'Bella Ciao' saluta regista, bagarre sull'eutanasia

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  1. Kate ~
     
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    Da Libero.it

    'Bella Ciao' saluta regista, bagarre sull'eutanasia

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    ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e' andato alla Casa del Cinema di Roma per rendere omaggio a Mario Monicelli, il regista morto suicida lunedi' sera.

    Ad accoglierlo sulla porta, il direttore della casa del Cinema Felice Laudadio e Giuliano Montaldo. L'ingresso alla Casa del Cinema per ora e' stato chiuso.

    All'interno, vicino al feretro, ci sono le tre figlie del regista, Martina, Ottavia e Rosa, l'ultima compagna Chiara Rapaccini, il figlio di Martina, Tommaso, e Niccolo' Monicelli, figlio di uno dei fratelli del regista, Nino. Prima di Napolitano alla Casa del Cinema era arrivato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno.

    Nel rione Monti c'è stato un saluto laico per Mario Monicelli, con tanto di banda che ha suonato 'Bella Ciao', ma anche con il suono delle campane della vicina chiesa. E non si è trattato di una coincidenza, perché quando il feretro si stava allontanando da piazza Santa Maria dei Monti, dopo le note di 'Brancaleone', le campane hanno suonato ancora.

    "Queste campane - ha spiegato il parroco Don Francesco - erano anche le sue, era una brava persona. Quando muore una persona le campane servono ad avvisare il cielo che sta arrivando qualcuno". E Don Francesco spiega che il film che gli é piaciuto di più è stato 'La Grande Guerra'. Sulla piazza c'erano tutti i negozianti e i residenti del rione; pochi i volti noti tra i quali Paolo Villaggio e i Fratelli Vanzina.

    A suonare le poche note di 'Bella ciao' e 'Brancaleone', la 'Banda della Mensa' del quartiere Pigneto, composta da sei elementi. Sulla bara solo tre fiori: una rosa rossa e due garofani. Tutti sanno che "a Mario non sarebbero piaciuti tanti fiori". Chiara, la moglie, ha detto che "a Mario sarebbe piaciuta l'atmosfera di questo saluto", composto, silenzioso e interrotto solo da due applausi e un paio di "Mario ci hai fatto divertire".

    Il corpo verra' cremato in forma privata. Per stasera l'associazione culturale del rione Monti ha organizzato una fiaccolata. Tra le altre commemorazioni, al Torino Film Festival verra' proiettato oggi pomeriggio il film di Monicelli 'I compagni'.

    Camera, ricordo in aula diventa scontro eutanasia - L'Aula della Camera ricorda Mario Monicelli con un applauso unanime; ma la commemorazione del regista, morto suicida in un ospedale romano, dà la stura a un dibattito sul fine vita. Gianfranco Fini definisce il regista scomparso"un personaggio illustre"- Walter Veltroni ricorda il personaggio "antiretorico e coerente, sottolineando che "l'ultimo atto della sua vita gli assomiglia". Nessun accenno all'eutanasia; ma l'ex sindaco di Roma rileva che "Mario ha vissuto e non si é lasciato vivere; non si è lasciato morire" ed "ha deciso di andarsene". La radicale Rita Bernardini coglie la palla al balzo, ed invita l'Assemblea a riflettere "sul modo in cui Monicelli ha posto fine alla sua vita. Quest'Aula dovrebbe riflettere su come alcune persone che non ce la fanno ad andare avanti sono costrette a lasciare la vita invece di morire vicino ai propri cari con la dolce morte". E qui parte un dibattito. Con Paola Binetti dell'Udc, che sbotta: "Basta, per piacere, con spot a favore dell'eutanasia partendo da episodi di uomini disperati, perché Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici ed il suo è un gesto tremendo di solitudine non di libertà". Ed Enrico La Loggia (Pdl) attacca "l'elegia del suicidio da parte di Rita Bernardini".

    Napolitano alla camera ardente - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è arrivato alla Casa del Cinema di Roma per rendere omaggio a Mario Monicelli, il regista morto suicida lunedì sera. Ad accoglierlo sulla porta, il direttore della casa del Cinema Felice Laudadio e Giuliano Montaldo. L'ingresso alla Casa del Cinema per ora è stato chiuso. All'interno, vicino al feretro, ci sono le tre figlie del regista, Martina, Ottavia e Rosa, l'ultima compagna Chiara Rapaccini, il figlio di Martina, Tommaso, e Niccolò Monicelli, figlio di uno dei fratelli del regista, Nino. Prima di Napolitano alla Casa del Cinema era arrivato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno. "Monicelli se n'é andato con un'ultima manifestazione forte della sua personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare. E' stato un grande del cinema, non solo italiano, e un uomo meraviglioso". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, fermandosi per un paio di minuti con i cronisti all'uscita della Casa del Cinema dove ha reso omaggio al regista. "Vivevamo nello stesso quartiere, quindi lo incontravo spesso. L'ultima volta - racconta ancora Napolitano - la moglie mi aveva detto che le sue condizioni andavano a giorni, ma erano più i giorni buoni", ha aggiunto il Capo dello Stato. Napolitano ha anche detto che i suoi film preferiti di Monicelli sono "La grande guerra, ma anche Romanzo popolare".

    Il maestro caustico che ha raccontato l'Italia
    di Alessandra Magliaro



    ROMA - Negli ultimi mesi ha abbracciato la protesta dello spettacolo contro i tagli alla cultura, ha incitato i giovani a ribellarsi per un futuro migliore, si è lamentato che il cinema di oggi non riusciva a raccontare l'Italia come è, ma stasera non ce l'ha fatta a guardare al suo futuro. Mario Monicelli si è tolto la vita lanciandosi dall'ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato.

    Era nato il 15 maggio del 1915 a Viareggio, figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso e dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa aveva esordito nel cinema nel 1932 con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. E' stato uno dei padri della commedia italiana, con Dino Risi, Steno, Luigi Comencini.

    Negli ultimi anni, perché era un maestro del cinema e per ragioni anagrafiche, gli era toccato l'ingrato compito di commentare i colleghi che se ne andavano: dal Tiberio Murgia, Ferribotte di uno dei suoi capolavori I soliti ignoti, ai grandi sceneggiatori con cui aveva lavorato tante volte, Suso Cecchi D'Amico e Furio Scarpelli e Piero De Bernardi, per citare solo quelli di quest'anno. Monicelli, come era nel suo carattere, rispondeva con arguzia, un pizzico di cinismo, raccontava aneddoti, rifuggiva ogni sentimentalismo per tirare fuori il meno ovvio di ciascuno di loro, così come avrebbe preferito si dicesse di lui stesso. Negli ultimi anni la vena amarognola e caustica di Monicelli più che nei film era venuta fuori nelle sue uscite pubbliche: era stato al Viola Day di febbraio e al primo no B day nel dicembre scorso a Piazza San Giovanni, aveva urlato ai giovani di tenere duro: "viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro. Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza, e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà" ed era stato a Montecitorio con i colleghi nel luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L'Italia era per lui "una penisola alla deriva". Monicelli non aveva paura di tirare fuori quello che sentiva, senza false diplomazie. Questo era sempre stato il suo carattere e forse a questa verità, dolorosa come il cancro alla prostata che lo aveva colpito, non ha resistito stasera.

    Una volta - a Venezia nel 2008 - scherzò, ma neppure tanto perché lui era fatto così: "Non vedo l'ora scompaia De Oliveira. E' stato sempre la mia ossessione. E' più anziano di me - il regista portoghese è del 1908 ndr - , più bravo di me ed è stato invitato anche a più festival di me". Questo il Monicelli più recente, barricadero, poi il Monicelli che passerà alla storia, il regista della Grande Guerra e dei Soliti Ignoti. Nel 1937, sotto lo pseudonimo di Michele Badiek, si era cimentato per la prima volta con il lungometraggio (Pioggia d'estate) e aveva conosciuto Macario e Totò che lo ingaggerà nella sua squadra di autori, Fece amicizia con Steno, si avvicina ai circoli della sinistra antifascista. Ma poi si arruola (in cavalleria) e attraversa indenne le campagne d'Albania e d'Africa. Nell'autunno del '43, tornato in Italia, lascia l'uniforme, arriva a Roma, fiancheggia anche la Resistenza insieme all'amico anarchico Comunardo. Erano già i giorni di Roma città aperta, si affermava il neorealismo e ben presto, a Monicelli e Steno richiamati in servizio per Totò dal produttore Carlo Ponti, viene in mente di adattare la maschera del grande comico alle storie di vita che facevano furore.

    Nasce così nel 1949 Totò cerca casa, esordio ufficiale nella regia sia di Monicelli che di Steno, grandissimo successo e farsa passata alla storia come "una delle più belle parodie del neorealismo mai realizzate". E' impossibile ripercorrere tutta la sua carriera, film dopo film, successo dopo successo, con oltre 66 regie e più di 80 sceneggiature. Basti dire che al trionfo dei successivi Vita da cani e Guardie e ladri (premiato a Cannes per l'interpretazione e la sceneggiatura nel '51) corrispondono i problemi con la censura sia per questo che per Toto' e Carolina. Dall'anno successivo cessa il sodalizio con Steno e dal '54 quello sistematico con Toto'. Al ritmo di più di un film all'anno Monicelli approda, nel 1958 ad uno dei successi più limpidi: I soliti ignoti (nomination all'Oscar), l'ultimo film con Totò e il primo con Vittorio Gassman 'sdoganato' come mattatore comico. Del 1959 è un capolavoro assoluto come La grande guerra (altro film avversato dalla censura e poi trionfatore a Venezia con il Leone d'oro), del 1963 il doloroso I compagni con Mastroianni, del '66 l'irripetibile invenzione de L'armata Brancaleone.

    Sono gli anni dell'amicizia con Dino Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all'italiana e dei 'colonnelli della risata'. Nel 1968 Monicelli inventa Monica Vitti attrice comica per La ragazza con la pistola, nel '73 ironizza sulle voglia di golpe all'italiana con Vogliamo i colonnelli, nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei. Molto apprezzato anche in America, riceve ben tre nomination all'Oscar (oltre che per I Soliti ignoti candidato come miglior film straniero, per le sceneggiature de I compagni e Casanova 70). Nel 1977 recupera la dimensione tragica della commedia sceneggiando il libro di Vincenzo Cerami Un borghese piccolo piccolo. Negli annì80, da ricordare, fra i tanti film, Il Marchese del Grillo e l'unanime consenso per Speriamo che sia femmina.

    Nel 1991, riceve il Leone d'oro alla carriera. L'anno dopo con il feroce Parenti serpenti dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l'acume e la cattiveria di sempre. E' del 2006 invece il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d'Albania di Giancarlo Fusco.
     
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  2. topo.gigia
     
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    Che amarezza :(
     
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1 replies since 1/12/2010, 19:28   20 views
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