuglio dove giacevamo io e Tom, ed ecco il chitarrista che allunga la mano e la strappa al padrone che incomincia a strillare come un pazzo, chiedendo aiuto dato che gli altri erano ancora nel bar. Mi tira per il braccio, alzandosi, e incominciamo a scappare, correndo, ridendo come due bambini mano nella mano. Saliamo velocemente in macchina, il proprietario che accelera lasciando dietro di sé una nuvola di fumo nero. Eccoci arrivati a casa, che ridiamo come matti, nascondiamo la borsa di Bill e ci sediamo sul divano, fingendo di essere stati in casa tutto il tempo. Ridiamo ancora quando entra e si siede su una poltrona, distrutto, raccontando l’avventura di quel pomeriggio, gesticolando perché nervoso, e io e Tom cerchiamo di trattenerci dallo sghignazzare. Non appena ha finito di raccontarci tutto, scappiamo via e usciamo da casa. Fuori, incominciamo a ridere senza ritegno, le risa riecheggiavano per le fredde vie tedesche, il fiato trasformato in una piccola nuvoletta di fumo. Ci appoggiamo alla porta di casa con la schiena, ci lasciamo scivolare perché con lo stomaco dolorante dal tanto ridere, e finiamo seduti sui gradini. Un attimo di silenzio. Ci giriamo nello stesso momento, ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere di nuovo. Ecco che la porta di casa si apre e ne esce un Bill piuttosto incazzato, aveva sicuramente sentito il nostro sghignazzare dall’interno dell’abitazione, ha l’espressione come se stesse aspettando qualcosa. Tom lo squadrò, era così buffo: faccia corrucciata, occhi furenti e braccia conserte. Il fratello, ridendo, disse:
    -Scusa, eri così divah!- pronunciando quell’ultima aspirò la A, dando l’impressione di una acca a fine parola. Bill gli si fiondò addosso, facendogli il solletico. Rotolarono per il prato della villa, uno che si voleva liberare dalla stretta e l’altro che si voleva vendicare del “furto”. All’improvviso intervenne Georg a salvare la situazione, anche se involontariamente, annunciando che la cena era pronta.


    Commentini... grazie :)
     
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  14. Chan_
     
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    CITAZIONE
    Quando passò di lì con la sua mega borsa, ecco Tom mettersi il cappuccio e alzarsi la maglia fino al naso, invitandomi a fare lo stesso. Io ubbidii. Ed ecco il gemello che porta la borsetta con il manico infilato per il magro braccio, casualmente quello dalla parte del cespuglio dove giacevamo io e Tom, ed ecco il chitarrista che allunga la mano e la strappa al padrone che incomincia a strillare come un pazzo, chiedendo aiuto dato che gli altri erano ancora nel bar. Mi tira per il braccio, alzandosi, e incominciamo a scappare, correndo, ridendo come due bambini mano nella mano. Saliamo velocemente in macchina, il proprietario che accelera lasciando dietro di sé una nuvola di fumo nero. Eccoci arrivati a casa, che ridiamo come matti, nascondiamo la borsa di Bill e ci sediamo sul divano, fingendo di essere stati in casa tutto il tempo. Ridiamo ancora quando entra e si siede su una poltrona, distrutto, raccontando l’avventura di quel pomeriggio, gesticolando perché nervoso, e io e Tom cerchiamo di trattenerci dallo sghignazzare. Non appena ha finito di raccontarci tutto, scappiamo via e usciamo da casa. Fuori, incominciamo a ridere senza ritegno, le risa riecheggiavano per le fredde vie tedesche, il fiato trasformato in una piccola nuvoletta di fumo. Ci appoggiamo alla porta di casa con la schiena, ci lasciamo scivolare perché con lo stomaco dolorante dal tanto ridere, e finiamo seduti sui gradini. Un attimo di silenzio. Ci giriamo nello stesso momento, ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere di nuovo. Ecco che la porta di casa si apre e ne esce un Bill piuttosto incazzato, aveva sicuramente sentito il nostro sghignazzare dall’interno dell’abitazione, ha l’espressione come se stesse aspettando qualcosa. Tom lo squadrò, era così buffo: faccia corrucciata, occhi furenti e braccia conserte. Il fratello, ridendo, disse:
    -Scusa, eri così divah!- pronunciando quell’ultima aspirò la A, dando l’impressione di una acca a fine parola. Bill gli si fiondò addosso, facendogli il solletico. Rotolarono per il prato della villa, uno che si voleva liberare dalla stretta e l’altro che si voleva vendicare del “furto”. All’improvviso intervenne Georg a salvare la situazione, anche se involontariamente, annunciando che la cena era pronta.

    ahahahaha donna sto pezzo è fantastico!! Sono morta dal ridere xDD
    continua presto please!
     
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  15. tombillina
     
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    Grazie ^^ anche io mi sono messa a ridere quando l'ho riletto. Oggi mi metto a scrivere.
     
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27 replies since 4/6/2010, 09:09   510 views
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