Boulevard of broken dreams

attenzione: c'è la presenza di qualche scena violenta

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  1. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 2 -Il gioco della moneta-





    Le 3 della notte. Era venuto a riprenderle col suo solito furgoncino rosso dalla vercine scrostata e corrosa dalla ruggine a quell'orario come ogni notte.
    Sul retro del catorcio stavano sedute l'una accanto all'altra come fossero animali da bestiame e non vedevano l'ora di ritornare alla loro catapecchia dove potevano finalmente riposare. Tutte avevano quell'intenzione, tranne una.
    Cecilia tremava al solo pensiero di ritornare a "casa" perchè prima di passare per il suo vecchio e sconguassato materasso doveva passare, come del resto ognuna di loro, da lui per rendergli i profitti della nottata. Per chi aveva racimolato qualcosa non era un problema, me per chi gli si presentava a mani vuote lo era, ed anche grosso.
    L'avrebbe picchiata, minacciata ed insulata facendola correre nella sua stanza piangente e piena di lividi. Le sarebbe toccato quello...era la prassi: portavano i soldi potevevano continuare a vivere di un giorno in più la schifosa vita che avevano fra le mani, non li portavano non sapevano mai quello che li poteva succedere; tutto dipendeva da quanto era fatto o ubriaco, tutto dipendeva se in quell'istante era fuori di senno già per altre faccende e si sfogava sul loro corpo o se era particolarmente "tollerante" e il minimo che poteva succedergli era qualche cicca di sigaretta spenta addosso, tutto dipendeva da ciò che il destino aveva in serbo per loro in quell'istante.
    "Farà il gioco della moneta, uscirà testa, mi legherà e mi farà dormire fuori" mormorava Cecilia con il viso fra le ginocchia dondolandosi con la schiena.
    "Cecilia, no. Magari andrà diversamente..." cercò di consolarla Andreea, ma nemmeno lei era poi tanto sicura delle sue parole.
    "No...con me tira fuori sempre la moneta...uscirà testa come ogni volta..." continuò ed iniziò a singhiozzare "Uscirà testa me lo sento...uscirà testa lo so...uscirà testa..." iniziò a farneticare cantilenando rauca in preda ad un delirio che già la catapultava psicologicamente sotto gli artigli di quel bastardo.
    Il gioco della moneta era l'assurda punizione che riservava in genere a lei. Quella maledetta moneta che non aveva croce da un lato, come lui voleva farle credere, ma solo testa su entrambe le facce. La lanciava in aria e la bloccava sul dorso della sua mano per poi annunciarle con un ghigno sadico e soddisfatto la sua disfatta, perchè testa significava l'inferno, la croce l'inesistente salvezza.
    Per Cecilia quella storia era diventata un trauma e come biasimarla alla fine, non sapeva mai quello che aveva in mente, ma era consapevole solo che sarebbe stato qualcosa di brutto.
    Vederla in quello stato faceva stare male Celeste che non avvertendo quasi più la sensibilità delle sue mani, a causa del freddo, le infilò dentro le tasche del piumino e a quel punto sentì qualcosa di liscio e croccante al tatto: le due banconote da 50 euro che le aveva lasciato quel ragazzo.
    Le girò e rigirò tra le dita indecisa sul da farsi: essere egoista e tenerle per sè o aiutare Cecilia e cederle a lei? Nel primo caso avrebbe evitato la punizione e tranquilla sarebbe andata a dormire sul suo pulcioso letto, mentre l'amica avrebbe dormito fuori, sulla terra dura e in balia del freddo di Amburgo, invece, se le avesse dato i soldi Cecilia si sarebbe risparmiata quel patimento e un altro trauma, mentre a lei sarebbe toccata la sua sorte.
    Sospirò e tirò fuori le due banconote: essere egoisti anche in quelle estreme situazioni sarebbe stato davvero penoso, se sarebbe dovuta morire almeno avrebbe avuto la coscienza pulita.
    "Cecilia...prendile tu, ne hai più bisogno".
    La ragazza alzò il viso e la guardò perplessa "C-cosa?".
    "Prendile tu" ripetè Celeste porgendogliele.
    "Ma-ma come farai tu? Se la prenderà con te".
    "Ho la pellaccia dura io, non preoccuparti" la incoraggiò accompagnandosi da un sorriso.
    "Ok...grazie" mormorò Cecilia prendendole e custodendole gelosamente dentro una coppa del suo reggiseno.

    Il brontolio sofferto del motore del furgone cessò facendo ripiombare l'ambiente di nuovo nella sua quiete notturna.
    Carl scese da veicolo e bruscamente aprì il portellone. Le ragazze scesero velocemente l'una dietro l'altra per poi entrare in casa: una vecchia villetta a due piani dalla facciata scalcinata e macchiata da grandi aloni neri di umido, un solco percorreva la parte di muro accanto alla porta fino ad arrivare a terra e delle sbarre stavano alle finestre. Un carcere ad una stella insomma.
    La porta d'ingresso si chiuse cigolando alle loro spalle e Carl afferrò malamente per il polso Consuelo per chiudersi con lei nella stanza della "verità" dove la giovane prostituta avrebbe dovuto fare un rapporto della sua nottata: con quanti uomini era stata e quanto aveva guadagnato per, infine, consegnare il denaro all'aguzzino.
    Consuelo lì dentro si soffermò per pochi minuti, ma alle ragazze che aspettavano ammutolite e tremanti il loro turno fuori sembrò un'eternità.
    "Kirsten!" urlò l'uomo una volta aver congedado la spagnola che corse subito al piano di sopra, ormai "salva" per quella notte.
    Qualche minuto dopo delle grida disumane squarciarono il silenzio carico di tensione che si era creato mozzando i respiri di tutte.
    "Brutta stronza! Cazzo! Come puoi presentarti con quest'elemosina! Per chi mi hai preso?! Eh?!".
    Un tonfo seguì subito dopo.
    "C-Carl è tutto quello che mi ha pagato oggi quel vecchio...m-mi dispiace..." singhiozzò la ragazza.
    "Ti dispiace?! Presentati di nuovo con una simile miseria e non ti darò più da mangiare per una settimana! Lo sai quanto mi costi maledetta puttana?!...Adesso vattene dai miei occhi o non so che ti faccio!".
    La porta si spalancò e Kirsten uscì piangendo. Celeste l'abbracciò, mentre alla forca si dirigeva Andreea.
    Con lei calò di nuovo il silenzio e qualche istante dopo uscì per lasciare il posto a Cecilia.
    Quando anche questa lasciò la stanza, fu il turno di Celeste che prima di entrare tirò un lungo respiro.
    Chiuse la porta dietro di sè e nel frattempo Carl seduto con una gamba a penzoloni sul tavolo dal legno marcio l'osservava serio.
    "Che mi hai portato tu?" le domandò.
    La ragazza deglutì e cercò di raccogliere tutto il suo coraggio per affrontarlo. Avvertì una sua mano tramare e con l'altra la bloccò: non voleva che lui potesse fiutare la sua paura. Non poteva permettersi il lusso di tremare. Quel cane bastardo ne avrebbe approfittato e divorata in un sol boccone.
    "Niente" gli rispose facendo spallucce.
    Quello fece un mezzo sorriso tra il sarcastico e divertito "Niente? E me lo dici così?" concluse la frase digrignando i denti e facendo tendere i muscoli del viso e del collo, mentre battè un violento pugno sulla superficie del tavolo. Celeste sotto quel colpo vide sollevarsi una sottile polvere che ondeggiò nell'aria, per poi ritornare a posarsi sul legno.
    "Se vuoi i soldi, almeno portaci i clienti. Non puoi pretendere che tutti i giorni vadano bene, ci sono notti come questa che per la Boulevard of broken dreams non passa neanche un cane!".
    L'uomo scattò in piedi e con grandi falcate percorse la distanza che lo divideva dalla ragazza che, una volta raggiunta afferrò per il collo.
    "Mi prendi per il culo? Ma chi cazzo ti credi di essere?! Stronzetta portami rispetto o ti spezzo il collo!".
    "Fottiti! Meglio portare rispetto ad una merda che a uno come te" biascicò strozzata sotto quella morsa che le attanagliava la gola impedendole di parlare come si deve.
    "Puttana!" urlò rabbioso Carl stringendo ancora di più la sua mano d'acciaio.
    Celeste si sentì mancare il respiro improvvisamente ed annaspò. Con le mani cercò di liberarsi da quella presa, ma ogni tantativo risultò vano. La gola iniziò ad asciugarsi e pizzicarle in assenza d'aria e il suo petto cadde vittima di violenti spasmi.
    Dimenò le mani per aria e conficcò le unghie nel viso dell'uomo che lasciò andare la presa ed indietreggiò con le mani sulla faccia.
    La ragazza cadde a terra e tossì più volte, poi cercò di trascinarsi verso la porta per uscire e scappare, ma quando stava per raggiungerla Carl l'afferrò per una caviglia e la tirò lungo il pavimento a sè.
    Celeste cercò di allontanarlo scalciando, ma l'uomo la colpì in pieno viso facendole annebbiare i sensi per il dolore. Nonostante ciò lei continuò a muoversi come una forsennata nella speranza di colpirlo e allontanarlo. Fortunatamente ci riuscì. Si rimise in piedi e notò il sangue che fuoriusciva dal suo naso riversarsi a terra formando una serie di goccie discontinue. Andò verso la porta, ma per l'ennesima volta quel mostro glielo impedì.
    La prese per i capelli e cominciò a strattonarla facendola mettere in ginocchio "Io ti uccido!" le aveva urlato tirando fuori dalla tasca un coltellino dalla lama affilata e lucente che avvicinò alla sua gola, mentre le tirava la testa all'indietro.
    "Fallo! Tanto te la sai prendere solo con noi! Cos'è ti fa sentire più uomo picchiare le donne? Perchè sai che con un'altro come te non reggeresti il confronto" lo provocò Celeste.
    Carl aggrottò la fronte segnata dai profondi graffi rossi esitando per un istante e la ragazza ne approfittò per sfuggire alla sua presa. Riuscì ad aprire la maniglia e quando quello la bloccò per il polso gli diede un calcio sui genitali facendolo piegare su se stesso, allora corse via.
    Ebbe il tempo di chiudersi nella sua stanza che un secondo dopo Carl iniziò a battere violentemente contro la porta dai cardini arrugginiti che non avrebbero retto per molto sotto quei colpi.
    "Maledetta! Puttana! Butto giù la porta! Io ti ammazzo!" urlò dall'altra parte mentre Celeste aggrappata alla maniglia e poggiata con una spalla contro l'uscio piangeva per la paura. Aveva giocato col fuoco ed adesso rischiava di rimanere bruciata.
    Quei violenti colpi e quelle urla continuarono per svariati minuti fino a quando, improvvisamente non cessarono.
    La ragazza smise di piangere e tese l'orecchio verso la porta per riuscire a capire se se ne fosse andato veramente, ma ad un tratto un ultimo violento colpo contro il legno la fece sobbalzare. Poi sentì scendere le scale e sbattere la porta d'ingresso segno che se n'era andato e veramente adesso.
     
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9 replies since 22/11/2012, 15:25   146 views
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