Hunters - la Prigione di Cenere

Fantasy!

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  1. Black_Sunshine
     
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    Questa Fan Fic è abbastanza importante per me perchè in essa sono racchiuse sensazioni e persone che davvero esistono per me! Amo il Fantasy e questa è davvero la prima Fan Fiction di questo genere che scrivo seriamente e che ho intenzione di trasformare in un vero romanzo -prima o poi- :)! Questa storia viene articolata in quattro parti fondamentali che sono le tappe che la protagonista attarverserà per raggiungere la sua decisone finale che non è quella che si prospetta all'inizio. Spero che vi piaccia e che possa ricevere dei bei commenti (anche le critiche sono ammesse, perchè mia aiutano a capire cosa sbaglio) detto questo... Buona lettura e un bacio! :)

    Ringrazio Star Venomous per il magnifico disegno! ;)



    Ecco il Trailer della storia, non è questa gran bellezza... ;) :MOLLIE139.gif:


    Video


    Indice
    Prologo.
    One.



    Prima Parte
    L’incantesimo spezzato.

    I mostri sono reali, i fantasmi anche.
    Loro vivono dentro di noi e qualche volta vincono.


    - Stephen King






    PROLOGO.





    Drip, drip, drip, drip



    È lugubre il suono di gocce che cozzano con il cemento.

    Drip, drip, drip, drip



    È incessante, martellante, fuori di ogni logica.
    Penetra nella testa quasi fosse il ritornello di una canzone troppo ripetitiva e si innesca nel cervello quasi cercasse di non essere visto per non poter essere rimosso.
    Batte forte nonostante sia solo un sussurro appena accennato nell’eco della notte più nera, picchia quasi fosse un martello su un’incudine.

    Drip, drip, drip, drip
    Drip, drip, drip



    Accompagna l’odore dolciastro e metallico della fine.
    La prende per mano e la porta con se.
    Ne scandisce il tempo che, inesorabile, va verso la chiusura eterna delle pene.
    Ci sarà un Paradiso? Una redenzione?

    Drip. drip, drip, drip
    Drip. drip, drip
    Drip, drip




    Sembra quasi una filastrocca futurista quel suono che si perde nelle pareti di quel posto che avrebbe giurato essere sicuro.
    Ne impregna l’aria con il suo canto malvagio.
    E i suoi occhi guardano.
    Guardano e non si capacitano.
    Guardano e si rassegnano.
    Guardano e si chiedono il perché.
    Guardano e capiscono.

    Drip. drip, drip, drip
    Drip. drip, drip
    Drip, drip
    Drip.



    Silenzio.
    Il silenzio più rumoroso che ha mai sentito.
    Il suoi occhi registrano la scena carichi di curiosità e di attenzione.
    Muove un passo e i suoi piedi producono un suono bagnato, abbassa lo sguardo e nota quella pozza vermiglia che sporca il pregiato parquet e sporca le sue scarpe.
    La ignora e passa avanti.
    Cammina in quel dannato silenzio che lo sta assillando.
    Mantiene la calma quando vorrebbe urlare.

    «Dovreste avere paura dei mostri, Cacciatori»



    La frase sembra rimbombare nella desolazione.
    Un altro passo e si sente affogare in quelle pozzanghere dall’odore nauseabondo.
    Odore di morte.
    Alza lo sguardo e nota la figura appesa al lampadario. Sta guardando la scena dai suoi occhi vitrei e inespressivi.
    Gocce scarlatte colano dal suo corpo che oscilla quieto nel vuoto spinto dal vento che entra dalla finestra distrutta.
    Cadono dentro altre pozzanghere, scure come il tunnel che sta prendendo.
    Ed è morto.
    Anche lui è morto come il cadavere che si muove in balia delle intemperie di quella notte, appeso al costoso lampadario di cristallo.
    Le pozzanghere non sono acqua ma sangue. Sangue denso e scuro che si riversa in ogni dove.
    Sangue che impregna quella che una volta era la sua casa, che la sporca, che porta su di lei un velo spesso di morte e rassegnazione.
    La mano scatta verso la bocca.
    Un conato di vomito lo fa quasi vacillare. Ma non può.
    Continua a camminare contro ogni sua volontà. Contro la voglia di correre dall’unico che, oltre a lui, è sopravvissuto. Lotta contro la voglia di voler scoppiare a piangere e scappare da quel luogo che puzza solo di paura.
    Resiste perché è quello che deve fare.
    Deve vedere.
    Deve ricordare.
    Non deve dimenticare.

    Imprimiti nella memoria quasta scena, Tom. Sigillala nella tua mente e non buttarla mai via.
    Ricorda questo: i mostri esistono…
    E a volte hanno le sembianze di una principessa indifesa.



    Edited by Black_Sunshine - 7/4/2012, 13:48
     
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  2. black nails
     
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    Nemmeno un commentino?! Ma come!! Ci penso io...
    W
    O
    W

    Come inizio... Me piace u.u scrivi pure bene... Devo capire di più, anzi... Voglio XD
    Brava ^^
     
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  3. Black_Sunshine
     
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    E, l'idea era quella, mettere in confuzione il lettore!
    grazie!:)
     
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  4. black nails
     
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    Ci sei riuscita e in modo positivo... U.u
     
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  5. Black_Sunshine
     
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    *

    ONE.

    *






    6:30.
    La sveglia iniziò a suonare incessantemente. La prima sveglia dell’anno.
    Come avrebbe voluto che l’estate durasse ancora, quei dieci giorni in più per prepararsi psicologicamente.
    Sì, dieci giorni sarebbero stati sufficienti.
    Fa sprofondare la testa nel cuscino pregando di trovarsi solo in un sogno.
    « Svegliatevi ragazzi, non poltrite a letto ancora, prendente in mano il vostro futuro, afferrate le redini del mondo e rendendolo un posto migliore. Affondate gli artigli nel sapere e costruite quella che sarà la vostra vita… »
    Come avrebbe voluto chiudere la bocca a quel dannato speaker.
    Lui cosa stava facendo della sua vita? Sicuramente era un panzone di mezza età che passava le sue giornate sulla sedia sporca di quella piccola stazione radio cittadina.
    Mugugnò qualcosa mentre si rigirava nelle sue coperte lilla.
    Non era proprio giornata.
    « Tesoro, alzati, devi andare a scuola. »
    Camille Harper fece la sua entrata nella camera della figlia.
    Già stretta nel suo completo da segretaria d’ufficio e le immancabili decolleté tacco sette in tinta.
    Le indossava sempre, come se il ticchettio fastidioso che producevano le servissero a farsi identificare ovunque lei andasse.
    Nemmeno la moquet bianca della camera riusciva ad attutirli.
    Elisabeth Harper odiava quel modo di fare della madre, quel continuo chiamarla “tesoro” o “amore”, quel continuo doversi mostrare perfetta e voler nascondere gli scheletri in camere blindate.
    Elisabeth Harper odiava il modo di fare di tutti in quel quartiere di riccastri. O, almeno, lo odiava da quando Cam l’aveva chiamata per dirle che Travor, il suo ragazzo storico, le metteva le corna con Ronnie Santiago, la sua inevitabile ex migliore amica.
    Dopo quella disastrosa estate Elisabeth aveva cambiato idea su molte cose: sulla madre, sul padre, sulle sorelle, sul fratello, sui suoi vicini, sui suoi ex amici e sui suoi ex nemici.
    Era passata da uno stato sociale all’altro e, visto il trattamento riservatole quell’estate, non aveva alcuna voglia di alzarsi e affondare gli artigli nel sapere.
    Brontolò qualcosa infilando la testa sotto il guanciale sgualcito.
    Sua madre mandò un versetto di dissenso.
    Elisabeth sentì il peso della donna far cedere di poco il letto e capì: la sua fuga dalla scuola era miseramente fallita.
    La mano curata di Camille si posò sulla schiena della figlia e iniziò a scuoterla.
    « Su, svegliati, lo so che è dura, ma devi andarci. » disse la donna fingendosi comprensiva.
    Elisabeth lo sapeva. Sapeva che la madre sperasse che, una volta rientrata a scuola, tutto sarebbe tornato al suo posto: Cam, il suo fratellone, avrebbe ristretto l’amicizia che lo legava al suo ex ragazzo dopo la scazzottata in piazza, Ronnie sarebbe tornata a passare le giornate nella loro villetta e lei sarebbe tornata ad essere la reginetta della scuola.
    Elisabeth non ci sperava e nemmeno volava recuperare il suo status. Quell’ ipocrisia aveva iniziato a darle ai nervi.
    Almeno Cassie, Johnny e Ryan erano sinceri. Li aveva tormentati, poverini, ma avevano accettato le sue scuse diventando importantissimi per lei.
    Per il fratello era tutt’altra storia.
    Era il capitano della squadra di Football, di conseguenza nessuno aveva avuto il coraggio di interferire. Nonostante tutto, però, Cam aveva come migliore amico Zac, il Presidente del Club dei fumetti o, come spesso lo si chiamava, il Club degli sfigati.
    Cam e Zac erano la coppia più strana che Elisabeth conoscesse. Eppure, erano l’armonia.
    « Certo, come no. » sbuffò facendo uscire la testa da sotto il cuscino.
    Puntò i suoi occhioni verdi su di lei che, a sua volta, guardò la figlia tranquilla.
    « Non essere così negativa. » la rimproverò scompigliandole i capelli « Preparati e vedrai che questo sarà un anno magnifico. »
    Elisabeth la guardò ancora.
    Sua madre non poteva minimamente capire.
    Buttò le lenzuola da un lato e, bofonchiando qualcosa, si alzò dal letto.
    « Certo, un anno magnificamente schifoso. »




    *





    Saltò sul suo logoro skate - che in passato aveva nascosto vergognandosi della sua passione - e, dopo aver salutato la sua famiglia, il fratello che si apprestava ad andare da Zac, si lasciò scivolare sul vialetto d’ingresso.
    L’aria già prometteva pioggia: nuvole nere come la pece si stavano affollando per avere un posto d’onore per rendere ancora più schifosa la sua giornata.
    Si calò il cappello sui capelli piastrati alla perfezione e si diede una bella spinta con gli scarponi scamosciati che indossava.
    Quella mattina aveva finalmente deciso di vestirsi come si sentiva di fare.
    Non doveva più indossare quell’odiosa divisa da Cheerleaders nonostante lei facesse ancora parte della squadra. Nessuno l’aveva cacciata. Come avrebbero potuto farlo se il “fattaccio” era successo a inizio estate?
    Di fatto, lei era ancora una Cheerleaders dei Bulldogs della Mistery Falls High School fino ai nuovi provini.
    Ovviamente, lei non si sarebbe ripresentata.
    Era pazza per caso?
    Ronnie l’avrebbe umiliata e lei le avrebbe spezzato un braccio… di nuovo.
    Scosse la testa.
    Non era lei ad essere dannatamente forte, era l’ossatura di quella troietta bionda a essere tremendamente fragile.
    Si sistemò per bene la borsa sulle spalle e aprì il cancelletto d’entrata della sua villetta proprio mentre un furgoncino arancione del ‘61, sicuramente proprietà di ex Hippie imborghesiti, si fermava davanti la candida villa della famiglia Harper.
    Elisabeth fermò il suo skate appoggiandosi al telaio decrepito di quel furgoncino e aprì la portiera che scricchiolò appena.
    Aveva imparato ad amare quel furgoncino, il Furgoncino di Cassie.
    Gli Hippie imborghesiti erano i genitori di Cassandra Roseborn, reduci di Woodstock che avevano, saggiamente, pensato di regalare alla loro adorata figlioletta - l’unica, per l’appunto - il furgone dove era nato il loro amore… a Woodstock, per la precisione.
    Si lasciò abbracciare dal calore dell’abitacolo sporgendosi poi verso l’amica. Le scoccò un bacio sulla guancia prima di sistemarsi per bene sul sedile.
    « Buongiorno. » trillò la guidatrice già di buon umore.
    Era impressionante come Cassie Roseborn, identificata come la pazza della scuola, riuscisse ad essere sempre di buon umore anche all’inizio della sua condanna eterna: la scuola.
    Elisabeth sospiro e si ritirò le gambe verso il petto, appoggiando la testa sul poggiatesta che Cassie aveva fatto rivestire con del tessuto dalla trama leopardata fucsia e nera.
    Un tocco di Cassie che si faceva notare, come lei del resto.
    « Oh, andiamo. » saltò la ragazza « Non iniziare già così che l’anno, sembrerà ancora più grigio. »
    « Direi nero. » si lasciò sfuggire Elisabeth, voltando appena la testa.
    Un camion dei traslochi si era appena accostato alla villa dei Doveraux.
    Quell’estate la Signora e il Signor Doveraux si erano trasferiti in una casa di riposo in Florida, mettendo in vendita la loro splendida villa giallo caldo che risplendeva nelle villette bianche a schiera di quel quartiere di Mistery Falls nello Stato di Washinghton.
    « Sai chi si trasferisce nella casa dei Doveraux? » domandò Elisabeth, spingendosi verso il finestrino.
    Uno uomo era sceso dal camion e, un po’ troppo agilmente per l’età che dimostrava, si apprestò ad adempiere al suo lavoro scaricando alcuni mobili.
    Cassie, d’istinto, rallentò scuotendo la testa. « Non so chi siano. Mamma mi ha detto solo che non è una vera e propria famiglia, sembra che una donna, la padrona di casa in sintesi, abbia in affidamento alcuni ragazzi europei orfani o cose del genere, gente dal passato oscuro. » la informò.
    Elisabeth annuì distrattamente.
    Mistero.
    A Mistery Falls c’erano ben troppi misteri, aggiungiamoci pure i nuovi abitanti di casa Doveraux e avevano fatto bingo.
    Il nome di quel dannato paese non poteva essere più azzeccato.
    Mistero.
    Avrebbe mai incontrato il sadico che aveva segnato il loro destino?




    *






    « Cassie, te l’ho detto, Zac e Cam hanno un’auto, vengono da soli. »
    « Sì, era solo per essere gentile. In fondo, Zac e tuo fratello mi sono simpatici, lo sai. »
    Elisabeth guardò l’amica raccattare la sua roba dal fondo del furgoncino con il classico fare sciallato che non l’abbandonava mai.
    Lei era già fuori, lo sguardo fisso a quell’edificio moderno che già le trasmetteva l’aria grigia del tormento.
    Non avrebbe voluto, per nessuno motivo, rientrare lì dentro.
    Ripensando a come negli anni passati trepidasse dalla voglia di entravi, si chiese se fosse stata la stessa persona. Si sistemò la cartella sulla spalla, impedendole di cadere, e si voltò verso il parcheggio. Molte macchine stavano affollando il parcheggio della scuola. Tra queste, spiccava una fiammante Peugeot sr 1 cabrio, grigia metallizzata. Una macchina che, un anno prima, era stato il suo mezzo di trasporto quotidiano per la scuola. Una macchina che attirava, inevitabilmente, gli occhi, come faceva la sua conducente.
    I lunghi capelli biondi che supervano considerevolmente il seno erano perfettamente piastrati e incorniciavano un viso magro da modella con una frangetta a casco perfettamente pari.
    L’addome magro che spariva sotto il telaio della macchina era coperta da una giacca nera abbastanza lucida e una camicetta rosa la cui chiusura era tirata giù quel che bastava per evidenziare il seno inesistente stretto nel Push-up.
    « Ma sì! » stava cinguettando ad alta voce « Quest’anno, quando sarò capo delle Cheerleaders, la nostra squadra vincerà i nazionali, ne sono certa. »
    Elisabeth si voltò a guardarla, sul viso il più totale fastidio.
    Miss Veronica Santiago era arrivata. Nella più totale modestia, tra l’altro.
    Elisabeth si chiese come avesse fatto a considerarla la sua migliore amica dal momento che era tremendamente egocentrica.
    Sentì la macchina accostarsi a lei e ebbe l’intinto di graffiare la fiancata lucente di quella schifosissima macchina.
    « Anche quest’anno la Grande Zucca ha occupato il suo onorevole posto! »
    La sua voce era come acido muriatico.
    Elisabeth fece una smorfia mentre Cassie chiudeva la portiera del furgoncino. « Non mi piace l’omologazione Santiago! » rispose tranquilla Cassie, facendo il giro per poter guardare la bionda negli occhi.
    La mora sorrise.
    Di certo Cassie era l’unica, in quella scuola, a dar testa a Ronnie Santiago.
    Ronnie fece una smorfia e voltò gli occhi celesti verso di lei « Lizzie. »
    « Ronnie. »
    Fredda.
    Le particelle di ghiaccio potevano, perfettamente, condensarsi in quell’aria tesa.
    « Volevo ringraziarti! » esordì Ronnie « Hai deciso tu stessa di non essere tra le palle quest’anno. Trevor me lo dice sempre, sei solo una sfigata. »
    Elisabeth se lo aspettava.
    Per questo non fece una piega nonostante il nome Travor le facesse venir voglia di prendere a botte qualcuno.
    « E adesso sei nel tuo ambiente naturale. » sentenziò guardando con un certo schifo Cassie.
    Elisabeth sentì l’impellente desiderio di farle male.
    Com’era possibile che quella, una volta, fosse sua amica?
    Guardò Taylor Black e Chantal Diaz – le nuove Bratz – che ridacchiavano delle intelligenti battute di Ronnie e ingranò la marcia beccando di proposito una pozzanghera.
    L’acqua stagnante colpì le due ragazze come uno schiaffo.
    Elisabeth mandò un urletto di disappunto mentre Cassie si guardava gli abiti fradici.
    Eh sì, Elisabeth Harper, niente è eterno.
    Nemmeno la popolarità.
    Benvenuta nella tua nuova vita.




    *






    Stronza sfigata.
    Elisabeth inclinò appena la testa per poter contemplare per bene quella scritta nera sul suo armadietto rosso.
    Cassie, dietro di lei, aveva una mano sotto il mento.
    « Cominciamo bene! » commentò Elisabeth, facendo ricadere la cartella sul pavimento.
    Un lungo sospiro accompagnò il lieve tonfo che la tracolla provocò scontrandosi contro la lastra di finto marmo lucido.
    « Pensavo che Ronnie avesse più inventiva, davvero! » asserì Cassie guardando ancora la scritta gocciolare verso il basso quasi fosse sangue.
    Elisabeth aprì con poca grazia il suo armadietto, spingendo dentro il suo zaino.
    Si aspettava anche quello?
    Oh sì, Ronnie Santiago era capace di simili bambinate.
    Si appuntò mentalmente di dover andare a chiedere ad una bidella di ripulire quel obbrobrio prima che diventasse la meta più gettonata della scuola.
    Sospirò. In fondo, si aspettava quel trattamento dopo l’estate che aveva passato.
    « Sua altezza la troia reale è capace di sforzarsi solo quando deve darla in giro. » sibilò la mora sbattendo l’armadietto per chiuderlo « Insultare la gente non è il suo forte. »
    « Stavo notando.» convenne la biondina « Ma non pensavo fosse tanto… »
    « Infantile? » Elisabeth scosse la testa « Può esserlo anche di più. »
    Si strinse al petto il libro di Letteratura e si affiancò all’amica che aveva già iniziato a camminare indifferente agli sguardi di differenza dei compagni.
    Così Cassie si era sentita in questo modo negli scorsi tre anni?
    Non era piacevole, per niente.
    « Cos’hai alla prima ora? » le domandò Cassie mentre prendevano le scale per il piano superiore.
    « Letteratura, tu? » Elisabeth la guardò mentre sbirciava nel foglio del suo orario.
    Se c’era una cosa in cui Cassie era poco ferrata era la memoria. Cassie non ricordava nemmeno cosa avesse fatto quella stessa mattina prima della scuola.
    Era così sbadata quanto lei strana.
    « Ehm… oh, sì, biologia. » sorrise trionfante « Amo il Professor Griffin. »
    Elisabeth sorrise.
    « Spero solo di non mandarlo all’ospedale dipinto di blu come l’anno scorso. » rinfilò il foglio dentro un libro.
    La ragazza si lasciò andare in una risata liberatoria.
    Sì, Cassie era una grande combina guai e lei l’adorava.
    Camminarono ricordando le peripezie degli anni passati, quando Elisabeth riconobbe l’aula in cui avrebbe dovuto iniziare il suo nuovo anno.
    Sospirò pesantemente.
    Cassie le posò una mano sulla spalla e le sorrise. « Su, forza e coraggio, vedrai che non sarà così male. »
    Elisabeth alzò un sopracciglio scettica mentre Cassie prendeva a ridere.
    Si girò sulle punte e si avviò verso il laboratorio di biologia. « Mentre sezionerò una rana, penserò a te. »
    Sorrise. Cassie poteva metterle buon umore in qualsiasi momento.
    Posò la mano sulla maniglia ed entrò. La classe già era piena e rumorosa.
    Elisabeth vi entrò cercando di non guardare nessuno e quel nessuno era proprio Ronnie Santiago seduta al terzo banco verso la porta, già intenta a spettegolare con qualcuno.
    « Avete visto quelli nuovi? » stava squittendo.
    Elisabeth non volle farci caso. Tirò avanti verso il fondo della classe, al banco più vicino alla finestra.
    « No, come sono? »
    « Due fusti da paura! » squittì la bionda sistemandosi il rossetto con uno specchietto che Chantal le reggeva « Sembrano più grandi e sono anche stranieri, hanno il fascino europeo. »
    « Allora saranno esperti. » commentò maliziosa Taylor.
    Elisabeth le ignorò e posò la testa sulla sua mano, lo sguardo rivolto verso il paesaggio che si intravedeva dalla finestre.
    Grigio, freddo.
    Ebbe un brivido lungo la schiena quando pensò che, anche se ci fosse stato il sole, per lei tutto sarebbe stato nero, cupo, come una giornata di pioggia.
    Sarebbe stato tutto asettico, asciutto, senza vita.
    Sarebbe stato come morire e rimanere sulla terra senza un’anima.
    La porta della classe sbattè e fece il suo ingresso il Professor Calton.
    Il soprannome “Demonio” gli era stato affibbiato dopo che aveva bocciato un’intera classe.
    Il suo cipiglio algido e d’altri tempi fece scattare l’intera classe che cadde nel silenzio più totale.
    Elisabeth sospirò alzandosi in segno di rispetto.
    Eccolo, un altro anno a sopportare il Demone della Scuola.
    Un altro anno a sopportare il suo radar anti-copiatura.
    « Seduti, ragazzi . » ordinò con voce stentorea.
    L’intera classe tornò ad accomodarsi ai bachi e a sedersi composta.
    Con il Professor Calton era meglio essere composti ed educati.
    Elisabeth si sedette e afferrò una penna pronta ad una sessione artistica sul blocco degli appunti.
    Come sempre, non avrebbe seguito la lezione se aveva deciso di ammorbarli ancora con Edgar Allan Poe come l’anno scorso.
    Elisabeth, inizialmente, l’aveva trovato interessante, ma…
    A lungo andare, era diventato deprimente.
    Il professore aprì il registro di classe ed effettuò il monotono appello mattutino.
    « Kaulitz Tom. » esclamò con il suo vocione.
    Elisabeth aggrottò la fronte.
    Quel cognome, prettamente europeo, non l’aveva mai sentito.
    Forse era uno di quelli nuovi.
    Certo il cognome da europeo ce l’aveva e, se aveva la sfrontatezza di arrivare tardi la primo giorno di scuola, doveva essere uno da cui stare alla larga.
    Se poi piaceva a Ronnie, si salvi chi può.
    « Harper Elisabeth, dove è finita la Signorina Harper? »
    A riscuoterla fu il suo nome. Alzò la mano come se fosse stata scossa da una scarica elettrica e si affrettò ad esclamare il consueto “Presente”, attirando l’attenzione di non poche persone in quella classe.
    Arrossì di colpo e abbassò il capo mentre le risate di Ronnie arrivavano fino a lei.
    « Anche il Prof la considera invisibile, assurdo. »
    La odiò.
    Oh, se la odiò.
    L’istinto di romperle l’altro braccio si impossessò di lei all’improvviso.
    Stai calma, le bionde come lei sono la peggior specie di umani… non hanno bisogno della tua attenzione.
    Elisabeth sgranò gli occhi.
    Perché i suoi pensieri avevano una voce… maschile?
    E dall’accento europeo?
    Scosse la testa, non sapendo cosa fosse successo, e si concentrò sulla figura del professore che chiudeva il registro.
    « Bene, prendente il libro a pagina 146, quest’anno inizieremo con un romanziere irlandese dell’ottocento. » disse il professore, sistemandosi gli occhiali « Quanti di voi hanno sentito parlare di Dracula? »
    L’intera classe si riempì di mormorii eccitati.
    Qualcosa di appassionate, finalmente!
    « Approfondiremo per bene la storia di Bram Stoker e, in particolare, la figura di Dracula, personaggio mitico da cui dipendiamo ancora attualmente con questa moda del vampiro buono che dilaga… »
    Toc Toc.
    Il professor Calton smise immediatamente di parlare.
    Voltò la testa di scatto verso la porta che si apriva cigolando.
    Elisabeth lo seguì notando che una testolina del tutto nuova faceva il suo ingresso.
    « Permesso? » disse e Elisabeth ebbe un tuffo al cuore.
    Era la voce nella sua testa.
    « Sono Tom Kaulitz, mi scuso per il ritardo. »







    Note dell'Autrice:
    ringrazio black nails per aver commentato e tutte le "lettrici silenziose" che hanno letto il prologo. Qui inizia la storia con la presentazione di Elisabeth Harper, la protagonista indiscussa di questa FF. :hfgth:
    Elisabeth, come si può leggere ha una metamorfosi e nel finale entra in scena il nostro bel Tom :5yth: ma chi ha parlato ad Elisabeth?
    ci vorrà un pò per scoprirlo, spero restere per scoprirlo!



     
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  6. black nails
     
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    Ma di nulla u.u
    Questo seguito mi è piaciuto... Che dire? Posta XD
    Anzi, come si usa fare... UP!!!
     
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5 replies since 28/11/2011, 16:04   105 views
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