Boulevard of broken dreams

attenzione: c'è la presenza di qualche scena violenta

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  1. Alexiel.Slicer
     
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    Boulevard of broken dreams





    "Qualche volta desidero che qualcuno là fuori mi trovi..." (boulevard of broken dreams - Green Day)





    Prologo


    Ciò che calpestava ogni sera le ricordava cos'era: non più una ragazza, non più una persona, non più un essere umano. Lei era solo una prostituta e non aveva alcun diritto.
    Era stata costretta a diventarlo, costretta a distruggere sogni, speranze ed aspettative che caratterizzavano il suo animo giovane per sopravvivere in una realtà che disprezzava, disdegnava, una realtà che uccideva il suo essere donna e la sua dignità.
    Alzò gli occhi al cielo e vide un'infinita distesa nera senza stelle, lo stesso cielo che quella notte di anni addietro era stato spettatore e testimone della fine della sua vita.

    Aveva lasciato il suo paese, l'Italia, per cercare un pò di fortuna altrove. La crisi che assillava lo Stivale non le dava la possibilità di un futuro certo e brillante e, lei, non voleva pesare sulle spalle dei suoi genitori che già avevano difficoltà a tirare a fine mese.
    Era andata in Germania e lì si diceva che si stava meglio. Il suo sbaglio, però, fu fidarsi di un uomo che diceva di amarla e che le aveva promesso una vita agiata e felice.
    Lo aveva incontrato in un pub di Amburgo e da quel giorno avevano cominciato a frequentarsi. Lui le regalava fiori, cioccolattini, gioielli e le diceva frasi bellissime finchè una sera non la portò in quella che veniva chiamata la "Boulevard of broken dreams". Agli occhi di lei quella era una comunissima strada come tutte le altre, ma non sapeva che prima che se ne potesse rendere conto sarebbe diventata il suo inferno.
    L'uomo scese dall'auto e facendo il giro raggiunse ed aprì lo sportello del lato della ragazza. Allungò una mano ed afferrandola per i capelli la trascinò bruscamente fuori.
    Lei urlò, si dimenò, ma non servì a niente: lui continuò a strattonarla e tirarla lungo il marciapiede.
    La sollevò da terra sbattendola contro il tronco di un albero e le tappò la bocca per poi minacciarla rabbioso "Taci o ti sgozzo!".
    Sul viso di lei iniziarono a colare lacrime rese nere dal mascara, mentre la paura le divorava le viscere. L'uomo le strappò tutto ciò che aveva e che le aveva regalato e fece altrettanto con i suoi vestiti: li ridusse in brandelli lasciandola seminuda in balia del freddo pungente di Amburgo.
    Sentiva quell'aria trafiggerla come migliaia di aghi che le si conficcavano nella pelle e tremava come una foglia. Non riusciva a capire se per il freddo o per la paura, ma alla fine non aveva molta importanza: tremava e basta.
    Un'auto si fermò davanti a loro e l'uomo con un ghigno divertito le disse "Il tuo primo lavoretto, fatti pagare bene e non provare a scappare ti troverei comunque. Benvenuta ad Amburgo puttanella".
    Quelle parole furono assordanti per lei, quelle parole la ferirono più di ogni violenza fisica che stava subendo. Non poteva restare inerme, non poteva subire così. Lei voleva, lei doveva scappare.
    Si strattonò dalla presa del suo aguzzino e cercò di correre il più lontano possibile, ma non ci riuscì: lui l'aveva già afferrata per i capelli prima che potesse attraversare la strada, ed adesso, il dolore che le pulsava la testa la faceva urlare disperata.
    Cadde in ginocchio sul duro cemento, ma l'uomo malamente la rimise in piedi per poi colpirle violentemente il viso.
    Lei a quel contatto potè quasi avvertire il rumore dei capillari delle sue guance rompersi inondandole sotto pelle di sangue che le tingeva in superficie di roventi chiazze rosse.
    "Non farmi più scherzetti del genere!" le ringhiò contro, poi la spinse dentro quell'auto che partì a grande velocità.
    Al volante un uomo sulla cinquantina dall'abbigliamento formale nel suo perfetto completo blu scuro le sorrise in un modo che stava tra la perversione e il derisorio.
    "Non aver paura, non ti farò del male...vedrai ti pagherò profumatamente, se mi farai divertire".
    Rabbrividì. Non voleva pensare a cosa le stava per succedere, non voleva intrattenere un rapporto sessuale con quello sconosciuto e non voleva i suoi schifosi soldi, lei voleva solo tornare a casa sua e dimenticare quella vicenda, se mai ci fosse riuscita. Quello era un incubo e non il suo sogno.
    Voleva buttarsi fuori dall'auto in corsa, magari nonostante qualche frattura sarebbe riuscita a scappare come anche avrebbe rischiato di morire, bastava poco in fondo. La linea sottile che divideva la vita dalla morte adesso era diventata insignificante e lei non voleva morire, non ancora: troppo giovane, troppo piena di false ed inutili speranze.
    La macchina si fermò in un luogo isolato, buio, silenzioso.
    Quell'individuo le mise le mani addosso e la privò di quel pò di tessuto che la copriva. Cominciò a toccarla, palparla e nel frattempo la sua dignità di donna moriva.
    Sentì il tintinnio della fibbia della cintura, poi vide quelle mani scivolare sulle sue gambe. Le tenne serrate tra di loro con tutta la forza che aveva, tanto che l'uomo spazientito gliele divaricò violentemente.
    Si ripeteva che era ancora in tempo per fuggire, bastava che lo allontanasse, aprisse lo sportello e sarebbe scomparsa inghiottita da quell'oscurità di una notte senza stelle. Non l'avrebbe inseguita, ne era certa. Ma cosa avrebbe fatto poi? Dove sarebbe andata? Era notte fonda, era buio, non conosceva le strade di Amburgo e faceva troppo freddo. In quelle condizioni non sarebbe andata nè lontanto e nè sopravvissuta. Sicuramente si sarebbe persa e il mattino seguente l'avrebbero trovata morta per assideramento. Inoltre con sè non aveva niente: la borsa con i documenti e i soldi era rimasta nell'auto di quel folle.
    Si limitò a dirsi di essere forte e volse la testa verso il finestrino, mentre l'uomo si insinuava in lei con poca delicatezza.
    Lo sentiva gemere e provò disprezzo per se stessa. Si faceva schifo, anche se tutto quello non dipendeva da lei, lei che non aveva colpa ed era solo una vittima.
    Per tutta la durata di quella violenza fisica e psicologica non lo guardò in faccia neanche una volta.
    Quando quello sconosciuto terminò di usarla come fosse un oggetto ritornò sul sedile del volante e si ricompose, poi dalla tasca della giacca prelevò una quantità non indifferente di banconote arrotolate, ne prese un paio e le lanciò in faccia alla ragazza.
    Adesso sapeva perchè quella strada veniva chiamata "Boulevard of broken dreams" ovvero "Il viale dei sogni infranti" e con il tempo imparò che lei non era l'unica, ma una delle tante.
    Da quella sera erano passati tre anni...
     
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  2. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 1 -Sul marciapiede-




    Quella notte il freddo riusciva a penetrarti fin dentro le ossa e lei si strinse di più nel suo striminzito pellicciotto preso per pochi soldi in una fiera. Davanti a sè vide condensare in nubi il suo fiato, soffiò dentro le mani per riscaldarle, mentre con il tacco dei suoi stivali picchiettava sul marciapiede aspettando una macchina che fermandosi davanti a lei l'avrebbe fatta salire. Di fronte si sarebbe trovata il viso di un uomo sconosciuto che l'avrebbe portata in un luogo da cani dove l'avrebbe scopata e pagata, per poi riportarla in quella maledetta strada, di nuovo sul quel marciapiede.
    Guardò in fondo al viale, ma non vide nessuna luce di fari in lontananza e sospirò. Era contraddittorio, malsano sperare di venire caricata nell'auto di qualcuno, ma almeno dentro una fottutissima auto sarebbe stata al caldo e soprattutto non avrebbe subito le angherie di quello stronzo del suo aguzzino.
    "Celeste!" una voce femminile, fin troppo familiare e leggermente acuta la chiamò facendola girare. Era Kirsten una delle tante ragazze adocchiate e attirate con l'inganno in quel mondo da lui, proprio come lei.
    Durante quegli anni ne aveva viste arrivare quattro dopo di lei che ormai oltre a compagne di sventura considerava sorelle.
    Abitavano tutte in una topaia. Dormivano in due stanze da letto che dividevano tra di loro: in una, la più piccola, stavano lei e Kirsten che veniva dalla Danimarca e nell'altra stavano Andreea, Cecilia e Consuelo, le altre tre ragazze che rispettivamente venivano da Romania, Grecia e Spagna.
    "Hey, Kirsten..." disse andando incontro alla danese dagli occhi azzurri e dai lunghissimi capelli biondi e lisci che incorniciavano un viso bianco tempestato sulle guance da chiare lentiggini. Anche lei tremava per il freddo e saltellava da un piede all'altro: a coprirla c'era solo una microscopica minigonna la cui presenza era indifferente talmente poco la vestiva ed un top che le lasciava scoperta la pancia su cui ricadeva un giacchino di pelle. Stare vestite in quel modo all'inizi di un inverno tedesco era da folli, ma non dipendeva da loro. Erano prostitute.
    "Oggi non si fa niente?" le domandò.
    "Mi sa proprio di no...tu? Non viene il tuo vecchietto arrapato tanto innamorato di te?".
    Rise "Dovrebbe venire a momenti".
    Sospirò "Capisco, almeno tu non dovrai sentire le lamentele di quel coglione...".
    "Senti se vuoi posso fare qualcosa in più con il nonnetto così sgangerà qualche mancia generosa e Carl non si lamenterà...".
    "Scherzi?! Tu non devi fare assolutamente niente che non ti tocchi già di fare con quel vecchio per pararmi il culo! Qualcosa m'inventerò...".
    "Come vuoi...".
    "Le altre, invece, che fanno?".
    "Come puoi benissimo vedere Consuelo se n'è andata beatamente a bordo di una BMW e Andreea è in trattativa con un tizio...".
    Annuì.
    In quel momento una vecchia auto bianca si fermò davanti a loro per poi abbassare il finestrino.
    "Guarda un pò chi c'è! Il mio vecchietto preferito!" esclamò Kirsten abbassandosi con una finta allegria, si voltò verso l'amica e le sorrise, poi entrò nella macchina che partì lasciandosi dietro una densa scia puzzolente di fumo grigio.


    ***

    -Nel frattempo-
    L'auto sfrecciava sulla strada illuminata scarsamente da qualche lampione, mentre dentro di essa un'accesa discussione aveva luogo.
    "Ti ho detto che io non ci voglio andare a quella festa!" protestò il ragazzo sul sedile del passeggiero incrociando le braccia sul petto di pietra perfettamente scolpito, segno di un proficuo esercizio fisico.
    "Cazzo, Bill smettila! Ci hanno invitato entrambi e non posso andarci da solo, quindi taci!" ribattè il ragazzo al volante, anche lui munito di un corpo statuario come il fratello, suo gemello.
    "Tu a me taci non lo dici! Vacci solo! Qual è il problema?".
    "Solo no. E poi che devi fare a casa? Ti pianti davanti alla TV a masturbarti con i porno? Invece vieni alla festa, adocchi qualche tipa e ti diverti".
    "Guarda che io non sono te, Tom! Non mi interessa delle tipe, dannazione! Riportami immediatamente a casa!" urlò colpendo il cruscotto della costosa Audi.
    "Vedi che questa è la mia auto, cazzo!".
    "Fottiti tu e l'auto! Adesso fammi scendere!".
    Tom lo ignorò.
    "Ok, vuol dire che farò da solo" disse ed aprì lo sportello, mentre l'auto era in corsa.
    "Ma sei coglione?!" urlò quello al volante fermandosi di colpo.
    Il ragazzo scese dall'auto e richiuse lo sportello con poca delicatezza. Quel rumore riecheggiò per la strada deserta.
    "Torna a piedi a casa".
    "E' proprio quello che ho intenzione di fare!".
    "Buona passeggiata allora".
    L'Audi ripartì sgommando bruscamente e lasciando dei segni neri sull'asfalto umidiccio.
    Bill iniziò a camminare di buon passo seguendo quella retta via. Le strade non erano mai state il suo forte e il senso dell'orientamento non era dalla sua parte soprattutto in una zona che non gli apparteneva.
    Camminava e camminava e gli sembrava di non muoversi mai da quel punto in cui Tom l'aveva lasciato, gli sembrava di camminare a vuoto e di essere in uno di quegli incubi dove non riesci mai a raggiunsere la meta tanto agoniata. A quel pensiero rabbrividì o forse quel brivido era stato causato dalla sgradevola carezza del vento, non si pose il problema e continuò a percorrere l'asfalto di pece fino ad arrivare ad un viale alberato e illuminato da una sfilza di lampioni dalla luce giallastra su entrambi i lati.
    Vide delle ragazze quasi svestite ridacchiare ed atteggiarsi al suo passaggio, una gli si piazzò persino davanti costringendolo a fermarsi.
    "Wow, finalmente un bel giovanotto fresco e pieno di energie...ti va di farmi vedere cosa sai fare? Ti farò un prezzo di favore" gli disse sfiorando con una mano il suo collo.
    Bill indietreggiò "N-no, grazie" mormorò prima di scappare dalle grinfie di quella escort.
    Un'altra gli mandò dei baci a distanza, un'altra ancora gli lanciò un "uh-uh" mostrandogli i seni e lui non faceva altro che provare una pietosa compassione per loro. Quel genere di compassione che si riserva ad un cane moribondo e pieno di zecche la cui fine è ormai segnata, quel genere di compassione che più di essere tale era prima di tutto disprezzo. Trovava malsano, sporco, perverso far parte di quel mondo e svendere in quel modo increscioso il proprio corpo solo per denaro. E la cosa peggiore era che dai loro visi sembravano felici di ciò che erano e facevano. Davanti a quell'insano spettacolo la pelle di Bill si accaponava e di una cosa era più che certo: non avrebbe mai sfiorato nemmeno con un dito una prostituta.
    "Proprio qui dovevo andare a finire?! dannazione!" pensò con riluttanza tra se e se.
    "Hey! Guardare dove cammini no, eh?".
    Ritornò alla realtà accorgendosi che aveva appena preso di petto una ragazza, una prosituta come le altre a giudicare dal modo in cui era vestita: un tubino cortissimo che a malapena le copriva l'intimità lasciando scoperte al tocco gelido del vento delle cosce bellissime e perfette, la zona delle ginocchia fino ai piedi era coperta da lunghi stivali lucidi e neri, mentre la parte superiore del tubino riusciva con difficoltà a contenere il seno generoso, le sue spalle erano coperte da un piumino bianco un pò spelacchiato, la sua pelle era leggermente bronzea e quel colorito faceva risaltare sul suo viso due grandi occhi verdi che lo guardavano perplessi storpiati della loro bellezza a causa di un trucco troppo vistoso che non gli apparteneva.
    "Tutto ok?" le domandò quella ragazza tanto bella da sembrargli uno spreco per fare il mestiere più antico del mondo.
    "S-si, scusami" balbettò.
    "Bene, perchè non riuscivo a capire chi dei due si fosse fatto veramente male..." disse sorridendo "...ti sei perso?".
    "Si...no...c'è si...no, non mi sono perso...tu come fai a saperlo?".
    Rise "Io non lo so, infatti te l'ho chiesto".
    "Oh già...si, mi sono perso".
    "Deciditi prima di hai detto di no".
    "Volevo dire di si".
    "Ok...è la conclusione più plausibile anche: non sei il tipo di ragazzo che va a puttane".
    "Da cosa lo deduci?".
    "Non lo so, ma mi dai questa impressione...sbaglio?".
    "No, non sbagli...".
    Sorrise "Ti serve qualcosa?".
    "Ehm, si...sai dirmi come faccio per raggiungere Weiß Straße?".
    "Sei molto lontano da li".
    "Lo so...".
    "Allora percorri tutta la Boulevard of broken dreams svolti a destra e..." un rombo la interruppe.
    "Bill, che ci fai qui? Meno male che sono venuto a prenderti! Su, sali".
    Il ragazzo si voltò trovandosi davanti l'Audi del fratello e Tom che faceva capolino dal finestrino.
    "S-si...grazie" mormorò frastornato mettendosi una mano in tasca e dando qualcosa che alla ragazza che aprì la mano trovando due banconote da 50 euro.
    "P-perchè questi soldi?" balbettò incredula.
    "Per le indicazioni stradali, grazie" disse mentre scompariva dentro l'abitacolo dell'auto dai vetri oscurati.
    La guardò sfrecciare via finchè il buio non la inghiottì.
     
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  3. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 2 -Il gioco della moneta-





    Le 3 della notte. Era venuto a riprenderle col suo solito furgoncino rosso dalla vercine scrostata e corrosa dalla ruggine a quell'orario come ogni notte.
    Sul retro del catorcio stavano sedute l'una accanto all'altra come fossero animali da bestiame e non vedevano l'ora di ritornare alla loro catapecchia dove potevano finalmente riposare. Tutte avevano quell'intenzione, tranne una.
    Cecilia tremava al solo pensiero di ritornare a "casa" perchè prima di passare per il suo vecchio e sconguassato materasso doveva passare, come del resto ognuna di loro, da lui per rendergli i profitti della nottata. Per chi aveva racimolato qualcosa non era un problema, me per chi gli si presentava a mani vuote lo era, ed anche grosso.
    L'avrebbe picchiata, minacciata ed insulata facendola correre nella sua stanza piangente e piena di lividi. Le sarebbe toccato quello...era la prassi: portavano i soldi potevevano continuare a vivere di un giorno in più la schifosa vita che avevano fra le mani, non li portavano non sapevano mai quello che li poteva succedere; tutto dipendeva da quanto era fatto o ubriaco, tutto dipendeva se in quell'istante era fuori di senno già per altre faccende e si sfogava sul loro corpo o se era particolarmente "tollerante" e il minimo che poteva succedergli era qualche cicca di sigaretta spenta addosso, tutto dipendeva da ciò che il destino aveva in serbo per loro in quell'istante.
    "Farà il gioco della moneta, uscirà testa, mi legherà e mi farà dormire fuori" mormorava Cecilia con il viso fra le ginocchia dondolandosi con la schiena.
    "Cecilia, no. Magari andrà diversamente..." cercò di consolarla Andreea, ma nemmeno lei era poi tanto sicura delle sue parole.
    "No...con me tira fuori sempre la moneta...uscirà testa come ogni volta..." continuò ed iniziò a singhiozzare "Uscirà testa me lo sento...uscirà testa lo so...uscirà testa..." iniziò a farneticare cantilenando rauca in preda ad un delirio che già la catapultava psicologicamente sotto gli artigli di quel bastardo.
    Il gioco della moneta era l'assurda punizione che riservava in genere a lei. Quella maledetta moneta che non aveva croce da un lato, come lui voleva farle credere, ma solo testa su entrambe le facce. La lanciava in aria e la bloccava sul dorso della sua mano per poi annunciarle con un ghigno sadico e soddisfatto la sua disfatta, perchè testa significava l'inferno, la croce l'inesistente salvezza.
    Per Cecilia quella storia era diventata un trauma e come biasimarla alla fine, non sapeva mai quello che aveva in mente, ma era consapevole solo che sarebbe stato qualcosa di brutto.
    Vederla in quello stato faceva stare male Celeste che non avvertendo quasi più la sensibilità delle sue mani, a causa del freddo, le infilò dentro le tasche del piumino e a quel punto sentì qualcosa di liscio e croccante al tatto: le due banconote da 50 euro che le aveva lasciato quel ragazzo.
    Le girò e rigirò tra le dita indecisa sul da farsi: essere egoista e tenerle per sè o aiutare Cecilia e cederle a lei? Nel primo caso avrebbe evitato la punizione e tranquilla sarebbe andata a dormire sul suo pulcioso letto, mentre l'amica avrebbe dormito fuori, sulla terra dura e in balia del freddo di Amburgo, invece, se le avesse dato i soldi Cecilia si sarebbe risparmiata quel patimento e un altro trauma, mentre a lei sarebbe toccata la sua sorte.
    Sospirò e tirò fuori le due banconote: essere egoisti anche in quelle estreme situazioni sarebbe stato davvero penoso, se sarebbe dovuta morire almeno avrebbe avuto la coscienza pulita.
    "Cecilia...prendile tu, ne hai più bisogno".
    La ragazza alzò il viso e la guardò perplessa "C-cosa?".
    "Prendile tu" ripetè Celeste porgendogliele.
    "Ma-ma come farai tu? Se la prenderà con te".
    "Ho la pellaccia dura io, non preoccuparti" la incoraggiò accompagnandosi da un sorriso.
    "Ok...grazie" mormorò Cecilia prendendole e custodendole gelosamente dentro una coppa del suo reggiseno.

    Il brontolio sofferto del motore del furgone cessò facendo ripiombare l'ambiente di nuovo nella sua quiete notturna.
    Carl scese da veicolo e bruscamente aprì il portellone. Le ragazze scesero velocemente l'una dietro l'altra per poi entrare in casa: una vecchia villetta a due piani dalla facciata scalcinata e macchiata da grandi aloni neri di umido, un solco percorreva la parte di muro accanto alla porta fino ad arrivare a terra e delle sbarre stavano alle finestre. Un carcere ad una stella insomma.
    La porta d'ingresso si chiuse cigolando alle loro spalle e Carl afferrò malamente per il polso Consuelo per chiudersi con lei nella stanza della "verità" dove la giovane prostituta avrebbe dovuto fare un rapporto della sua nottata: con quanti uomini era stata e quanto aveva guadagnato per, infine, consegnare il denaro all'aguzzino.
    Consuelo lì dentro si soffermò per pochi minuti, ma alle ragazze che aspettavano ammutolite e tremanti il loro turno fuori sembrò un'eternità.
    "Kirsten!" urlò l'uomo una volta aver congedado la spagnola che corse subito al piano di sopra, ormai "salva" per quella notte.
    Qualche minuto dopo delle grida disumane squarciarono il silenzio carico di tensione che si era creato mozzando i respiri di tutte.
    "Brutta stronza! Cazzo! Come puoi presentarti con quest'elemosina! Per chi mi hai preso?! Eh?!".
    Un tonfo seguì subito dopo.
    "C-Carl è tutto quello che mi ha pagato oggi quel vecchio...m-mi dispiace..." singhiozzò la ragazza.
    "Ti dispiace?! Presentati di nuovo con una simile miseria e non ti darò più da mangiare per una settimana! Lo sai quanto mi costi maledetta puttana?!...Adesso vattene dai miei occhi o non so che ti faccio!".
    La porta si spalancò e Kirsten uscì piangendo. Celeste l'abbracciò, mentre alla forca si dirigeva Andreea.
    Con lei calò di nuovo il silenzio e qualche istante dopo uscì per lasciare il posto a Cecilia.
    Quando anche questa lasciò la stanza, fu il turno di Celeste che prima di entrare tirò un lungo respiro.
    Chiuse la porta dietro di sè e nel frattempo Carl seduto con una gamba a penzoloni sul tavolo dal legno marcio l'osservava serio.
    "Che mi hai portato tu?" le domandò.
    La ragazza deglutì e cercò di raccogliere tutto il suo coraggio per affrontarlo. Avvertì una sua mano tramare e con l'altra la bloccò: non voleva che lui potesse fiutare la sua paura. Non poteva permettersi il lusso di tremare. Quel cane bastardo ne avrebbe approfittato e divorata in un sol boccone.
    "Niente" gli rispose facendo spallucce.
    Quello fece un mezzo sorriso tra il sarcastico e divertito "Niente? E me lo dici così?" concluse la frase digrignando i denti e facendo tendere i muscoli del viso e del collo, mentre battè un violento pugno sulla superficie del tavolo. Celeste sotto quel colpo vide sollevarsi una sottile polvere che ondeggiò nell'aria, per poi ritornare a posarsi sul legno.
    "Se vuoi i soldi, almeno portaci i clienti. Non puoi pretendere che tutti i giorni vadano bene, ci sono notti come questa che per la Boulevard of broken dreams non passa neanche un cane!".
    L'uomo scattò in piedi e con grandi falcate percorse la distanza che lo divideva dalla ragazza che, una volta raggiunta afferrò per il collo.
    "Mi prendi per il culo? Ma chi cazzo ti credi di essere?! Stronzetta portami rispetto o ti spezzo il collo!".
    "Fottiti! Meglio portare rispetto ad una merda che a uno come te" biascicò strozzata sotto quella morsa che le attanagliava la gola impedendole di parlare come si deve.
    "Puttana!" urlò rabbioso Carl stringendo ancora di più la sua mano d'acciaio.
    Celeste si sentì mancare il respiro improvvisamente ed annaspò. Con le mani cercò di liberarsi da quella presa, ma ogni tantativo risultò vano. La gola iniziò ad asciugarsi e pizzicarle in assenza d'aria e il suo petto cadde vittima di violenti spasmi.
    Dimenò le mani per aria e conficcò le unghie nel viso dell'uomo che lasciò andare la presa ed indietreggiò con le mani sulla faccia.
    La ragazza cadde a terra e tossì più volte, poi cercò di trascinarsi verso la porta per uscire e scappare, ma quando stava per raggiungerla Carl l'afferrò per una caviglia e la tirò lungo il pavimento a sè.
    Celeste cercò di allontanarlo scalciando, ma l'uomo la colpì in pieno viso facendole annebbiare i sensi per il dolore. Nonostante ciò lei continuò a muoversi come una forsennata nella speranza di colpirlo e allontanarlo. Fortunatamente ci riuscì. Si rimise in piedi e notò il sangue che fuoriusciva dal suo naso riversarsi a terra formando una serie di goccie discontinue. Andò verso la porta, ma per l'ennesima volta quel mostro glielo impedì.
    La prese per i capelli e cominciò a strattonarla facendola mettere in ginocchio "Io ti uccido!" le aveva urlato tirando fuori dalla tasca un coltellino dalla lama affilata e lucente che avvicinò alla sua gola, mentre le tirava la testa all'indietro.
    "Fallo! Tanto te la sai prendere solo con noi! Cos'è ti fa sentire più uomo picchiare le donne? Perchè sai che con un'altro come te non reggeresti il confronto" lo provocò Celeste.
    Carl aggrottò la fronte segnata dai profondi graffi rossi esitando per un istante e la ragazza ne approfittò per sfuggire alla sua presa. Riuscì ad aprire la maniglia e quando quello la bloccò per il polso gli diede un calcio sui genitali facendolo piegare su se stesso, allora corse via.
    Ebbe il tempo di chiudersi nella sua stanza che un secondo dopo Carl iniziò a battere violentemente contro la porta dai cardini arrugginiti che non avrebbero retto per molto sotto quei colpi.
    "Maledetta! Puttana! Butto giù la porta! Io ti ammazzo!" urlò dall'altra parte mentre Celeste aggrappata alla maniglia e poggiata con una spalla contro l'uscio piangeva per la paura. Aveva giocato col fuoco ed adesso rischiava di rimanere bruciata.
    Quei violenti colpi e quelle urla continuarono per svariati minuti fino a quando, improvvisamente non cessarono.
    La ragazza smise di piangere e tese l'orecchio verso la porta per riuscire a capire se se ne fosse andato veramente, ma ad un tratto un ultimo violento colpo contro il legno la fece sobbalzare. Poi sentì scendere le scale e sbattere la porta d'ingresso segno che se n'era andato e veramente adesso.
     
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  4. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 3 -Ti vedrò strisciare...-




    La nuova notte agli occhi di Celeste subentrò velocemente, troppo velocemente.
    Aveva trascorso la giornata chiusa nella sua stanza per non incontrare Carl ed imbattersi nella sua ira ancora bruciante. Non aveva neanche mangiato e adesso sentiva il suo stomaco protestare per l'assenza di cibo.
    "Se continui così ti farai ammazzare davvero" la rimproverò Kirsten "Che ci guadagni ad alzare la cresta con lui? Ti becchi solo lividi e finisci con il non mangiare, io non ti capisco".
    "Io non riesco a farmi mettere le mani addosso senza reagire come fai tu".
    "Ma comportandoti così vai verso il suicidio".
    "Almeno morirò con un minimo di dignità...e comunque non credere che io mi faccia ammazzare da quel bastardo! Non esalerò l'ultimo respirò sotto le sue mani, no. Al contrario, devo vederlo io strisciare come un verme ai miei piedi implorandomi pietà".
    "Spero per te che un giorno sia così...adesso però preparati che dobbiamo andare...io ti aspetto di sotto" e così dicendo la ragazza lasciò la stanza.
    Celeste si vestì con i soliti stracci indecorosi per poi uscire al piano di sotto anche lei.
    Il suo obiettivo era fuggire da quella vita e non poteva farlo se prima non trovava il modo di liberarsi di Carl. Su di lui concentrava tutto il suo odio e dal giorno in cui l'aveva costretta a prostituirsi progettava il delitto perfetto la cui vittima sarebbe stato lui.
    Sporcarsi le mani con il sudicio sangue di un essere simile le faceva schifo, ma era l'unico modo che aveva per ritornare libera, e con lei anche le sue compagne.
    Fuori la luna piena era per metà nascosta da alcune nuvole bianche che pian piano andavano a diramarsi verso l'esteso manto pece, fin quando non avrebbero lasciato scoperto del tutto il corpo celeste dal bianco lattiginoso.
    Carl proprio in quel momento stava facendo salire sul furgoncino le ragazze e quando la vide la fissò in un modo tagliente e glaciale. Celeste lo ignorò e gli passò davanti per salire, anche lei, sul veicolo, ma l'uomo le mise un braccio davanti ostacolando la sua avanzata. La guardò con un ghigno e con la sua mano callosa e fredda sfiorò la guancia della ragazza, per poi bloccarle il viso per il mento. La tirò bruscamente a sè e la baciò.
    Celeste sentì quella viscida lingua insinuarsi prepotente nella sua bocca e un'espressione di disgusto le stravolse i bei lineamenti.
    Quando quel riprovevole bacio terminò la lasciò salire sul furgoncino. Una volta lì dentro la ragazza con la manica della sua giacca si strofinò con forza la bocca e sputò a terra per cercare di cancellare il passaggio di quel corpo estraneo, mentre le ruote del catorcio cominciarono a girare sulla strada dissestata.
    Un quarto d'ora dopo tutte e cinque stavano sul marciapiede della Boulevard of broken dreams.

    ***

    Bill stava seduto placidamente sulla poltrona intento a piggiare continuamente i tasti del telecomando con poco interesse.
    "Mio Dio! Vuoi farmi vedere qualcosa o hai intenzione di cambiare canale continuamente?" lo richiamò Tom scocciato, comodamente sdraiato sul divano di un bianco ghiacciato che da un lato terminava con una penisola.
    "Vado a portare Scotty fuori" disse Bill dopo aver sospirato, mentre si alzava in piedi accompagnato dal tintinnio delle catene argentate appese ai suoi pantaloni neri.
    "Che? Dici davvero?" gli domandò il fratello sorpreso e stranito al contempo inarcando un sopracciglio.
    "Si, qual è il problema?".
    "Nessuno, solo che la cosa mi stupisce: non porti mai il cane fuori".
    "Se rimango un altro pò qui dentro rischio di impazzire...".
    "Ok...il guinzaglio sai dov'è" disse Tom allungandosi verso il piccolo tavolino in vetro ed acciaio su cui Bill aveva appena posato il telecomando.
    Il ragazzo agganciò il guinzaglio al collare del cane, poi si coprì con una pesante giacca, per infine uscire, ma quando stava per aprire la porta d'ingresso il gemello lo bloccò.
    "Aspetta! Devo dare alcune raccomandazioni a Scotty" disse e si abbassò sul cane "Mi raccomando se esce fuori di testa scappa e vieni da me".
    "Ah-ah spiritoso" rispose Bill sarcastico.
    "E tu stai attento a non finire di nuovo tra le escort, quelle ti mangiano vivo...se hai proprio bisogno di sfogarti basta che chiedi a me e ti rimedio subito un paio di tipe" continuò rivolgendosi al fratello che per tutta risposta gli mostrò il medio, aprì la porta e se ne andò.
    Percorse la strada distrattamente senza guardare davvero dove stesse andando. Erano i suoi piedi a guidarlo.
    Improvvisamente tra i suoi già affollati pensieri se ne intromise un'ennesimo che annientò tutti gli altri: "Boulevard of broken dreams".
    Quel nome l'aveva colpito e anche il contesto in cui si trovava: una strada chiamata "il viale dei sogni infranti" luogo di ritrovo per le prostitute.
    Con la mente percorse la strada della sera precedente e dopo che fu sicuro di ricordarsela per bene trasportò la teoria sulla pratica.
    Effettivamente si era ricordato bene, perchè raggiunse il viale senza sbagliare.
    Una volta essersi addentrato iniziò a cercare con gli occhi la stessa ragazza del giorno prima. Non sapeva il motivo per cui la cercasse, ma le aveva dato pur sempre 100 euro, quindi poteva permetterselo.
    La trovò sulla stessa zona del marciapiede e dedusse che quello doveva essere il suo posto abituale, poi le si avvicinò.

    ***

    Celeste si picchiettava sulla pancia nella speranza di farla tacere. Quei continui brontolii stavano diventando imbarazzanti e snervanti.
    "Hey, ciao". Una voce la riportò all'attenzione e davanti si trovò il ragazzo della generosa mancia.
    Adesso che se lo trovava davanti senza che le fosse piombato addosso e senza che una macchina all'improvviso se lo portasse via, notò che era davvero bello, ma aveva una bellezza diversa, una bellezza tutta sua.
    Era alto, altissimo. Quasi sul metro e novanta. Aveva un fisico asciutto e palestrato al punto giusto. Le sue gambe erano fasciate da aderenti pantaloni neri che ne accentuavano la lunghezza da cui pendeva una serie di catene, il suo torace era coperto da un maglione bianco dalla scollatura a V su cui sopra stava una pesante giacca grigia di pellicciotto. Sul dorso della mano e delle dita con cui teneva il guinzaglio vi era tatuato il loro scheletro, mentre sfilze di orecchini adornavano le sue orecchie e piercing il suo viso dalla linea pulita e delicata: uno al sopracciglio, due agli angoli della bocca ed un anellino al naso. I suoi occhi erano espressivi e belli ed avevano le iridi di un castano chiaro, il suo sguardo era intenso e caldo. Le sue labbra erano perfette e scoprivano un meraviglioso sorriso che ti abbagliava e i suoi capelli rasati ai lati e gonfi al centro erano di un biondo talmente chiaro da risultare quasi grigi.
    A Celeste piacque e se se lo ritrovava davanti un motivo doveva pur esserci: "Forse vorrà il giusto servizio per tutti i soldi che mi ha lasciato ieri" pensò. In fondo lei era una prostituta e cosa le poteva impedire di fare il suo dovere anche con lui? Cosa aveva lui di diverso per non cercare di sedurlo? Perchè con lui non poteva vendersi come faceva con tutti gli altri uomini?
    Gli portò le mani intorno al collo con fare seducente "Di nuovo qui, eh? Quella macchina ieri ti ha portato via e non mi ha dato il tempo di ringraziarti come si deve...".
    Bill tolse la mani della ragazza dal suo collo "Stai fraintendendo. Io non sono venuto per quello. Sono qui solo per far fare quattro passi al cane".
    "E tu porti il cane a spasso qui?! Lo sai che sei davvero strano?" fece Celeste aggrottando la fronte.
    "Lo so, me lo dicono in molti...".
    "Ti sei perso anche questa volta? Se mi lasci la mancia di ieri notte posso spiegarti di nuovo la strada come tornare a casa".
    Il ragazzo sorrise "No, questa volta non mi sono perso...non so nemmeno io che ci faccio qui...".
    "Oh, bene...allora mi sa che è il cane che ti ha portato qui...gran furbacchione!" disse accarezzando la testa del cane e facendogli i grattini dietro le orecchie.
    "Lo credo anch'io" disse Bill ridendo e accarezzando anche lui l'animale.
    Un brontolio ruppe quel momento. Celeste arrossì per la vergogna e si cinse lo stomaco con una mano.
    "Oh" fece il ragazzo posandosi la mano libera sulla pancia "Credo che mi sia appena venuto un certo languorino...dici che troverò qualche fast food aperto a quest'ora?".
    "Beh, si...più avanti c'è n'è uno che è aperto 24 ore su 24".
    "Più avanti dici? Io sono capace di perdermi per l'ennesima volta, che ne dici di accompagnarmi?".
    "C-chi, io?" balbettò incredula.
    "Si".
    "Io non posso lasciare il mio posto...".
    "Dai, per pochi minuti non credo che succeda la fine del mondo..." insistette Bill guardandola con quegli occhi a cui non seppe dire di no.
    "Ok, ti ci accompagno".
    Si incamminarono fino ad arrivare al fast food, dove si fermarono.
    "Bene, visto che sei arrivato sano e salvo io vado...".
    "Invece visto che ci sei non entri insieme a me e mi fai compagnia?".
    "Scherzi?! Tu non hai idea di ciò che dici! Lo sai come ti guarderebbe la commessa dietro il bancone nel vederti accompagnato da una come me? Guarda come sono vestita! Sono indecente!".
    Bill si spogliò della giacca che posò sulle spalle di Celeste.
    "Problema risolto" le disse sorridendo.
    Legarono il cane fuori a causa del divieto all'ingresso degli animali ed entrarono. Una volta al bancone il ragazzo osservò gli schermi che riportavano il menù.
    "Io prendo una maxi porzione di patatine fritte, tu?".
    "I-io? N-non prendo niente tranquillo" mormorò la ragazza che nel frattempo veniva stuzzicata dal micidiale odore di frittura e hamburger alla griglia che aleggiava nell'aria.
    "Non fare complimenti e prendi quello che vuoi".
    "O-ok...un hamburger...e patatine se per te non è un problema...".
    "Nessun problema".
    Ordinarono e si accomodarono ad uno dei tanti tavoli vuoti. Il locale era deserto e gli unici clienti erano loro due.
    Celeste mangiò di gusto addentando e mandando giù grandi quantità del cibo spazzatura che le stava dinanzi.
    "Ci voleva proprio dopo un'intera giornata passata a digiunare...grazie".
    "A digiunare? Come mai?" chiese Bill stranito.
    "Ehm...sono stata così impegnata che non ho avuto neanche il tempo di un boccone...adesso direi che devo ritornare alla mia postazione: è tardissimo".
    "Va bene, ti accompagno".
    La ragazza guardò le lancette dell'orologio del fast food appeso alla parete che segnava l'una di notte: fra meno di due ore Carl sarebbe andando a prenderle e lei non aveva fatto neanche un soldo bucato e questo era fottutamente male.
    "Non c'è bisogno che mi accompagni...ancora grazie di tutto, davvero! E scusami se prima ho cercato di sedurti...".
    Appena pronunciò quella frase corse via. Uscendo fuori non avvertì neanche il freddo pungente perchè la compagnia di quel ragazzo e quelle sue attenzioni, di cui non sapeva il motivo per le quale gliele riservasse, le avevano scaldato il cuore.
     
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    CAPITOLO 4 -Indegna per poter ammirare le stelle-



    Quando ritornò in quella che era diventata, per quanto malandata poteva essere, la sua casa da tre anni si ricordò di avere ancora la sua giacca addosso. Mentre aspettava il suo turno d'entrata per la "stanza della verità" infilò le mani nelle tasche, magari nella speranza di trovare qualcosa. E quella fu una mossa azzeccata, perchè le sue dita sfiorarono qualcosa di cartaceo che subito tirò fuori realizzando che quel "qualcosa" era una banconota verde.
    "Ma che?" mormorò esterrefatta tra se e se, ma immediatamente fu costretta a ricomporsi quando Carl la chiamò.
    Sentendo urlare il suo nome sobbalzò e prima di entrare nella stanza si spogliò della giacca che affidò a Kirsten.
    Una volta entrata fu colpita in pieno, quasi come uno schiaffo, dall'aspro puzzo del fumo delle sigarette che appestava l'aria creando una cappa maleodorante per le narici e simile alla foschia per gli occhi.
    Celeste con noncuranza lasciò cadere la banconota appena trovata sul tavolo, per poi girarsi ed andarsene; ma lì dentro nulla era così facile.
    Carl la precedette posando una mano contro la porta e ostacolando la sua ritirata.
    "Non credere di poter andartene così presto: noi due abbiamo ancora un conto in sospeso..." le disse con un ghigno divertito "...sai, mi sono sempre piaciute le ragazze toste come te..." continuò avvicinandosi a lei.
    Le passò una mano tra i capelli e tenendola per la nuca iniziò ad annusarle il collo come un segugio, mentre sul viso della ragazza si dipingeva una smorfia di disgusto.
    Dopo aver avidamente fatto suo il profumo di lei iniziò a percorrere la medesima zona con la lingua.
    Celeste rabbrividì e sarebbe fuggita volentieri se solo ne avesse avuto la possibilità, ma se una parte di lei le diceva questo, un'altra parte, quella che aveva imparato a forgiare in quegli anni da prostituta, le diceva che quella situazione andava in suo favore. Se fosse entrata tra le grazie di Carl l'avrebbe tenuto in pugno e di lì a poco avrebbe finalmente assaporato la sua vendetta. Cercò di reprimere con tutte le sue forze il ribrezzo e di trattare quell'uomo che le stava davanti e detestava come uno dei suoi clienti notturni.
    Lasciò che quelle mani corressero lungo il suo corpo e che la toccassero rudi, si lasciò manovrare come una bambola di pezza.
    Carl la prese per le spalle facendola abbassare fino a farle toccare con le ginocchia il pavimento. Il viso di Celeste si trovò di fronte il cavallo leggermente sollevato dei jeans dell'uomo. Emise un impercettibile sospiro e meccanicamente si prestò a fare il suo dovere: aprì il bottone e abbassò la cerniera che stava in tensione.
    Fece scivolare i jeans lungo quelle gambe bianchissime e ricoperte da una bionda peluria, poi afferrò l'elastico dei boxer scuri che aderivano perfettamente sull'erezione in corso. Li tirò fino a farli cadere sui pantaloni che già giacevano a terra.
    Carl affondò le mani sulla testa della ragazza facendole sommergere dai castani capelli, mentre con un movimento veloce e brusco spinse il suo viso contro il suo membro.
    Celeste lo prese tra le mani ed iniziò a sfiorarlo in tutta la sua lunghezza con le perfette labbra carnose tinte di un rosso acceso. Lo ripercorse una seconda volta, stavolta con la lingua, per poi soffermarsi sulla punta che introdusse nella sua bocca.
    L'uomo iniziò a sospirare roco e il suo respiro si fece profondo e sommesso. Strinse ancora di più la testa della ragazza tra le mani accompagnando i movimenti della bocca di lei con il bacino.
    Prima che il rilascio potesse invaderle il palato Celeste cercò di indietreggiare, ma Carl la costrinse a restare e subirlo.
    Subito dopo lei si allontanò sfregandosi la bocca con una vecchia pezza di fortuna che aveva trovato nella stanza. Quel gesto le fece sbavare il rossetto che andò a finire quasi sulle guance.
    Si sentì afferrare e stringere con forza per le braccia "Non abbiamo ancora finito" le soffiò all'orecchio. La spinse contro il vecchio ed impolverato tavolo dove la fece piegare. La privò dell'intimo di pizzo ed alzò la minigonna quel tanto che gli permettesse la penetrazione. Quando questa avvenne il viso di Celeste fu stravolto da un'espressione di dolore talmente violento era stato. A completare quel dolore, inoltre, vi erano quelle mani di pietra che le stringevano con troppa forza i fianchi, quasi a volerle fracassare le ossa.
    Carl terminò di abusare di lei e senza guardarla in faccia la lasciò in piedi in quella stanza spoglia. Sulle guance nascoste dai capelli un pò arruffati rotolarono due lacrime che la ragazza subito asciugò.
    "Non devi piangere, stupida. Non serve a niente piangere...tu sei forte e gliela farai pagare un giorno per tutto!" si disse tra se e se in un mormorio tremulo e stringendo tra le dita i lembi della sua gonna.

    Un altro giorno trascorso, un'altra notte alle porte. Di nuovo su quel marciapiede, di nuovo sotto un manto nero che non ti riservava stelle e non sapevi se anche gli altri non riuscissero a vederle o se quei piccoli puntini brillanti si nascondevano di proposito alla tua vista perchè ti consideravano indegna per poterle ammirare.
    Celeste stava proprio guardando il cielo, quando quella voce che in cuor suo sperava di riascoltare anche quella notte, trafisse piacevolmente quel falso silenzio stuzzicato dagli schiamazzi e risatine delle altre prostitute.
    "Hey...".
    Si voltò incontrando quel viso terribilmente dolce che le conferiva un senso di rassicurazione e pace, il viso di quel ragazzo che non la considerava una puttana, ma che persino le aveva offerto una cena.
    "Hey...cosa ti porta di nuovo qui? Non ti seì perso, niente cane al seguito..." osservò.
    "Beh, se non sbaglio hai qualcosa che mi appartiene, quindi credo di avere tutto il diritto di venire...".
    "Oh si, scusami nella fretta avevo dimenticato di restituirtela" mormorò Celeste togliendosi la giacca che aveva indossato, per poi porgerla al suo legittimo proprietario.
    Bill la prese con un sorriso e in quell'istante la ragazza arrossì.
    Nella tasca di quella giacca aveva trovato dei soldi che aveva preso e dato a Carl senza alcun diritto, e adesso se si fosse accorto di quella mancanza avrebbe fatto una figuraccia. Ma c'era anche la possibilità che lui non ci facesse caso, anzi che non sapesse nemmeno della presenza di quei soldi nella tasca. Poteva correre il rischio e tacere, come dal tronde avrebbe fatto con qualsiasi altra persona, ma come poteva mentire a quegli occhi? Come poteva comportarsi in un tal modo dopo che lui era stato così gentile con lei? Come poteva, semplicemente, fare questo a lui?
    "S-senti...io...io...ieri notte ho trovato una banconota da 100 nella giacca e l'ho presa...m-mi dispiace...so che non mi appartenevano e non dovevo...non sono una ladra, però...".
    Il ragazzo inizialmente la guardò sorpreso dalla confessione, poi le riservò un tenero sorriso "Ok, non fa niente...apprezzo la tua sincerità".
    "G-grazie...".
    Un'auto, una normale monovolume con un tizio a bordo si accostò a loro.
    "Hey, bella sei occupata?" le domandò sguaiatamente.
    "No" rispose Celeste che poi si rivolse verso Bill "Adesso devo andare...magari ci si rivede..." disse andando verso il veicolo ed aprendo lo sportello "Ah, dimenticavo! Non ti ho mai chiesto come ti chiami...Io sono Celeste e tu?".
    "Bill".
    "Bill...ok, allora ciao Bill" disse per infine entrare nell'abitacolo e sfrecciare via, lasciando quel ragazzo con l'amarezza nel cuore.
     
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    CAPITOLO 5 -Le due facce di Amburgo-




    Bill tornò a casa pallido e decisamente di malumore. Lanciò con poca delicatezza il mazzo di chiavi che aveva fra le mani che atterrò rumorosamente ad un angolo estremo del mobile d'ingresso, facendo svegliare di soprassalto Tom dal suo sonno sul divano.
    "Quando mi dici che fai nelle tue passeggiate notturne le scimmie ci conquisteranno" mugugnò con la voce impastata dal sonno.
    Il ragazzo si bloccò. Voleva parlare con il fratello, aveva un gran bisogno di parlare, di sfogarsi: era troppo scosso. Ma parlare di cosa? Dirgli che cosa? Che lo faceva star male vedere che una prostituta andasse a far sesso con uno sconosciuto per denaro? Che da quando aveva incontrato quella ragazza sentiva l'esigenza di rivederla e che durante quelle uscite notturne andava a trovarla sul marciapiede? Dirgli quello a che scopo poi? Neanche lui sapeva il motivo di quel suo comportamento, neanche lui sapeva quello che stava provando e cosa gli stesse succedendo. Inoltre Tom l'avrebbe preso per folle.
    Tirò un lungo respiro e scosse leggermente la testa, poi quasi trascicando i piedi salì le scale chiudendosi nel grande bagno dalla rubinetteria cromata e il mobilio dal design moderno. Lì si spogliò dei suoi indumenti che lanciò distrattamente in un angolo e azionò il getto d'acqua tiepida della doccia, sotto il quale si abbandonò.
    Le goccioline accarezzavano la sua pelle rosea e liscia scivolando lungo le linee del suo corpo perfetto. Si infrangevano a notevole velocità bagnando i suoi capelli e ricadendo sul petto e lungo la schiena.
    Insaponò ogni lembo di pelle, ogni zona del corpo che ben presto si ricoprì di una soffice schiuma che fu lavata via scivolando lungo i suoi piedi, per infine andare a finire dentro lo scarico.
    Si portò entrambe le mani sul volto fino a salire e togliere dal viso una ciocca di capelli, poi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e poggiò la fronte contro il muro facendosi inondare da quel getto rigeneratore e rilassante, mentre l'acqua imperterrita continuava ad avvolgerlo e baciarlo.
    Rimase per un tempo indiefinito così, fin quando non chiuse la levetta ed uscì.
    Notò che sulla stanza sembrava calata una sorta di nebbia, che altro non era che il vapore acqueo formatosi dalla condensazione del calore dell'acqua con l'ambiente freddo. Anche le piastrelle alle pareti subivano questo fenomeno, velate da un sottile strato di umidità.
    Afferrò un asciugamano che legò intorno alla vita ed un secondo lo portò alla testa.
    Lasciò il bagno per dirigersi nella sua camera dove si sdraiò sul letto e addormentò; ma il suo sonno fu assillato dal pensiero di quella ragazza sul cui corpo per denaro si posavano mani sconosciute.

    ***

    Kirsten le si avvicinò accompagnata dal suono scandito dei suoi tacchi contro il cemento del marciapiede.
    "Celeste, mi spieghi una cosa?".
    "Cosa?".
    "Che hai in mente?".
    "Non ti seguo" disse la ragazza perplessa.
    "Con Carl che hai in mente? Cos'è questa novità che adesso te la fai con lui?".
    "Io non me la faccio con nessuno".
    "Vuoi prendere in giro me? Ieri notte ti sei trattenuta un pò troppo con lui...tutte non fanno altro che parlare di questo...".
    "Queste 'tante' dovrebbero tacere e baciarmi il culo perchè se un giorno saranno fuori da questa merda sarà grazie a me!".
    "Ancora con questa storia?".
    "Senti Kirsten tu vuoi continuare a fare la prostituta per il resto dei tuoi giorni? Vuoi ancora vivere in quella catapecchia, dividere la stanza con me, venderti, subire umiliazioni e violenze? Non vuoi avere una casa tua? Un lavoro dignitoso? Continuare gli studi? Uscire il sabato sera con le amiche? Avere una vita normale? La tua vita?".
    "Si, ma...".
    "Ma niente! Vedrai, dammi un pò di tempo e tutto questo finirà".
    Poco dopo un'Audi dal bianco splendente si fermò davanti a loro. Il finestrino oscurato si abbassò scoprendo il volto di Bill.
    "Bill...che ci fai qui?" gli chiese meravigliata.
    "Sali".
    "Sali? Non posso!".
    "Dai, sali" insistette aprendo lo sportello.
    "Non posso lasciare il mio posto e andare in giro a non far nulla!".
    "Ok, quanto ti prendi?".
    "Che?".
    "Quanto ti prendi di solito per salire in macchina di uno sconosciuto e stare con lui?".
    "T-tu...c-che...m-ma" balbettò incredula.
    "Ti faccio un'offerta: te la porti da adesso fino a quando dobbiamo andare via, alle 3 di notte, alla modica cifra di 150 euro, ti sta bene?" intervenne Kirsten.
    "Affare fatto!" ribattè il ragazzo tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans il portafogli da cui prelevò le banconote che porse alla danese che le afferrò e impostò dentro il reggiseno.
    "Hey Kirsten! Ma che?!".
    "Su entra e non fare storie" disse spingendola dentro l'abitacolo "Tre ore di sesso sfrenato con un simile bocconcino non puoi rifiutarle...buon divertimento" disse infine chiudendo lo sportello e strizzando l'occhio all'amica, poi l'auto con un rombo deciso partì.
    "D-davvero tu...".
    "Io cosa?" fece Bill con una strana espressione.
    "Tu mi stai pagando per intrattenere un rapporto?".
    "Si, perchè?".
    "Mi sembra strano...".
    "Strano? Cosa c'è di strano? Questo è il tuo lavoro ed io sono uno dei tuoi tanti clienti".
    "Certo...ma l'unico che mi ha..." si interruppe"...Cosa vuoi che faccia?".
    "Tu che fai?".
    "Tutto".
    "Interessante...quindi è questa la solita domanda che fai quando entri nella macchina di uno sconosciuto?..." disse con uno strano sorriso, se così si poteva definire.
    "I-in che senso?" mormorò Celeste con gli occhi sbarrati in un'espressione di pura confusione.
    "Credi davvero che io abbia sporche intenzioni?".
    "Io...io...non lo so...".
    Da quando aveva messo piede dentro quell'auto una sensazione di forte delusione l'aveva assalita. Non sapeva perchè, ma quel ragazzo, Bill, non lo credeva come tutti gli altri. Non credeva che lui l'avrebbe pagata per sesso, però poi erano arrivati quei soldi, quella domanda e quella che ormai era diventata una certezza era crollata. Doveva ricredersi sul suo conto. Lui era come gli altri. Almeno l'avevo creduto fino ad un secondo fa, perchè adesso non sapeva più che credere: la confusione la faceva da padrone dentro di lei.
    "Celeste io non sono quel genere di persona".
    "Perchè mi hai pagato allora? Per quale scopo?"
    "Per farti salire in macchina, per farti stare con me senza correre il rischio che uno sconosciuto di portasse di nuovo via come ieri...".
    "Anche tu sei uno sconosciuto. In fondo io di te cosa so? Niente. Forse Bill non è neanche il tuo vero nome...".
    "La mia vita non è poi così interessante e Bill è il mio vero nome".
    "Niente di nuovo, per me sei un estraneo come gli altri".
    "Ok, mi chiamo Bill Kaulitz e per vivere canto. Ho una band di successo e un fratello gemello di nome Tom. Così va meglio?".
    "Un cantante? E cosa ti porta a far salire in macchina una come me?".
    "Non lo so neanch'io".
    La macchina si fermò al Binnenalster che di notte regalava uno spettacolo unico.
    La superficie dell'acqua del lago artificiale era una tavola nera che dava l'impressione di essere quasi una strada percorribile che ti avrebbe condotto dall'altra parte della città. In lontananza gli edifici completamente illumintati sembravano tante lucciole sospese nell'oscurità. I loro profili illuminati si riflettevano nel manto nero dell'acqua creando una seconda Amburgo illusoria ai piedi di quella vera, divisa solo da una sottile linea del porticciolo invisibile perchè inghiottita dal buio. Quella mancanza rendava un tutt'uno quelle due realtà, entrambe incantate, entrambe da togliere il fiato. Due porte che conducevano allo stesso mondo fatto di sogni e speranze, le stesse porte che a Celeste non si erano spalancate.
    "Trovo che di notte sia bellissima, non credi anche tu?" disse Bill affacciandosi dal parapetto del ponte.
    "Già, è uno spettacolo meraviglioso".
    Si girò verso la ragazza "Anche tu per me sei una sconosciuta...dimmi qualcosa di te...".
    Celeste fece una smorfia e rivolse lo sguardo a terra "Non c'è molto da dire. Sono italiana e sono venuta qui per fare un pò di fortuna".
    "Facendo la prostituta?".
    Ingorò la domanda "Facciamo una passeggiata lungo il ponte?".
    Bill sorrise lievemente consapevole che forse, per il momento, era meglio far tacere la sua curiosità che gli aveva fatto pronunciare quella domanda; non riusciva a spiegarsi perchè lei tanto bella, tanto diversa, tanto distante dall'essere una prostituta lo era diventata.
    La prese per mano e la condusse per il ponte, mentre le due facce di Amburgo: quella concreta e quella astratta risflessa sul pelo dell'acqua li guardavano.
     
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    CAPITOLO 6 -Like Pretty Woman-




    Quelle piacevoli ore ben presto volarono via portando con loro la fine di quel lieto incantesimo e lasciando subentrare troppo velocemente la triste realtà.
    Bill riaccompagnò a malincuore Celeste sul marciapiede di quella maledetta via e, proprio in quell'istante, il furgoncino rosso fece il suo ingresso.
    "Adesso devo andare" disse la ragazza scendendo in fretta dall'auto, ma lui, a sua volta, scese e facendo il giro della vettura la fermò.
    "Aspetta! Dove corri?" disse bloccandola per il polso.
    "Bill, lasciami! Devo andare!...per favore!" rispose a bassa voce, ma ciò non rese il suo tono meno deciso.
    "Ma che hai?" le domandò stranito notando la sua espressione stravolta e pallida.
    Celeste si voltò in direzione del furgoncino dove davanti, poggiato contro il cofano, stava Carl intento a fissarli con uno sguardo da far raggelare il sangue nelle vene. Lo vide tirare l'ultima boccata di fumo dalla sigaretta, ormai ridotta ad un mozzicone, per poi lanciarla via con un movimento secco e avanzare verso di loro con passo lento e sicuro, mentre espirava una densa nuvola di fumo.
    Tornò con gli occhi sul ragazzo "Mio Dio, Bill! Lasciami! Ti prego!" disse, ma adesso la sua voce era tremante e strozzata: lo stava supplicando. Inoltre i suoi meravigliosi occhi verdi erano diventati lucidi e di li a poco avrebbero fatto scorrere sulle sue guance grandi lacrime.
    La lasciò andare e la seguì con gli occhi correre a testa bassa verso il retro di quel furgone dove scomparì. L'uomo nel frattempo si era fermato a metà strada della distanza che lo divideva da lui. Continuava a fissarlo con uno sguardo tagliente, quasi di sfida e Bill ricambiò quell'occhiata facendo incatenare i suoi occhi castani a quelli azzurrognoli di Carl.
    "Santo cielo, l'ammazza!" mormorò Andreea che, insieme alle altre, guardavano quella scena da dietro il veicolo.
    Celeste a quella frase corse subito verso l'uomo aggrappandosi ad un suo braccio.
    "Carl, andiamo...dai".
    Questo si girò a guardarla e cingendola bruscamente per un fianco la portò via con sè sotto lo sguardo di Bill.

    Una volta arrivati alla casa abbandonata Carl si chiuse nella stanza della verità trascinando con sè Celeste.
    "Chi era quello?" le domandò serio mentre accendeva un'ennesima sigaretta.
    "Un cliente" rispose lei cercando di essere il più calma e convincente possibile.
    "E che voleva?".
    "Niente di che. Credeva che gli avessi rubato il portafogli, ma non era così".
    "Sicura? Lo sai che con me le bugie hanno le gambe corte e se mi menti mi incazzo di brutto" disse battendo un violento pugno contro il tavolo.
    Celeste gli si avvicinò con fare sensuale e gli posò una mano sul collo che accarezzò "Su, Carl calmati e non fare il geloso. Lo sai che per me ci sei solo tu".
    Quelle parole le facevano schifo, erano solo una maledettissima e fottutissima presa per il culo, ma doveva dirle. Doveva mitigare quel carattere così irrascibile e violento, doveva calmarlo e renderlo innocuo come un agnellino, doveva distogliere il pensiero di quel mostro da Bill.
    "Davvero?" fece lui.
    "Davvero" replicò lei sbottonandogli la camicia pronta a concedersi di sua spontanea volontà all'uomo che più odiava e disprezzava, lo stesso uomo che manipolava la sua vita e la costringeva a prostituirsi.
    "Lo faccio per te, Bill. Solo per te" pensò.

    Quando raggiunse finalmente la sua stanza, Celeste trovò tutte e quattro le ragazze ad aspettarla.
    "Che ci fate qui?".
    "Ti aspettavamo...tutto ok?" le chiese Cecilia.
    "Si...".
    "Ci è andato giù pesante?" le domandò subito dopo Consuelo notando i lividi bluastri sulle sue braccia.
    "Niente a cui non si può sopravvivere" fu la risposta di Celeste accompagnandosi da un sorriso rassicuratore appena accennato "Come mai tutte qui?" chiese poi.
    "Beh, volevamo sapere chi è quel tipo...sai è da un pò di giorni che ti vediamo in sua compagnia..." disse Andreea.
    "E' un ragazzo che ho incontrato per caso" rispose la ragazza sedendosi sul suo letto in parte occupato da Kirsten, comodamente seduta a gambe incrociate.
    "Si, si...su vogliamo i particolari!".
    "Che particolari?" fece Celeste aggrottando la fronte.
    "Del tipo l'avete fatto? Se si, com'è? Se ancora no, cosa aspettate? Quanto ti paga? Perchè ti paga, vero? Dove ti porta quando andate via? E' ricco, vero? Ha un macchinone! Che lavoro fa? O è un figlio di papà viziato? Oh, come si chiama?" iniziò a tartassarla di domande Andreea.
    "Frena, frena! Cos'è il terzo grado? Sono fatti miei e non vi dirò niente".
    "Dai, dai! Rallegraci un pò raccontandoci del tuo principe azzurro, qui non accade mai niente di bello" si lamentò Cecilia.
    "Ok, vi parlerò di lui, ma vi avverto: non so molto sul suo conto".
    Celeste cominciò a raccontare del loro casuale incontro, delle indicazioni stradali, di quando le aveva offerto da mangiare al fast food e di come era stato gentile, della giacca dimenticata e anche di quelle ore appena trascorse insieme.
    Parlava di lui con un gran sorriso sulle labbra. Parlare di lui la faceva sentire un pò meglio e le faceva dimenticare quella vita ti schifo che conduceva. Lei voleva parlare di lui, perchè lui dopo quei tre anni d'inferno era l'unica cosa di bello, l'unica cosa di cui valeva la pena parlare. Mentre ciò avveniva le ragazze l'ascoltavano a bocca aperta, con delle espressioni incantate, stupefatte ed anche con un pò d'invidia per quella storia che sembrava tanto una bella favola, ma che stranamente era la realtà.
    "Wow! Un cantante! Magari si è innamorato e ti porta via con sè nella sua enorme villa! Farebbe tanto Pretty Woman! La nostra Julia Roberts e il suo Richard Gere che la porta via dalla strada! Che cosa romantica!" disse Kirsten.
    "Certo, come no. Peccato che quello è solo un film...e poi non è innamorato di me".
    "Ma stai zitta! Che per starti accanto sgancia fior di quattrini!".
    Celeste sorrise timidamente, con un leggero rossore sulle guance. Pensava alle parole appena pronunciare da Kirsten. Magari lei sarebbe stata la sua Pretty Woman, magari il destino le avrebbe riservato un lieto fine del genere, un vissero tutti felici e contenti. Lei e il suo Bill/Richard Gere che l'avrebbe salvata dal malvagio uomo nero.


    CAPITOLO 7 -Più di mille parole-




    Tom piombò in cucina elegantemente abbigliato nel suo stile un pò trasandato e seguito da un'intensa scia del suo abituale profumo. Rovistò sul ripiano di marmo vicino al frigo, poi si girò verso il fratello con un'espressione crucciata.
    "Hai visto i miei occhiali da sole?" gli domandò.
    "Che ne so io dove metti le tue cose" rispose scocciato.
    "Wow! Felicità! Allegria!...Ma che hai? E' tutto il giorno che mi sembri uno zombie dal dente avvelenato".
    "Niente...stai uscendo?"
    "Si, passo la notte a casa di Ria. Sai cenetta e poi dritti sul letto...posso andarmene tranquillamente o c'è il rischio che vai in giro a mangiare cervelli?".
    A quella frase Bill drizzò la schiena e si illuminò "Quindi torni domani mattina?".
    Lo guardò stranito "Si...".
    "Ok...comunque per gli occhiali da sole vedi all'ingresso" disse il ragazzo andando via sotto lo sguardo attonito del fratello.
    Poco dopo Tom lasciò casa munito di occhiali, che effettivamente aveva trovato dove Bill gli aveva indicato. Quest'ultimo, invece, dopo essersi accertato che il gemello se ne fosse andato uscì, anche lui, con un obiettivo in mente: andarla a prendere e portarla lontano da quella strada e da quel marciapiede. Questo era ciò che gli premeva maggiormente, soprattutto dopo che aveva visto quell'uomo che aveva un'aria tutt'altro che rassicurante.

    ***

    Celeste fremeva dalla voglia di rivederlo e di lasciare quel posto. Non importava dove l'avrebbe portata, anche una discarica sarebbe stata il paradiso al suo fianco. Lui la trattava da persona, da ragazza, la quale era e non da oggetto usa e getta, com'era costretta ad essere e come la vedevano tutti.
    Quando dal fondo della strada vide spuntare quell'auto bianca il suo cuore fece un tuffo dentro la sua gabbia toracica. Si accostò accanto a lei e la portiera si spalancò.
    "Tutta la notte" disse Bill "Starai con me tutta la notte".
    "C-cosa? N-non posso tutta la notte".
    "Invece si. Non vorrai venire meno alle richieste di un cliente? ...Non temere per i soldi, ti pagherò bene".
    Celeste scosse la testa e salì sull'auto che si mise in moto.
    "Comunque tu non sei un cliente".
    Il ragazzo sorrise e non disse niente. Si limitò a guidare e portarla a casa sua.
    Una volta aver parcheggiato nel grande vialetto della lussuosa villa, la ragazza sgranò gli occhi incredula di ciò che la sua vista le stava facendo vedere. Battè più volte le palpebre, mentre la sua bocca si muoveva senza produrre alcun suono come un pesce.
    "Tu vivi qui?" gli chiese dopo essersi ricomposa dallo stupore.
    "Si e per stanotte questa sarà anche casa tua" disse poggiandole una mano dietro la schiena e conducendola all'interno.
    Celeste una volta aver varcato la soglia d'ingresso rimase a bocca aperta. Quella hai suoi occhi sembrava una reggia, anzi ogni singola casa, anche la più modesta le sarebbe sembrata grandiosa in confronto alla catapecchia in cui viveva, ma quella, in assoluto superava ogni sua più fervida fantasia. Quella era un sogno e lei, nonostante fosse solo una prostituta, stava avendo il privilegio di viverla per una notte. Nessuno l'avrebbe portata in un posto del genere, nessuno l'avrebbe portata a casa propria, nessuno. Almeno era quello che pensava prima che Bill distruggesse quella sua convinzione.
    "Davvero posso fare come se fossi a casa mia?" domandò fremente sperando che la risposta fosse un "si".
    "Certamente".
    A quella parola si tuffò a pesce sul grande e comodo divano facendo cadere a terra i cuscini quadrati.
    Il ragazzo sorrise di quella scena e sedendosi sul bracciolo disse "Ti va se ordiniamo la pizza?".
    "A quest'ora?" chiese Celeste mettendosi a sedere.
    "Perchè l'ora per te è un problema?".
    "No...".
    Bill si alzò ed andò nell'altra stanza, poi ritornò e munito di cordless alla mano si riaccomodò al suo posto appena lasciato. In quel frangente di tempo Celeste aveva liberato i suoi piedi dalle scarpe che aveva lanciato in un angolo.
    Digitò il numero della sua pizzeria d'asporto preferita e dopo qualche bip la voce bassa e roca di un uomo rispose.
    "Cosa vuoi mettere sulla pizza?" chiese portando il telefono contro il petto e rivolgendosi alla ragazza. Questa percorse a gattoni la breve distanza che la divideva da lui e, una volta raggiunto, iniziò a gesticolare con la stessa enfasi di una bambina di 4 anni.
    "Peperoni, tanti, tanti peperoni e il salame piccante".
    "Il salame?".
    "Si si, perchè non ti piace?".
    "Io sono vegetariano".
    "Oh, allora niente" disse con una lieve vena d'amarezza.
    "No, lo mettiamo lo stesso" disse Bill sorridendole. Riferì l'ordinazione all'uomo dall'altro capo del telefono, poi riagganciò.
    "Posso farmi un giro per la casa?".
    "Si, fai pure".
    Celeste si alzò e saltellando andò da una parte all'altra, da una stanza all'altra, su per le scale ed in ogni angolo e con la stessa minuziosa attenzione dei bambini che giocavano a fare gli esploratori studiava ogni singola cosa.
    Il ragazzo l'osservava divertito correre come un furetto impazzito, fin quando Celeste non terminò la sua esplorazione fiondandosi di nuovo sul divano.
    "Mio Dio! E' meraviglioso qui!".
    "Tu dove vivi?" le domandò Bill smanioso di sapere di più sul suo conto.
    "Oh, io..." mormorò lei in tono cadente.
    "Su, dai. Non credi che anch'io debba sapere qualcosa in più su di te?".
    "Io non vivo...io sto in una vecchia casa con le mie altre quattro compagne...".
    "Capisco...e quell'uomo di ieri?".
    "Chi?" fece finta di non capire.
    "Quello con cui sei andava via su quel furgone, chi era?".
    "Nessuno...".
    "Sicura? Ti guardava in un modo..." lasciò cadere la frase, poi continuò "...sembrava che non volessi farti vedere da lui in mia compagnia...sei scappata via in quel modo quando l'hai visto, per non parlare di quando ti ho trattenuta...".
    "Bill, per favore...".
    "No, Celeste. Che cosa vuole da te? E' lui che ti costringe a...".
    La ragazza lo interruppe bruscamente "Bill! Non credo che questi siano fatti che ti riguardino!" disse alzandosi "Ma che cosa vuoi da me? Mi paghi senza pretendere sesso, mi fai salire sul tuo macchinone e mi porti a fare una passeggiata, mi hai fatto entrare persino a casa tua! Perchè fai tutto questo? Perchè? Che vuoi da me? Perchè mi tratti come se fossi una ragazza per bene? Mi paghi? Scopami e basta come fanno tutti gli altri, maledizione!".
    "Ed è questo che vuoi? Vuoi che ti tratti come un oggetto?" le si avvicinò.
    Celeste abbassò lo sguardo e chiuse con forza le palpebre. Sentiva il cuore scoppiargli nel petto. Credeva di averlo fatto arrabbiare, credeva che avrebbe messo in atto le parole che erano appena volate, credeva che l'avrebbe davvero usata come un oggetto, che avrebbe abusato di lei.
    Bill prese una sua mano e con le dita la percorse salendo sul polso e il braccio sfiorandole i segni violacei e giallastri che vi erano "Io dico che non meriti un simile trattamento" disse "Tremi come una foglia, hai paura, hai persino paura di me, io che non ti ho fatto mai del male, ma temi che possa fartelo adesso...io non ti costringerei mai a fare qualcosa contro la tua volontà, io non ti picchierei mai come fa quell'uomo, perchè lui fa questo vero? Lui ti rende la vita un inferno e ti costringe a stare su quel marciapiede...".
    Celeste scoppiò a piangere. Ovunque vedeva Carl, ovunque credeva di avere a che fare con lui e con il suo carattere instabile e violento, sentiva la sua presenza opprimerla, si sentiva così debole e piena di paura.
    Carl la maltrattava, era rude, padrone, manesco. Bill, invece, era tutto l'opposto: non l'aveva mai sfiorata, era dolce e gentile nei suoi confronti e la considerava una persona. E lei che faceva? Aveva paura di lui! Si sentiva una stupida per aver tremato davanti a lui, per averlo temuto.
    Bill l'abbracciò con una forza delicata a sè consapevole che quel silenzio e quelle lacrime valessero più di mille parole, più di una conferma pronunciata dalla sua bocca.


    CAPITOLO 8 -Tra le tue braccia-



    Il campanello trillò sciogliendo quell'abbraccio. Bill andò ad aprire, mentre Celeste si asciugò le lacrime e cercò di calmarsi.
    Il ragazzo fece ritorno qualche minuto dopo con un grande cartone sul palmo della mano da cui proveniva un caldo odore invitante. Entrambi si accomodarono sul divano e cercando di dimenticare ciò che era successo prima si buttarono sulla pizza.
    Celeste ebbe l'onore di distruggere quel cerchio di formaggio filante cosparso dai peperoni e fette di salame piccante prelevandone il primo spicchio. L'addendò con gusto e lo stesso fece Bill dopo aver privato la sua fetta di quello che di carne conteneva.
    Davanti a quella appetitosa pizza accompagnarono anche un bel film. Uno di quei classici intramontabili targato anni 60: Colazione da Tiffany.
    Quando questo finì il ragazzo si stiracchiò gli arti e fece un piccolo sbadiglio portandosi la mano sulla bocca. Celeste l'osservò teneramente.
    "Hai sonno?" gli chiese.
    "No, potrei restare sveglio per tutta la notte" mentì.
    "Oh, certo..." gli si avvicinò e si sistemò sulle sue gambe poggiando la testa tra il suo collo e la spalla. Passò l'indice sulla linea del suo mento guardandolo assorta.
    "Ti stai facendo crescere la barba?" gli domandò in un mormorio sommesso, mentre il suo dito avvertiva la leggera ruvidezza dettata dai piccoli peli che spuntavano dal suo viso.
    "Troppo pigro anche per radermi" rispose Bill sorridendole.
    "Sei bello anche così".
    "Hai mai pensato di ritornare dalla tua famiglia in Italia?".
    "Per fare cosa? Dargli un enorme dispiacere? Loro pensano che qui abbia un buon lavoro e che sia realizzata. Non potrei mai tornare al mio paese e dirgli che questi tre anni li ho passati su un marciapiede a prostituirmi".
    "Non sei tu che ti prostituisci è quel bastardo...".
    Celeste posò un dito sulle sue labbra "Lo sai sei maledettamente sexy quando ti arrabbi".
    "Celeste" mormorò Bill scuotendo la testa in segno di negazione.
    "Io devo pur fare qualcosa per ricambiare tutto quello che fai per me".
    "Ma non quello".
    "Perchè no? Questa volta, per la prima volta, sono io che lo voglio, senza che nessuno mi costringa o mi paghi".
    "Ma io ti pago per farti stare qui e sarebbe come...".
    Lo fece tacere di nuovo "Shhh! Io non voglio i tuoi soldi. Se voglio farlo con te non è per denaro".
    "Per cosa allora?".
    "Io...io non lo so di preciso, ma tu mi rendi felice...prima speravo che tu venissi a prendermi, poi ho visto la tua auto in lontananza e il mio cuore...era come se si fosse buttato da uno scoglio per la felicità".
    "Credo di provare qualcosa per te" mormorò tutto d'un fiato lui.
    La ragazza lo fissò con i suoi occhi di un verde limpido, mentre la sua bocca era semi aperta in un'espressione di stupore "D-davvero?".
    "Si, davvero Celeste, davvero" disse accarezzandole i morbidi capelli di un castano chiaro.
    Gli occhi di lei divennero lucidi. Bill delicatamente le sollevò la testa e posò le sue labbra su quelle di Celeste suggellando un puro e casto bacio. Questa si alzò e prendendolo per mano lo condusse fino alla camera da letto dove prese a baciarlo con passione, insinuando la sua lingua nella bocca di lui, mentre indietreggiava fino a che i suoi polpacci non toccarono i lati del grande letto a due piazze. Lì si lasciò cadere trascinandolo con sè.
    "Sei sicura?" le domandò Bill interrompendo quel bacio. La sua voce era calda, il suo respiro lievemente affannato.
    Celeste annuì e riprese a baciarlo.
    In quell'istante, in quella stanza, su quel letto, con lui tutto era diverso. Non più una macchina nel bel mezzo del nulla, non più uno sconosciuto, non più per denaro, non più l'apatia più assoluta e la mancanza di sentimento, non più. Adesso c'era Bill, c'era la passione e il sentimento e c'era un letto a sorreggerli.
    Il ragazzo si sollevò sulle ginocchia, invece, lei completamete sdraiata sul materasso lo guardava dal basso della sua posizione. Bill aprì uno per uno i piccoli bottoni argentati che stavano sul davanti del corpetto che copriva e comprimeva scarsamente quelle forme. Quando anche l'ultimo fu aperto lo sfilò del tutto facendolo passare sotto la sua schiena che lei aveva appena sollevato per permettergli quel movimento. Le accarezzò, quasi sfiorandolo il seno bronzeo come il resto della sua pelle e Celeste sotto quel toccò accennato rabbrividì. I suoi polpastrelli erano caldi e le sue dita affusolate la toccavano con delicatezza e maestria.
    Le sue mani scivolarono lente lungo la sua pancia fino ad arrivare all'orlo della minigonna di pelle nera. Lì si soffermò per una frazione di secondo, per poi riscendere e fermarsi definitivamente sulle autoreggenti a rete. Si portò le gambe di lei intono ai suoi fianchi e una alla volta le privò delle calze che lasciò cadere sul pavimento lucido. Poi ritornò alla gonna e la spogliò anche di quella lasciandola coperta solo da uno striminzito intimo dalle trasparenze di pizzo nero.
    Prese a baciarla partendo dall'ombellico e salendo pian piano passando dapprima tra i due seni, per infine arrivare al collo che torturò leccandolo e alternando lievi morsi. Celeste al contatto umido con la sua lingua coronata dalla pallina metallica emetteva dei profondi sospiri sommessi. In quel mentre tra le dita stringeva i lembi della sua maglietta facendola scorrere sul suo torace alzandola e abbassandola.
    Bill posò le sue mani su quelle della ragazza e guidandole sotto la sua leggere presa l'aiutò a privarsi dell'indumento. Lei iniziò a tastare con le dita il suo petto andando a sfiorare l'anellino che stava ad un capezzolo. Si alzò con la schiena portandosi con il viso all'altezza del piercing. Ci giocherellò con la bocca, poi prese a baciare quei pettorali ben delineati, fino a scendere sugli addominali scolpiti alla cui fine stavano due evidenti obliqui che andavano a riversarsi dentro l'elastico dei boxer che fuoriusciva dai pantaloni. Tracciò quelle due linee con i polpastrelli che poi scivolarono sul bottone dei jeans, che adesso stava chiuso a pressione. L'aprì, abbassò la cerniera e li fece scorrere di sua mano lungo quelle cosce lisce e rosee. Tolto quel primo impiccio posò la fronte un pò più in basso della pancia del ragazzo, in modo che la punta del suo naso toccasse quell'eccitazione contenuta con una certa difficoltà solo dal sottile strato elastico del tessuto dei boxer. Celeste dischiuse leggermente la bocca e l'imprigionò lievemente tra i denti. Bill a quel gesto sussultò e chiuse gli occhi che poi riaprì guardando dall'alto della sua posizione la testa castana di lei.
    "Non devi..." mormorò.
    "Se fatto alla persona giusta è un gesto d'amore e tu sei l'unico che lo merita davvero" fu la risposta della ragazza che tolse anche quell'ultimo ostacolo che la divideva dal membro di Bill. Lo prese fra le mani e lo inumidì con la lingua, poi lo introdusse all'interno della sua bocca accompagnandosi da un regolare su e giù.
    Ciò che ne derivò dapprima fu un lamento strozzato da parte del ragazzo, che andò a trsformarsi in piccoli gemiti sommessi e soffocati, ma prima che potesse venire Celeste lo lasciò andare.
    Bill le sollevò il viso posandole un dito sotto il mento e fece incatenare i suoi occhi languidi a quelli di lei, per poi imprimere sulle sue labbra un bacio.
    La fece sdraiare ed iniziò a percorrere il suo torace per, infine, fermarsi sulla linea di confine che determinava la fine della pelle e il principio del pizzo. Lì la privò dell'intimo, l'ultimo scarso indumento che la copriva. Si addentrò di più tra le sue gambe ed entrò in lei.
    Celeste strinse tra le mani le lenzuola, mentre Bill si spingeva con movimenti regolari del bacino nella sua intimità. Questo prese quelle mani nelle sue e le condusse intorno alla sua schiena, poi si abbassò fino a far aderire il suo petto al seno di lei e poggiò la testa accanto al suo viso.
    Sentiva il cuore di lui battere forte e confondersi con il battito del suo cuore, sentiva il suo respiro caldo infrangersi contro il suo collo, sentiva i suoi gemiti uscire da quelle labbra perfette ed insinuarsi nelle sue orecchie, sentiva le sue mani toccarla ed accarezzarla, si sentiva amata. Lui non la stringeva al punto di stritolarla e di lasciarle i lividi, lui non la costringeva a fare cose che non voleva, lui non la usava per soddisfare desideri perversi. Lui la rispettava, lui faceva attenzione a non farle male, lui era delicato, lui considerava la sua sensibilità, lui non pretendeva, lui la faceva sentire desiderata e basta.
    L'orgasmo finale arrivò e Bill sdraiandosi al fianco di Celeste la strinse a sè. Era affannato, lievemente sudato e lei, stretta contro di lui, avvertiva il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi. Alzò il viso nella sua direzione incontrando i suoi occhi appagati e limpidi, ma anche stanchi. Le sorrise e con le dita le sfiorò una guancia. Rimasero in silenzio per svariati minuti, poi lei ritornò a fissare il viso di Bill accorgendosi che stava dormendo beatamente. Sorrise teneramente di quella visione. Doveva essere distrutto, già prima, al termine del film, aveva dato segno di essere stanco e quella conclusione di nottata poi, non se lo aspettava proprio.
    Poco dopo si addormentò anche lei, con il sorriso sulle labbra e tra le sue braccia.
     
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  8. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 9 -L'appoggio di un fratello-




    Celeste si svegliò avvolta tra le lenzuola con una guancia premuta contro il morbido cuscino e una spalla scoperta. Proprio su quella porzione di pelle sentì un tocco leggero e delicato accarezzarla. Si girò e davanti a sè trovò Bill sdraiato sul fianco dai capelli leggermente spettinati che la guardava sorridendo.
    "Buongiorno" sussurrò.
    "Buongiorno" disse lei avvicinandosi a lui e accucciandosi contro il suo petto "Che ore sono?" gli domandò.
    "Le 10".
    A quella risposta Celeste si irrigidì "Mio Dio! E' tardissimo!" esclamò per poi lasciare immediatamente le braccia del ragazzo e fiondarsi fuori dal letto dove iniziò a raccogliere i suoi vestiti.
    Si rivestì in fretta sotto lo sguardo avvilito di Bill e fece per uscire dalla stanza, ma quest'ultimo la fermò.
    "Aspetta, stai dimenticando i soldi".
    La ragazza lo guardò male "No, Bill. Non li voglio".
    "Ma se torni a mani vuote quell'essere...non voglio che ti metta le mani addosso!".
    "E' tardi, devo andare" tagliò corto lei uscendo dalla stanza.
    Bill balzò fuori dal letto e la rincorse fino alla porta d'ingresso con a coprirlo solo il lenzuolo che con una mano teneva stretto intorno alla vita.
    "Te ne vai così?" le disse bloccandola per il polso.
    "Come vuoi che me ne vada?".
    "Almeno salutami" le soffiò in viso prendendola delicatamente per il mento e baciandola "Devi proprio andare da lui? Rimani con me" mormorò poi abbracciandola.
    "Bill..." mormorò a sua volta lei con la voce soffocata dal petto di lui. Neanche lei voleva lasciarlo. Come poteva privarsi del tepore di quelle braccia, di quelle dolci attenzioni e di quelle parole sussurate con amore? Come poteva semplicemente privarsi di lui? Non voleva, ma purtroppo doveva.
    "...non posso" continuò.
    "Perchè? Lui non sa che sei qui".
    "E' vero, ma potrebbe scoprirlo: in molti ci hanno visto andare via insieme ieri notte...ti metterei in pericolo e non voglio! Poi non posso lasciare le mie compagne".
    "Non c'è verso di farti cambiare idea, eh? Va bene, ma almeno prendi i soldi".
    "No, non voglio i tuoi soldi".
    "Celeste prendili, per favore! Non voglio stare in pensiero sapendo che quel bastardo possa farti del male! Ti prego prendili e basta...fallo per me".
    La ragazza scosse la testa in segno di rassegnazione "Va bene...".
    Bill andò a prendere il suo portafogli da dove prelevò 200 euro che le consegnò.
    "No così tanti".
    "Sei stata via tutta la notte e questi lo faranno tacere".
    Celeste prese i soldi, poi lo baciò sulle labbra ed andò via. Mentre usciva dalla cancellata si imbattè in un ragazzo che si stava dirigendo proprio alla villa. L'osservò per qualche istante sorpresa dalla somiglianza che aveva con Bill, poi intrapese la sua corsa verso l'Ade.

    ***

    Tom la guardò a sua volta riconoscendo in lei la stessa ragazza con cui aveva trovato Bill quella sera in cui avevano litigato. Fu sorpreso nel trovarla proprio lì e stranito entrò in casa dove trovò il fratello seminudo.
    "Ma che diamine? Non mi dire che sei andato a letto con quella?!" disse serio.
    "Primo: quella ha un nome. Secondo: non sono fatti che ti riguardano".
    "Oh, invece, si che sono fatti che mi riguardano!Sarà anche un mio diritto sapere se mio fratello va a puttane!".
    Bill l'incenerì con lo sguardo "Lei non lo è!".
    "Che? Allora tu come la definisci una che sta sul marciapiede? Ti ha fatto lo sconto e ti sei rimbecillito?".
    "Tom, smettila! Non parlare così di lei se neanche la conosci!".
    "Ma guarda come te la difendi?! Quindi è questo che facevi ogni notte? Andavi da lei? E non mi dicevi niente?".
    "Che ti dovevo dire se già sapevo quale sarebbe stata la tua reazione?".
    "Ok, ok. Non mi interessa se lei è una prostituta, ma tu! Tu come hai potuto non dirmelo?! Sono tuo fratello cazzo! Perchè non mi hai detto che...che andavi con lei? Ti fidi così poco di me?".
    "Non è questo! Pensavo che tu non avresti capito...mi dispiace, so di aver sbagliato. Te ne avrei dovuto parlare...".
    Tom sospirò e scosse la testa "Va bene, va bene. Non fa niente, ma da adesso in poi niente più segreti, ok?".
    Bill annuì.
    "Da quando dura questa storia?".
    "Da quel giorno in cui mi hai trovato in sua compagnia...comunque io non sono mai andato con lei...sta notte e successo per la prima volta...lei per me è importante e devo trovare un modo per aiutarla...lei non si prostituisce per sua volonta, ma la costringono...".
    "Che? Ne sei sicuro?" disse inarcando un sopracciglio.
    "Si, ho visto io stesso quel bastardo del suo aguzzino...".
    "Che situazione di merda! Ma Bill ti prego non fare cretinate. Questa è una realtà che non ci appartiene ed è più grande di noi...non possiamo fare niente...".
    "Non diresti così se la conoscessi!".
    "Bill...".
    "No, Tom! Mi serve il tuo appoggio, anche solo morale, ma mi serve!".
    Il ragazzò esitò per dei secondi poi in tono rassegnato disse "Ok, l'avrai...fammela conoscere però, voglio sapere chi frequenta mio fratello".
    Bill sorrise e l'abbracciò "Grazie, Tom, grazie".

    ***

    Celeste varcò la porta d'entrata cigolante della vecchia casa ed ebbe appena il tempo di mettere un piede all'interno che subito si sentì afferrare per i capelli e trascinare contro il muro dove fu sbattuta violentemente, tanto da far cadere a terra un vecchio quadro appeso ad un chiodo arrugginito.
    "Dove sei stata?" gli ringhiò rabbioso in faccia Carl. Le sue narici erano dilatate, i suoi occhi iniettati di sangue e i suoi denti digrignati.
    Il suo cuore cessò di battere dallo spavento per un tempo che a lei sembrò infinito, ma cercò ugualmente di risultare calma e sicura "Se vuoi banconote fruscianti devi ampliare i tuoi orizzonti e non limitarti a lasciarci lì solo per rapporti di poche ore" rispose la ragazza tirando fuori i 200 euro di Bill e mettendoli davanti agli occhi dell'uomo. Questo li afferrò bruscamente e ne controllò l'autenticità.
    "Con chi sei stata?" le domandò diffidente.
    "Uno" disse lei facendo spallucce.
    "Uno?" ripetè lui trafiggendola con gli occhi "La prossima volta non saranno questi a tenermi a bada! Se non ti trovo più al tuo posto alle tre mi incazzo di brutto! Tu sei mia! Mi appartieni! E nessuno, dico nessuno ti può portare via da me! Neanche per una notte!" le ultime parole le urlò talmente forte che le vene della sua gola sembravano esplodere "Perchè è così vero? Tu sei mia?" continuò; adesso parlava piano, quell'instabilità, quei repentini sbalzi d'umore la facevano impazzire. A volte era l'incarnazione di un demone ed altre volte era sempre lo stesso, solo con una maschera di bambino in cerca d'affetto e certezze. Quel suo essere era folle e le faceva accapponare la pelle.
    "Si, sono tua" mormorò Celeste nascondendo la sua riluttanza.
    Sua? Mai! Se lei doveva appartenere a qualcuno quello era Bill! E Carl non glielo avrebbe impedito, almeno era quello che credeva.

    CAPITOLO 10 -Conoscenza-




    Bill, come era diventato da prassi da ormai due sere, a bordo della sua Audi percorse per metà la Boulevard of broken dreams fermandosi davanti a Celeste che subito vi salì a bordo.
    Il ragazzo indossava un lungo cappotto grigio abbottonato e perfettamente aderente al suo torace dall'ampia scollatura a V che faceva vedere sotto una camicia dal bianco lindo e dal colletto chiuso fino all'ultimo bottone sul collo. Era stranamente elegante, ma bello come sempre.
    "Buona sera" disse lei baciandolo su una guancia.
    "Possibile che ogni notte diventi sempre più bella?".
    La ragazza sorrise ed abbassò lo sguardo imbarazzata "Ma smettila! Caso mai è il contrario!...Piuttosto come mai così elegante?".
    "Beh, presto non sarò l'unico ad esserlo: guarda dietro" rispose lui compiaciuto.
    Celeste guidata da quella frase e soprattutto dalla sua curiosità si girò rivolgendo lo sguardo ai sedili posteriori su cui stava adagiato un bellissimo vestitino dal color pastello tenue: su un lilla-azzurro.
    "Che significa?" domandò perplessa e sorpresa.
    "E' per te, oggi si va ad una festa".
    "No, Bill...i-io...io non..." balbettò.
    Una mano del ragazzo si staccò dal volante posandosi sulla coscia di lei per rassicurarla "Tranquilla, sarà una piccola cosa a casa di amici" le disse sorridendo.
    "No, davvero. Non me la sento...mi sentirei troppo a disagio".
    "E perchè mai dovresti sentirti a disagio? Sei una ragazza normale e bellissima da togliere il fiato, quelli a disagio dovrebbero essere loro".
    Lo guardò con occhi supplichevoli.
    "E vuoi toglierti il piacere di indossare quel vestito? Su, dai" insistette.
    "Non posso tornare di nuovo tardi".
    Bill fece una smorfia "Torneremo presto, te lo prometto...allora dimmi di si" piagnucolò.
    Celeste sospirò rassegnata "Ok, va bene, si ci andiamo a quella festa".
    Il ragazzo le mostrò un sorriso talmente radioso che per lei, in fondo, andare a quella festa non era poi una così tremenda tortura. Avrebbe indossato quel bel vestito e avrebbe reso felice Bill alla faccia di Carl e di tutte le sofferenze che doveva patire a causa sua. Anche lei aveva diritto ad un pò di spensieratezza.
    Arrivarono alla grande villa, la stessa che Celeste aveva lasciato a malincuore quella mattina. Una volta dentro Bill le consegnò il vestito e le diede campo libero per armeggiare in bagno e prepararsi al meglio.
    Le bastò mezz'ora per indossare l'abito, sistemarsi i capelli e truccarsi adeguatamente e quando uscì il ragazzo rimase senza parole. Davanti a lui si presentava una visione senza eguali, tanto bella e semplice al contempo era.
    Quel vestito fasciava splendidamente quel corpo perfetto ed armonioso dalla pelle baciata dal sole che contrastava graziosamente con il chiaro colore della stoffa, mentre ogni singola forma risaltava sotto quel tessuto morbido che ricadeva leggero sulle ginocchia. Il seno era coperto da due coppe a cuore decorate con ghirigori realizzati con minutissime perline e le spalle erano coperte da un elegante velo del medesimo colore dell'abito. Invece i piedi calzavano delle scarpe col tacco coperte sul davanti e il dietro che lasciavano scoperto solo il dorso del piede erano di scamoscio e di un color panna.
    Il viso poi, era ciò che affascinava di più Bill: lucente, pulito, semplice, dal trucco appena accennato che evidenziava maggiormente ciò che di bello aveva. Un lipgloss di un tenue rosa tingeva le labbra, una sottile linea di eye liner contornava la palpebra superiore seguendone perfettamente l'aromoniosa forma. Del mascara sulle lunghe ciglia e un leggero ombretto sfumato facevano risaltare ancora di più quei meravigliosi occhi verdi dallo sguardo tenero.
    Bill dapprima boccheggiò incapace di far uscire alcuna parola, poi si sistemò il colletto della camicia e respirando profondamente disse "Sei incantevole".
    Celeste rivolse lo sguardo a terra sorridendo "Grazie" mormorò.
    Il ragazzo gli porse la mano che lei subito prese e strinse nella sua, per poi lasciare la villa insieme e dirigersi alla festa.

    L'auto si fermò davanti ad un'ennesima villa dal lusso sfarzoso circondata da un'alta recinzione di ferro battutto nero dalla cima acuminata. Il grande cancello si aprì permettendo loro di entrare. Parcheggiarono e scesero dalla vettura andando verso l'interno dell'abitazione da dove proveniva un gran fermento.
    Una volta dentro si trovarono in mezzo ad un sacco di persone tutte dai vestiti vistosi e luccicanti che agli occhi di Celeste sembravano solo dei ricconi blasonati.
    Bill la condusse attraverso quella folla per poi fermarsi davanti ad un ragazzo, lo stesso ragazzo che lei aveva visto quella mattina dirigersi alla villa del suo cavaliere. Il tipo aveva lunghe treccine scure, un piercing all'angolo del labbro inferiore, una barbetta incolta e una fascia di pelle a coprirgli la fronte. Indossava una leggera felpetta bianca abbastanza larga sotto cui stava una maglietta di un grigio quasi trasparente un pò aderente e un paio di pantaloni neri, anch'essi larghi.
    "Bill, pensavo non venissi più" disse.
    "E, invece, eccomi qui! Ti presento Celeste...Celeste lui è mio fratello gemello Tom".
    Quel Tom l'osservò con estrema attenzione poi le tese la sua grande mano "E' un piacere conoscerti" disse con un tono di voce quasi seducente e Bill per tutta risposta gli diede una leggera spinta della quale il fratello rise divertito.
    Celeste strinse quella mano con un leggero rossore sulle guance "Il piacere è mio" disse.
    Bill le cinse le spalle "Adesso che hai fatto la conoscenza ti questo tizio andiamo a ballare, prima che lo faccia fuori" e così dicendo la trascinò nel bel mezzo della zona del grande salone adibita a pista da ballo.
    "Bill non...".
    "Non provare a protestare! Stasera sei mia e ballerai".
    "Non ti lamentare se poi ti pesto i piedi!".
    Bill rise "E' un rischio che correrò" le sussurrò all'orecchio.
    Fece passare una mano tra i suoi capelli e delicatamente le avvicinò la testa al suo petto, mentre le sue braccia le avvolgevano i fianchi. Celeste chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quel lento dondolare che gli dettava il corpo di lui.
    In quello stesso istante dall'altra parte della strada degli occhi stavano guardando quella scena perfettamente visibile attraverso l'enorme portafinestra e il filtro di una sigaretta tirata all'osso cadde sull'asfalto.
     
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    CAPITOLO 11 -Vattene-




    Bill riportò puntuale Celeste sul marciapiede, di nuovo con i suoi soliti vestiti, di nuovo da prostituta. Come Cenerentola l'incantesimo era finito ed adesso era costretta a ritornare alla solita realtà, doveva lasciare il suo principe ed aspettare di essere portata via non più da una carozza, ma da un vecchio furgoncino rosso guidato da un mostro.
    Questo arrivò allo scoccare esatto delle tre accompagnato dal suo solito brontolio sofferto. Carl scese dal veicolo, il suo viso era più pallido del normale e ogni suo singolo muscolo facciale sembrava paralizzato in una tensione che lo rendeva ancora più spaventoso e pericoloso agli occhi delle ragazze. Non ci voleva un genio per capire che traboccava d'ira che a stento riusciva a trattenere.
    Battè forte contro la lamiera del furgone, quasi a volerla sfondare. Quel rumore metallico mozzò i respiri delle giovani prostitute facendo in modo che quello fu l'unico segno di presenza umana che si avvertì per tutta la Boulevard of broken dreams.
    "Forza, entrate! Muovetevi!" urlò l'uomo rabbioso.
    Le ragazze si precipitarono sul retro del veicolo e in silenzio entrarono una ad una, fin quando tutte non furono a bordo e il furgoncino partì via facendo stridere le ruote contro l'asfalto.

    Arrivarono alla vecchia casa e Carl intimò a tutte con un semplice gesto della testa di salire di sopra e scomparire dalla sua vista, a tutte tranne a Celeste che dovette rimanere con lui.
    Aprì la porta della "stanza della verità" e facendole cenno con la mano la invitò ad entrare inchiodandola con il suo sguardo di ghiaccio. La ragazza entrò, nonostante le sue gambe si fossero fatte molli dalla paura.
    L'uomo entrò dopo di lei e richiuse la porta alle sue spalle, poi si diresse al tavolo contro il quale si appoggiò. Si portò una sigaretta alla bocca, l'accese e molto tranquillamente le domandò "Che hai fatto sta notte?".
    "L-le solite cose" balbettò incapace di capire a causa del terrore fino a che punto si spingeva in realtà quella domanda.
    "Le solite cose? Mmm e fammi capire, cosa?" la incalzò portandosi una mano sul mento.
    "Sono stata sul marciapiede, i clienti..." rispose sempre più perplessa.
    Carl si voltò verso la parete con un sorriso sarcastico stampato sulle labbra "Sul marciapiede? I clienti?" ripetè tra se e se "Puttana! Ma fammi il piacere!" urlò subito dopo tra i denti percorrendo con grandi falcate la distanza che lo divideva da lei, per poi colpirla violentemente in pieno viso. Un pugno sotto il quale Celeste cadde in ginocchio contro il pavimento portandosi istintivamente una mano sulla faccia. Copiose gocce di sangue cominciarono a sgorgare dalle fessure tra le sue dita per andare a riversarsi a terra.
    Il dolore che le attanagliava il volto le impediva anche di urlare. Sentiva il viso andarle a fuoco e al tempo stesso completamente anestetizzato da quel colpo. Non riusciva ad avvertirne la sensibilità.
    "Tu vuoi prendere per il culo me?! Nessuno puoi farlo! Neanche tu puttana da quattro soldi! Ti ho seguita! Ti ho vista con il tuo amichetto! Ho visto come ti comporti con lui! E' stata bella la festa?". Serrò tra le labbra la sigaretta che ancora teneva nell'altra mano e ne inspirò una gran boccata di fumo rendendo incandescente la cenere, poi con un ghigno sadico ritornò con lo sguardo sulla ragazza.
    Celeste, che aveva visto quel gesto tra le ciocche di capelli che le ricadevano sul viso, indietreggiò trascinandosi sul pavimento, ma non servì a niente: Carl premette con forza la sigaretta contro la sua pelle spegnendola. Lei a quel contatto rovente emise un gemito di dolore.
    "Ti è piaciuto ballare, eh?" le sussurrò all'orecchio in quell'istante, ancora con quel ghigno dipinto sul viso, poi gettò via la cicca "Davvero pensavi che non venissi a saperlo? Davvero mi credevi così fottutamente cretino?" le domandò urlando fuori di sè, mentre la colpiva con forti calci allo stomaco.
    "Uno, eh? Uno?! Ieri notte eri a spassartela con quello, maledetta!" continuò rabbioso persistendo a colpirla "Mi hai preso in giro! Dicevi che esistevo solo io per te! Dicevi questo! Ma sei solo una puttana! Ti dovrei ammazzare per questo!" la sua voce adesso era spezzata da dei singhiozzi. Si allontò di qualche passo dal corpo della ragazza che giaceva inerme a terra dandole finalmente tregua dopo quella serie di continui e violenti calci.
    Parlava ancora, ma ormai Celeste non lo sentiva più. Per lei quelle parole erano diventate solo un ronzio. Cercò di alzarsi su un braccio, ma subito crollò di nuovo sul pavimento. Il dolore le pervadeva ogni singolo nervo, sentiva ogni costola della sua gabbia toracica essersi trasformata in poltiglia. Il sangue oltre ad inondargli il viso, le intasava le narici impedendole di respirare dal naso e costringendola a prendere aria dalla bocca, dalla quale, ormai, sputava sangue che le lasciava il suo sgradevole sapore ferreo.
    Quel denso rosso scarlatto si confondeva con le lacrime che uscivano dai suoi occhi inumidendo i capelli impastati da quel miscuglio. Il suo petto, invece, era preda di spasmi e singhiozzi strozzati derivati sia dal pianto che dal dolore.
    Carl ritornò su di lei e vedendo i suoi piedi avvicinarsi cercò di ritirarsi indietro con le poche forze che aveva, ma questo l'afferrò per i capelli alzandola e rimettendola in piedi.
    "U-uccidimi e falla finita...non voglio più vivere questo inferno...non c'è la faccio più...fammi morire..." biascicò tra le lacrime.
    "Io non ti uccido. Ucciditi tu, se ne hai il coraggio" rispose lui lasciandola andare e ricadde a terra.
    "Se ti trovo ancora con quello, ammazzo lui al posto tuo" disse infine uscendo dalla stanza.
    Celeste rimase sola in quella stanza. Sola con la sua sofferenza e una scelta da fare.

    Lei era lì. Su quel marciapiede, in quella via nonostante fosse dolorante e livida dalla notte prima. Le ragazze dopo che Carl se n'era andato erano corse da lei preoccupate da tutte le urla e dai tonfi che avevano sentito. Quando l'avevano trovata rannicchiata a terra tra le lacrime e il sangue l'avevano immediatamente soccorsa come meglio potevano.
    Vide Bill arrivare sulla sua auto e Celeste subito si incamminò a passo svelto verso la direzione opposta per non vederlo e affrontarlo. Non dovevano stare più insieme, quel bastardo era stato chiaro, se l'avesse ancora visto l'avrebbe ucciso e lei questo non poteva permetterlo.
    Il ragazzo vedendola andare via scese dalla macchina e le corse dietro fermandola per una spalla e girandola verso di sè.
    "Perchè te ne stai andando?" le aveva domandato in quel frangente di tempo, ma appena si trovò di fronte il suo viso livido per lui fu come ricevere un pugno allo stomaco. Un istante dopo subentrò anche la rabbia. Si sentì un fuoco crescergli dentro e scoppiargli inondando ogni sua singola vena, ogni singolo capillare.
    "Che cosa è successo?" le domandò, ma lei non rispose. "Cosa è successo? E' stato lui?!" insistette scuotendola leggermente.
    "Lasciami Bill! Mi fai male!".
    Bill lasciò andare la sua spalla notando la circolare ustione che vi era "Te l'ha fatto lui? Io l'ammazzo quel bastardo! Dimmi dove sta che l'ammazzo!".
    "Smettila! Lui ammazzerebbe te! E ora vattene!".
    "Perchè vuoi che me ne vada?".
    "Non ti voglio più vedere! Lasciami in pace! Vai via!" gli urlò contro Celeste, per poi dargli di nuovo le spalle per andarsene.
    "Ma che stai dicendo?" la bloccò.
    "Cosa non ti è chiaro della parola vattene?".
    "Tu non vuoi che io me ne vada, è lui che ti costringe a dire questo, non è vero?".
    Quella sua insistenza la stava uccidendo. Sentirsi ancora i suoi occhi addosso, sentire ancora la sua voce, continuare a vederlo anche per un secondo in più la stava uccidendo. Sarebbe voluta scoppiare a piangere tra le sue braccia e sentirsi confortata e protetta da lui, ma se l'avesse fatto avrebbe firmato la sua condanna a morte. Lei doveva essere cattiva, spietata, doveva distruggere il suo cuore e farla finita una volta per tutte.
    "Senti Bill io sono una prostituta! Mi pagano per sesso e sono andata con mezza Amburgo! Cosa pretendi da una come me? Che si butti in un relazione seria? E con te poi? Dimmi perchè dovrebbe succedere questo! Se io ti ho assecondato è stato solo per interesse! Voglio dire gli uomini che vengono qui sono sempre così spilorci e finalmente ti capita uno che per delle indicazioni ti lascia 100 euro e per una scopata 200, chi non ne approfitterebbe? Solo una stupida! Mi dispiace di averti illuso o chissà cos'altro, ma tu per me non conti niente. In te vedo solo un portafogli pieno di banconote e basta. Mi dispiace, ma questa non è una di quelle favole dei film. Questa è la realtà. Benvenuto tra le puttane della Boulevard of broken dreams!". Mentre pronunciava quelle parole cercò di essere il più cinica e fredda possibile.
    "Tu non pensi davvero queste parole".
    "Questo è quello che pensi tu. Sei davvero appiccicoso. Ti conviene andartene se non vuoi che chiami la polizia".
    La rabbia e la confusione gli offuscarono la mente facendogli dire ciò che non pensava "Ok, me ne vado. Però sappi che il servizio è stato davvero scadente" detto quello Bill ritornò a bordo del suo macchinone e con una brusca inversione ritornò da dove era venuto, mentre Celeste guardava andare via l'unica persona che aveva avuto la capacità di farla sognare e sperare, anche se per poco.

    CAPITOLO 12 -Evasione-




    La luce lunare attraversava in tutto il suo splendore il vetro della finestra illuminando il pulviscolo che lento ed inesorabile galleggiava nell'aria. Celeste l'osservava assorta. Pensava che doveva essere bello sentirsi leggeri, doveva essere bello essere talmente piccoli ed impercettibili da risultare quasi invisibili, doveva essere bello essere impalpabili. Nessuno poteva toccare, nessuno poteva avere la presunzione di affermare di aver potuto afferrare quei microscopici frammenti, nessuno ne poteva rivendicare la proprietà.
    Ormai erano passati due giorni da quando aveva visto Bill salire sulla sua auto ed andare via dalla Boulevard of broken dreams, per forse non ritornarci mai più. Tutto era ritornato come prima: lei sempre su quel marciapiede, ma adesso c'era l'amarezza di sapere che lui non sarebbe venuto a prenderla e portarla via da quel posto, Carl la trattava come le altre, se non addirittura peggio. A causa di quel sogno che stava vivendo aveva trascurato le sue compagne e mandato in fumo il piano per la libertà. Adesso quell'obiettivo si era fatto più lontano. L'unica opportunità che aveva, l'aveva bruciata. Forse condurre quella vita era il suo destino.
    I suoi pensieri furono interrotti bruscamente da dei tonfi su per le scale: qualcuno stava correndo. Il rumore si fece più vicino, fin quando la porta improvvisamente si spalancò scoprendo la figura di Consuelo dal viso pallido e stravolto. Richiuse l'uscio dietro di sè e subito dopo, prima che Celeste potesse aprire bocca, dei violenti colpi contro il legno fecero sussultare la ragazza.
    "C-che succede?" le domandò.
    "Carl è arrabbiato" mormorò quella tra le lacrime, mentre cercava di dare sostegno alla porta che sembrava spezzarsi in due sotto quei calci.
    Celeste e Kirsten l'aiutarono in quell'intento, poi il silenzio calò inaspettatamente nella stanza. Tutte e tre si allontanarono incerte di qualche passo, ma quando un ennesimo colpo squarciò quell'apparente quiete sussultarono.
    "Psss! Ragazze, siamo noi. Carl se n'è andato".
    All'udire la voce di Cecilia tirarono un profondo sospiro di sollievo, poi questa aprì la porta e accompagnata da Andreea entrò. Entrambe si sedettero su uno dei due letti, poi la greca guardando Celeste disse "Visto che sei di nuovo fra di noi dovresti saperlo anche tu...".
    "Cosa dovrei sapere?" fece la ragazza stranita.
    "Sono incinta" mormorò Andreea.
    Celeste sgranò gli occhi "C-cosa?" balbettò "Sul serio? Ma quando? Come diamine...?".
    "Un mese circa, ma l'ho saputo solo qualche giorno fa".
    "Lo sapevate tutte?" chiese guardando le altre che a sguardo basso annuirono "Perchè non me l'avete detto prima?! Perchè tenermi all'oscuro?!".
    "Innanzitutto tu eri sempre con il tuo belloccio, poi cosa ci garantiva che non avresti parlato per ingraziati Carl?" disse Consuelo con stizza.
    "Davvero credevate che io avrei fatto la spia? Davvero?! Ma non mi conoscete? Che vi è preso!? Io...ok, in questo ultimo periodo sono stata un pò con la testa fra le nuvole, ma se me ne aveste parlato io avrei cercato di fare qualcosa! Vi fidate così poco di me?".
    L'ispanica volse lo sguardo dal lato opposto.
    "Hai ragione...scusaci..." disse Andreea.
    Celeste sospirò "Cos'hai intenzione di fare?".
    "Lo voglio tenere, ma non potrò nascondere il segreto in eterno...la pancia inizierà a farsi notare e Carl...oddio! Non ci voglio neanche pensare" concluse fra le lacrime.
    "Sai chi è il padre?".
    "No...".
    Aggrottò la fronte "Allora, perchè?...".
    "Non saprò chi è il padre, ma è ugualmente mio figlio...io da quando ho saputo di portare una vita in grembo mi sento importante per qualcuno, essenziale, amata...non voglio uccidere l'unica cosa che mi iffonde speranza e forza per andare avanti...non voglio che quel mostro gli faccia del male".
    Celeste la guardò teneramente "Va bene, stanotte stessa lascerai questo posto".
    Andreea la guardò con gli occhi e la bocca spalancati in un'espressione di sorpresa "Cosa?".
    "Fidati di me" furono sua le ultime parole.
    Chi meglio di lei poteva sapere ciò che stava provando Andreea? Chi? Lei che aveva dovuto far scivolare dalle sue mani Bill, lei che aveva chiuso gli occhi davanti a quella luce che lui gli offriva nell'oscurità rinnegandola, lei che aveva segnato definitivamente il suo destino. Lei che aveva fatto tutto quello per non far correre rischi a l'unica persona che aveva avuto il coraggio di guardare oltre, oltre a quella maschera da prostituta.

    Un'ora dopo Celeste scese per vedere se Carl fosse in giro. Fortunatamente lo trovò seduto sulla vecchia poltrona del salone d'ingresso con i piedi incrociati sopra il fradicio tavolino basso e la testa leggermente inclinata sulla spalla. In una mano teneva un bottiglia di wisky, mentre nell'altra serrata in un pugno vi era il suo solito coltellino dalla lama affilata e lucente e il manico cesellato. Stava dormendo e questo rassicurò Celeste, almeno in parte.
    Risalì e andò a chiamare Andreea che in quel frattempo stava mettendo in un borsone le sue poche cose. Quando fu pronta iniziarono a ridiscendere le scale scalze con calma e cautela. Ogni volta che le piante dei loro piedi nudi toccavano la superficie di marmo freddo di un gradino automaticamente respiravano un piccola boccata d'aria, poi scendevano il successivo e in quel frangente di tempo trattenevano l'ossigeno già trasformato in anidride carbonica, per poi rilasciarlo quando sentivano il contatto con la seguente superficie marmorea e così via. Una volta terminate indossarono le scarpe e piano si diressero alla porta d'ingresso che quando venne aperta cigolò. Quel rumore riecheggiò nell'ambiente silenzioso facendo smettere di battere i cuori delle ragazze per lo spavento. Carl però, per loro grande fortuna, non si era mosso di mezzo centimetro e continuava a dormire.
    Andreea uscì dalla casa seguita da Celeste. Fuori faceva freddo, ma i loro cuori battevano così forte e pulsavano così tanto sangue caldo che non l'avvertivano neanche.
    "Stai attenta e buona fortuna" disse la ragazza abbracciando l'amica.
    "Grazie, Celeste".
    "Di nulla. Sarai una splendida madre".
    La rumena sorrise, poi cominciò a risalire la stradina sterrata che portava alla strada principale. La seguì con lo sguardo finchè non fu inghiottita dall'oscurità.

    CAPITOLO 13 -La fine è solo l'inizio...-




    Celeste ritornò verso la casa. Poteva scappare anche lei se solo avesse voluto, ma non era una soluzione. Scappare e andare dove? Da Bill? Sarebbe stata una follia. Carl l'avrebbe comunque trovata e non si sarebbe fatto scrupoli.
    Una volta dentro il respiro le si bloccò a metà gola e il suo viso divenne bianco. Carl le stava di fronte, con il coltello serrato in una mano che gli ricadeva tesa sul fianco: la stava aspettando. Consuelo ero a pochi passi dietro di lui e osservava la scena con gli occhi sbarrati, mentre accanto a lei giacevano dei cocci sul pavimento.
    "Tu sali di sopra!" le ordinò.
    "Ma..." mormorò la spagnola.
    "Ho detto sali sopra!" urlò.
    Quella annuì terrorizzata e cose via su per le scale. Quando si sentì il rumore della porta chiudersi Carl a passo svelto si diresse verso Celeste e afferandola per i capelli la trascinò fuori.
    "Maledetta stronza! Tu mi dai solo problemi!" disse mentre la tirava e strattonava.
    La portò nel retro della casa dove vi era un piccolo capanno al cui muro di cemento c'era conficcato un grosso gancio di ferro da cui pendeva una lunga catena conclusa da un collare. Lì la buttò malamente a terra facendola finire tra la fanghiglia.
    L'uomo prese il collare e fece per incastrarlo attorno al collo della ragazza, ma questa gli morse con forza la mano.
    "Puttana cagna!" esclamò ritirandosi e subito dopo colpendola.
    Celeste cadde con il viso contro il fango e Carl ne approfittò per metterle il collare.
    "Vediamo se con questo ti finisce la voglia di mettermi i bastoni fra le ruote!" le disse con un ghigno divertito, si allontanò di qualche passo come per andarsene, però poi si fermò "Ritroverò Andreea, non ti preoccupare. Ammazzerò lei e quella schifezza dentro la sua pancia. Nessuna di voi puoi sognarsi di scapparmi!" le ringhiò in faccia "Per quanto riguarda te, rimarrai qui a riflettere fin quando non ti deciderai di mettere la testolina a posto e mi supplicherai in ginocchio di perdonarti da brava cagnetta" e così dicendo picchiettò con l'indice sulla fronte della ragazza accompagnato da un risolino sadico. Celeste in risposta digrignò i denti ed emettendo un verso gutturale fece per scagliarsi contro di lui, ma la catena a quel movimento divenne dapprima tesa, poi richiamò a sè la ragazza facendola cadere in ginocchio e strozzandola.
    Carl a quella scena rise "Dimenati cagnetta, dimenati" disse per infine andarsene.
    Celeste rimase sola in balia di quel freddo penetrante e come coperta solo un cielo nero reso ancora più freddo dal bagliore glaciale della luna.

    Il mattino dopo fui svegliata da dei passi sull'erba ghiacciata dalla brina mattutita. Poggiata con la testa contro la dura parete di cemento aprì gli occhi dalle ciglia leggermente coperte sulle punte da piccoli cristalli di ghiaccio e fu accecata dalla chiara luce del sole. Una mosca gli volò attorno e lei per scacciarla scosse la testa ancora frastornata, poi si sentì prendere per i capelli e portare la testa all'indietro. Improvvisamente un'ondata di acqua gelida la colpì in pieno viso facendole spalancare gli occhi e annegandola quasi. Si accovacciò contro il muro tremante e battè più volte le palpebre per poi vedere il volto di Carl che ghignava divertito.
    Celeste lo guardò con disprezzo e gli sputò contro. Una frazione di secondo dopo uno sparo fece volare via gli stormi di uccelli che stavano annidati tra i rami degli alberi che formavano la vegetazione circostante, in quel mentre sul torace di Carl comparve una macchia rossa che andò ad espandersi sul tessuto della sua camicia. Questo cadde in ginocchio di fronte alla ragazza, poi si accasciò del tutto a terra.
    Celeste guardò quella scena boccheggiando, senza realizzare davvero cosa stesse succedendo.
    "C-Celeste aiutami" mormorò l'uomo con un filo di voce.
    Lei l'osservò smarrita per qualche istante, per poi scoppiare in una fragorosa risata isterica.
    "Ahahah! Tu chiedi aiuto a me? Tu bastardo chiedi aiuto a me?! Ahahahah! Mi hai reso la vita un inferno! Mi hai portato via tre anni della mia vita che nessuno potrà mai restiturimi! Muori! Muori! L'avrei voluto fare io con le mie mani, ma meglio così! Non mi sono dovuta sporcare con il tuo lurido sangue!".
    Frugò velocemente tra le sue tasche in cerca delle chiavi che avrebbero aperto il collare liberandola. Le trovò e si privò dell'arnese che le aveva lasciato segni violacei su tutto il collo. Si alzò e fece per correre via, ma si sentì afferrare per la caviglia. Era Carl che un istante dopo mollò la presa ed esalò l'ultimo respiro.
    Celeste provò pena per lui. Aveva fatto la fine del topo, la fine che si meritava.
    Corse dentro la casa urlando come una forsennata "E' morto! E' morto! Siamo libere! Libere!".
    A quelle urla tutte le ragazze accorsero sconvolte.
    "Ma che stai dicendo? Che significa che è morto?" disse Kirsten.
    "Andate fuori! E' lì! Morto davanti ai miei occhi!" rispose ridendo.
    Cecilia si precipitò fuori e vicino al capanno vide il corpo di Carl esanime. Ritornò dalle altre con le lacrime agli occhi dalla felicità.
    "Non ci posso credere! E' morto davvero! L'hai ucciso tu?".
    "No no, gli hanno sparato! Non so chi sia stato, ma ci ha salvato!".
    Kirsten sentì l'esigenza di essere sorretta dal muro, mentre Consuelo andò ad abbracciare Cecilia, poi si girò verso Celeste.
    "Scusami per ieri notte...ho fatto cadere per sbaglio quel vaso e lui si è svegliato...ero morta di paura, aveva quel coltello in mano e ho dovuto confessare...scusa".
    "Non importa. Adesso lui è morto ed è questo ciò che conta! Siamo libere! Niente più marciapiedi! Niente più Bouleverd of broken dreams! Possiamo tornare ad essere ragazze normali! Prepariamo i nostri stracci e lasciamo questa topaia!".
    "Tutta questa fretta di andarvene? E io che pensavo che la festa fosse appena iniziata". Una voce bassa interruppe quell'entusiasmo.
    Un uomo dalla corporatura robusta stava davanti alla porta con un sorriso compiaciuto.
    "C-chi sei?" domandò Celeste.
    "Il vostro nuovo capo. Vedete il vostro caro Carl aveva dei grossi debiti con me che non ha saldato. Ed avete visto cosa succede a chi non mi rispetta...ora anche se è passato a miglior vita il debito rimane e l'unica cosa che ha e che può riscattare quel debito siete voi, mie care. Quindi da adesso in poi starete sotto ai miei comandi! Che non vi sali in testa di scappare o di ribellarvi: non mi sono mai piaciute le teste calde!" battè un pugnò contro la porta "Io vi spezzo le gambe!".
    Quella felicità come era venuta in un attimo si era dissolta bruscamente lasciando spazio alla sconsolazione. Si erano appena liberate di Carl, avevano appena assaporato la libertà, sentire cosa significa essere liberi che già erano costrette a ritornare a quella realtà che le perseguitava, come se non volesse lasciarle andare via. Come se non avessero già sofferto abbastanza per meritarsi un pò di serenità.
     
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  10. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 14 -L'odore della libertà-



    Bill camminava su e giù per il grande salone, mentre Tom innervosito l'osservava.
    "Dimmi vuoi fare un solco per terra?" gli domandò.
    "Shhh! Non parlare e fammi riflettere!" gli rispose infastidito.
    "Maledizione sono giorni che rifletti! Ma a che rifletti?!".
    "Ad un modo per toglierla dalle grinfie di quello stronzo!".
    "Che? Ma non mi avevi detto che ti aveva detto che non ne voleva sapere di te? Che ti aspetti da una p..." lasciò cadere la frase perchè subito fulminato dallo sguardo di Bill "E' inutile che mi guardi così. Gli hai dato tu stesso della..." si bloccò per cercare la parola giusta "...della escort prima di andartene".
    "E' stato un momento di rabbia, ok? E comunque non è vero che non ne vuole sapere niente di me, è stata costretta a dire quelle cose: le si leggeva negli occhi...".
    Tom sospirò "E sentiamo supereroe cosa vorresti fare? Un duello all'ultimo sangue con quel tipo?".
    Bill ignorò le parole del fratello e continuò a pensare, poi improvvisamente si illuminò "La polizia!".
    "Ma sei scemo?! Solleveresti un enorme scandalo! Bill Kaulitz dei Tokio Hotel e il suo amore per una prostituta, scherzi?!".
    "No, sono serio".
    Scosse la testa "Comunque sia qui non è illegale la prostituzione. La polizia non farebbe un bel niente, ti metteresti solo in pericolo".
    "Era quello che pensavo pure io prima, per questo non ho mai dato peso a questa soluzione, ma se ci pensi la prostituzione si è legale, ma non è legale quello che gli fa quel mostro! Le picchia! Le costringe a vivere in un modo pietoso e di stenti! Questo va contro ogni diritto umano!".
    "Ma non hai prove che faccia davvero questo!".
    "Invece si! L'ultima volta che l'ho vista Celeste era piena di lividi!".
    "Ma lei non andrà mai a testimoniare alla polizia!".
    "Hai ragione, infatti saremo noi a portare la polizia da loro".
    "Cosa?! Noi?! No no mio caro! Tu non mi coinvolgerai nei tuoi folli piani!".
    "E lasci da solo il tuo fratellino?".
    "Si se il mio 'fratellino' è fuori di testa".
    Bill lo guardò con occhi supplichevoli e Tom si girò dalla direzione opposta per non cedergli, ma quello sguardo così insistente e penetrante su di lui lo faceva sentire a disagio "Quella ragazza conta così tanto per te?" mormorò seguitando a dargli le spalle.
    "Si".
    "Ok, ok sono con te. Andiamoci ad ammazzare" borbottò.

    Il giorno stesso Bill andò dalla polizia ad informarli della situazione, ma questi dapprima sembrarono scettici all'udire le parole del ragazzo. Dopo qualche insistenza riuscì a convincerli ottenendo che un'auto della polizia li avrebbe scortati, mentre si sarebbero diretti nella tana del lupo a cercare le prove indiscutibili del reato, e in caso di necessità sarebbe intervenuta.
    Quella notte Bill e Tom dentro l'auto di quest'ultimo la passarono nascosti nell'ombra all'ingresso della Boulevard of broken dreams in attesa di quel furgoncino che le avrebbe caricate, per poi seguirlo.
    Il veicolo arrivò puntuale al solito orario, ma al volante non vi era più l'uomo che il ragazzo aveva visto una sera.
    "Strano, non è lui che lo guida...saranno in molti allora..." mormorò Bill tra se e se "Seguilo" ordinò infine al fratello che annuì e fece subito come gli fu detto.
    Seguirono il furgoncino attenti a non far accorgere a chi lo conduceva della loro presenza, accompagnati a loro volta da una'altra auto, apparentemente normale, ma che a bordo aveva due poliziotti. Si fermarono all'imbocco di una stradina non asfaltata, mentre il furgone la percorreva.
    Scesero dall'auto e si inoltrarono furtivamente attraverso la fitta vegetazione buia. Aquattati come dei gatti a caccia camminavano tra l'erba alta che non veniva tagliata da chissà quanto tempo. Quando questa terminò si trovarono davanti ad una casa allo sfascio sul cui davanti stava parcheggiato il furgoncino. Improvvisamente delle urla provenienti da dentro squarciarono il silenzio mettendo sottosopra l'animo di Bill.
    "Celeste" mormorò facendo per correre incontro alla casa, ma Tom tempestivamente lo fermò "Calmati! Ti vuoi far scoprire e mandare tutto a monte? O vuoi salvare la tua amata?".
    Bill si ricompose e respirò profondamente, poi insieme al fratello si avvicinò alle mura dell'edificio. Un rumore proveniente dalla porta d'ingresso li fece sussultare ed allarmare. Si nascosero costatando dopo qualche secondo che fosse stato solo un falso allarme.
    Aggirarono la casa andando a finire sul retro e lì Bill, rivolgendo gli occhi in alto, vide una figura muoversi attraverso le tendine che oscuravano la finestra del piano superiore. Quella figura, quelle forme lui le conosceva fin troppe bene. L'aveva viste e toccate personalmente, l'aveva amate e continuava ad amarle.
    "E' lei" bisbigliò a Tom.
    "Come fai a dirlo? Ne sei sicuro?".
    "Si! Devo raggiungerla!".
    Si guardarono attorno in cerca di una scala o di un qualcosa che potesse permettergli di arrivare alla finestra. Trovarono solo una vecchia cassa di legno su cui Tom salì e sulle spalle di lui, a sua volta, salì Bill che si aggrappò ad una pianta rampicante che cresceva nel muro quasi al livello della finestra.
    Con le nocche delle mani colpì leggermente il vetro. Un secondo dopo le tendine si tirarono scoprendo il volto di Celeste che quando lo vide rimase a bocca aperta.
    "Bill! Che ci fai qui?!" disse piano aprendo la finestra.
    "Sono venuto a portarti via".
    "Ma sei matto?! Vai via subito! E' pericoloso! Se si accorgono che sei qui..." non ebbe il tempo di finire la frase che il ragazzo si appropriò delle sue labbra.
    Lei, anche se presa alla sprovvista, si lasciò baciare. Nonostante avesse paura che lo scoprissero, i suoi baci gli erano mancati e quella voglio vinceva su ogni timore.
    "Bill per favore, vai via!".
    "Non me ne vado senza di te!".
    "Bill sbrigati! Qualcuno sta uscendo!" l'avvertì Tom da sotto.
    Il ragazzo riuscì solo a sentire ed elaborare quelle parole, poi improvvisamente un uomo fece irruzione dalla porta della camera di Celeste. L'individuo l'afferrò e lo trascinò dentro di peso.
    Bill si alzò da terra con un balzo felino e si lanciò contro l'uomo, riuscì a colpirlo, ma questo nonostante fosse della sua stessa altezza era il triplo della sua corporatura che sembrava fosse fatta d'acciaio e quel pugno quasi non l'avvertì neanche. L'energumeno lo colpì in viso facendolo inginocchiare con le mani sul naso che sanguinava, poi lo caricò di peso sulle spalle per portarlo via. Celeste a quell'intenzione si scagliò contro l'uomo colpendolo con pugni e graffiandolo per fargli lasciare la presa su di Bill, ma questo si liberò di lei spingedola contro il materasso che fungeva da letto. Contemporaneamente sotto un altro tizio portava via Tom.

    ***

    Celeste vide la porta davanti a sè chiudersi e sentì il rumore della serratura. Si alzò e cercò di aprirla, ma era stata chiusa a chiave.
    Iniziò a piangere, mentre batteva dei violenti pugni contro la porta.
    "Maledetti! Lasciatelo! Non torcetegli un capello o dovrete vedermela con me! Vi fotto tutti! Vi ammazzo uno ad uno se lo toccate! Lasciatelo!" urlò fuori di sè, per poi accasciarsi a terra disperata.

    ***

    Bill venne lanciato dentro ad una stanza, dove già vi era Tom con un taglio sul sopracciglio e un occhio nero.
    "Hanno conciato per le feste anche te, cazzo! Dobbiamo avvertire i poliziotti fuori prima che ci facciano la pelle! Hai il cellulare?".
    "No, me l'hanno tolto".
    "Cazzo anche a me! Cazzo, cazzo, cazzo!".
    Tom ebbe solo il tempo di finire la sua imprecazione che i due tizi di prima che li avevano sbattuti lì dentro, accompagnati da un terzo fecero irruzione.
    Il tipo nuovo aveva un ghigno divertito stampato in faccia e li guardava come se fossero insetti che presto sarebbero stati schiacciati "Bene bene, ma guarda un pò chi abbiamo qui! I due eroi della situazione! Peccato che presto diventerete solo carne in scatola! Nessuno può cercare di fottermi! Nessuno può intrufolarsi nel mio territorio, nella mia casa e sperare di uscirne vivo! Nessuno!" poi si rivolse ai due colossi "Dategli una lezione che non si dimenticheranno facilmente" detto quello uscì.
    I due si avvicinarono ai gemelli. Uno afferrò Bill per la gola e a quel gesto Tom si scagliò contro l'uomo per difendere il fratello, ma il secondo lo prese per il colletto della camicia e lo scagliò violentemente contro il muro. Questo gli si avvicinò colpendolo con una ginocchiata in pieno viso.
    Bill, invece, a gattoni cercava di allontanarsi dal suo energumeno mentre tossiva con una mano attorno al collo che poco prima era stato stretto nella morsa di ferro della mano di quel tizio. Quest'ultimo si abbassò per prenderlo, ma il ragazzo agilmente gli passò tra le gambe. Però fu afferrato per i capelli dal secondo che gli bloccò le braccia dietro la schiena, mentre l'altro gli colpiva lo stomaco con pesanti pugni.
    Tom dal viso sanguinante si buttò contro l'artefice dei colpi che facevano tingere di rosso le labbra del fratello, ma l'uomo lasciò la sua vittima per scagliarsi su di lui. Infine entrambi come fantocci vennero lasciati doloranti e sanguinanti a terra.
    Uno dei due armadi prelevò da dietro la cintura un affilato coltello da caccia, dalla lama leggermente incurvata sull'estremità "Adesso facciamola finita" disse ghignando.

    ***

    Celeste frugava nella stanza in cerca di qualcosa che potesse permettergli di scassinare la fermatura. Trovò una piccola forcina che appena fu introdotta nel foro si spezzò. Lanciò il pezzetto che le era rimasto in mano e disperata si portò una mano sulla fronte. Si alzò e prese la rincorsa per poi scontrarsi contro la porta nell'intenzione di buttarla giù. Al secondo tentativo vide la maniglia girare su se stessa e l'ostacolo di legno aprirsi scoprendo le figure di Kirsten, Consuelo e Cecilia.
    "Celeste sbrigati andiamo!" le disse la danese.
    "Non posso andarmene! C'è Bill!".
    "Lo so! L'hanno portato nella stanza della verità! Sicuramente è già troppo tardi per lui".
    "Cosa?! N-no! N-non può essere! Non è possibile! Stai mentendo! Io vado da lui!" e così dicendo lasciò la camera in cui era stata rinchiusa e si precipitò al piano di sotto.
    La porta della stanza della verità era chiusa, ma sbirciando attraverso il buco della serratura intravide Bill che giaceva a terra insieme a Tom. Vide anche i due uomini, di cui uno armato e subito si ritirò. Andò verso il camino da dove prese il ferro per attizzare il fuoco, fece un respiro profondo e girando la maniglia entrò decisa nella stanza colpendo alle spalle, con tutta la forza che aveva, l'uomo con il coltello che cadde in ginocchio. L'altro intervenne subito disarmandola e minaccioso le si avvicinò con una mano alzata in aria. Celeste rimase paralizzata dalla paura, ma improvvisamente lo vide accasciarsi dinanzi a lei. Una mano le si posò sulla spalla "Non potevamo lasciarti da sola" si voltò e trovò Kirsten che le sorrideva con una pesante asta di legno in mano, accompagnata da Cecilia e Consuelo anch'essa armate con arnesi di fortuna.
    "Grazie, ragazze" disse prima di correre verso Bill. L'aiutò ad alzarsi e fece aderire la sua schiena alla parete per sorreggerlo, poi gli scostò dal viso una ciocca di capelli che vi ricadeva e prese la sua testa fra la mani per vederlo meglio: perdeva sangue dal naso e dalla bocca che gli scedeva fin sotto il mento per poi macchiargli il colletto della maglietta, il contorno di un occhio era livido ed aveva un sopracciglio segnato da un taglio così come l'angolo delle meravigliose labbra che le deturpava.
    "Bill" mormorò con un filo di voce e gli occhi lucidi "Stai bene?".
    Il ragazzo annuì "S-si sto bene. Celeste devi andartene di qui, fuori c'è la polizia...".
    "No, io non me ne vado senza di te".
    "Non ti devi preoccupare per me...avverti i poliziotti e faranno irruzione qui arrestando quei bastardi...io starò bene".
    "No! Loro sono ancora qui e potrebbero farti del male mentre io cercherei la polizia fuori!".
    "Muovetevi! Questi due si stanno riprendendo" intervenne Cecilia che sorreggeva Tom insieme a Consuelo.
    "C'è la fai a camminare?" gli chiese ritornando con lo sguardo sul suo viso tumefatto.
    "Si" mormorò.
    Si staccò dalla parete e insieme uscirono da quella casa dell'orrore.
    Una volta fuori tirarono un sospiro di sollievo pensando che il peggio fosse passato, ma non sapevano che quei due energumeni si erano ripresi ed ora si stavano dirigendo all'uscita per impedirgli di scappare.
    Uno dei due afferrò Celeste per le spalle scaturendo l'urlo di questa. Bill prese un bastone di legno che stava lì vicino e lo colpì con forza, nonostante fosse allo stremo. L'uomo barcollò indietreggiando e i due ragazzi ne approfittarono per correre.
    Si addentrarono tra l'incolta erba alta, mentre sentivano lo scricchiolare di questa dietro di loro: li stavano seguendo. Tom, Cecilia, Consuelo e Kirsten erano di pochi passi davanti a loro e correvano a perdifiato verso la strada principale.
    "Non c'è la faccio più" biascicò Bill fermandosi esausto a metà strada.
    "Bill ti prego fai un ultimo sforzo! Siamo quasi arrivati!" lo scongiurò Celeste tra le lacrime tirandolo per un braccio.
    "Vai tu, io mi nasconderò da qualche parte".
    "No! Io rimango con te! Se quei mostri ci troveranno almeno saremo insieme". Celeste guardò alle spalle del ragazzo e in lontananza vide delle sagome nell'oscurità "Sono qui! Ti prego!".
    Bill vinto da quegli occhi gonfi di lacrime che rilucevano nel buio la prese per mano e lui stesso la condusse correndo attraverso la boscaglia.
    Finalmente giunsero sulla strada asfaltata dove già vi erano gli altri accompagnati dai poliziotti armati di pistola. Avendo raggiunto la salvezza e vedendo quei volti rassicuranti si lasciarono cadere sulle ginocchia a terra distrutti e con i respiri affannati dalla corsa e dalla paura.
    Bill cinse le spalle della ragazza e insinuando il viso tra i suoi capelli le sussurrò "E' tutto finito, è tutto finito adesso".
    Celeste con lo sguardo perso nel bagliore dei fari dell'auto della polizia inspirò profondamente una grande boccata d'aria che odorava di erba selvatica e di fango. Ecco, quello doveva essere l'odore della libertà.

    CAPITOLO 15 -E sarà così per sempre-




    Si guardò intorno ancora incredula: quelle quattro mura che racchiudevano una vera camera da letto accogliente e ben mobiliata, quel tepore nell'aria che la riscaldavano, mentre fuori il freddo la faceva da padrone, quella tranquillità, quella serenità, ancora stentava a crederci. L'incubo era finalmente finito e lei era ritornata alla vita di tre anni prima, o quasi. Bill l'aveva accolta nella sua villa, le aveva dato una bella stanza in cui stare e riempito l'armadio di vestiti meravigliosi che avrebbero fatto l'invidia di ogni ragazza. Tutto quello andava oltre alla sua vecchia vita fatta di semplicità e comodità senza eccessi. Da ragazza normale era diventata una prostituta, un incubo durato tre anni, ma che ai suoi occhi era stato lungo secoli, per poi risvegliarsi ed essere una principessa.
    Si guardò allo specchio per un'ultima volta, prima di dover scendere di sotto per prendere parte alla festa che Bill le aveva preparato in suo onore: il vestito nero le calzava perfettamente, morbido ed elegante le cadeva fino alle ginocchia, uno spesso nastro di raso le fasciava la vita per poi chiudersi sulla schiena in un fiocco, mentre una spallina di tulle le passava su una spalla. I capelli erano sciolti e terminavano in boccoli e un rossetto color carne le colorava le labbra.
    Bill entrò nella stanza ed abbracciandola da dietro le disse dolcemente "Sotto ti stanno aspettando tutti".
    "Sono pronta, scendiamo".
    Il ragazzo sorrise e le baciò una guancia "Sei bellissima" le sussurrò.
    Celeste si girò a guardarlo e con una mano gli accarezzò il viso ancora livido "No, tu sei bellissimo".
    Fece una smorfia "Non credo con questi lividi e graffi".
    Lei sfiorò il segno sulle sue labbra "E' colpa mia, scusa".
    "Non è colpa di nessuno. Questi passeranno, l'importante è che adesso tu sia qui" e così dicendo la prese per mano e insieme lasciarono la camera.
    Sotto li aspettavano tantissime persone, tra cui alle prime file, Kirsten, Cecilia, Consuelo e Andreea. Tutte e quattro sorridenti, tutte e quattro libere, tutte e quattro finalmente serene.
    Celeste le abbracciò con calore, poi una mano le si posò sulla spalla.
    "Credo di meritarmi un abbraccio anch'io".
    Si voltò e vide Tom: anche lui riportava in viso i segni di quella notte.
    "Oh, Tom! Certo!" disse abbracciandolo.
    "Ehm ehm" intervenne Bill fingendo di tossire.
    "E dai! Dopo che mi sono fatto malmenare un abbraccio è il minimo che mi possa meritare".
    "Si, ma adesso allontanati".
    "Su, Bill non fare il geloso".
    "Ecco, diglielo anche tu!" disse Tom "Mi faresti l'onore di un ballo?" le chiese poi porgendole il braccio.
    "Con vero piacere" rispose lei aggrappandosi ad esso.
    "Ah, bene bene! Balla con lui" borbottò Bill offeso.
    Celeste sorrise intenerita e si allungò verso il ragazzo "Ti amo" gli sussurrò ad un orecchio.
    Tom la portò al centro del salone ed iniziarono a ballare.
    "Grazie, Tom, davvero. Anche se non eri obbligato, hai aiutato Bill in quella folle impresa" disse la ragazza tra un passo e l'altro.
    "Non ringraziarmi, non ho fatto niente".
    "Niente? Hai messo a repentaglio la tua vita!".
    "Oh, è una cosa che faccio tutti i giorni vivendo accanto a Bill" disse scherzosamente.
    Celeste rise.
    "E comunque folle non è sinonimo di impossibile".
    La musica terminò e con essa anche il ballo. Tom gentilmente si congedò con un inchino e lei andò girovagando in cerca di Bill.
    Lo trovò fuori in giardino intento a guardare il cielo stellato. Gli si avvicinò silenziosamente, per poi abbracciarlo facendo passare le braccia intorno ai fianchi di lui.
    "Che ci fai qui solo soletto e al freddo?".
    "Beh, dopo che mi hai tradito con Tom...".
    "Ma smettila, sciocchino!".
    "Ah, ora mi dai pure dello sciocco, bene".
    Celeste si imbronciò "Allora che dobbiamo fare?!".
    Bill si mise a ridere, poi divenne serio e girandosi la strinse a sè sussurandole con voce suadente "Visto che me lo chiedi io proporrei di andarci ad infilare sotto le coperte al caldo, quando finisce la festa. Solo io e tu stretti l'uno all'altro a dormire".
    La ragazza a quel termine di frase sorrise e poggiò la testa contro il petto del ragazzo "Ti ho già detto che ti amo?".
    "Si, ma tu ugualmente continua a dirmelo".

    I raggi del sole trapelavano flebili dalle bianche tende che coprivano la grande vetrata svegliando Celeste. In tutto l'ambiente regnava un profondo silenzio. Ogni cosa era così calma, tranquilla.
    La ragazza si girò sull'altro fianco tra le candide lenzuola trovando il cuscino accanto al suo vuoto, ma con ancora la leggera sagoma della testa di Bill. Non trovandolo corrugò la fronte dispiaciuta, avrebbe voluto accucciarsi contro il suo corpo e sentirsi sussurrare il buongiorno.
    Qualche istante dopo la porta si aprì e il ragazzo comparve accompagnato da un fragrante odore che proveniva dai croissant posti sul vassoio che teneva in mano.
    "Ti ho svegliata io?" le domandò.
    "No, ero già sveglia".
    Bill posò il vassoio al centro del letto, poi mormorò "Buongiorno" e impresse un bacio sulle labbra di Celeste.
    "Ma dove sei stato?" gli chiese notando la tuta che indossava.
    "Al bar a prendere la colazione".
    "Ma tu...ma tu sei...".
    "Sono cosa?".
    "Pazzo".
    "Già, pazzo di te".
    Celeste si limitò a sorridere e scuotere la testa, mentre cercava di trattenere le lacrime.
    Dopo tanta sofferenza, dopo quel tremendo ed apparente infinito temporale era arrivato l'arcobaleno. L'aveva portato Bill ed adesso grazie a lui viveva, davvero. Ed era sicura che risvegli come quello ci sarebbero stati ancora accanto a lui, sicura che l'avrebbe amata. E sarebbe stato così per sempre.

    FINE

     
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9 replies since 22/11/2012, 15:25   145 views
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