Boulevard of broken dreams

attenzione: c'è la presenza di qualche scena violenta

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  1. Alexiel.Slicer
     
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    CAPITOLO 11 -Vattene-




    Bill riportò puntuale Celeste sul marciapiede, di nuovo con i suoi soliti vestiti, di nuovo da prostituta. Come Cenerentola l'incantesimo era finito ed adesso era costretta a ritornare alla solita realtà, doveva lasciare il suo principe ed aspettare di essere portata via non più da una carozza, ma da un vecchio furgoncino rosso guidato da un mostro.
    Questo arrivò allo scoccare esatto delle tre accompagnato dal suo solito brontolio sofferto. Carl scese dal veicolo, il suo viso era più pallido del normale e ogni suo singolo muscolo facciale sembrava paralizzato in una tensione che lo rendeva ancora più spaventoso e pericoloso agli occhi delle ragazze. Non ci voleva un genio per capire che traboccava d'ira che a stento riusciva a trattenere.
    Battè forte contro la lamiera del furgone, quasi a volerla sfondare. Quel rumore metallico mozzò i respiri delle giovani prostitute facendo in modo che quello fu l'unico segno di presenza umana che si avvertì per tutta la Boulevard of broken dreams.
    "Forza, entrate! Muovetevi!" urlò l'uomo rabbioso.
    Le ragazze si precipitarono sul retro del veicolo e in silenzio entrarono una ad una, fin quando tutte non furono a bordo e il furgoncino partì via facendo stridere le ruote contro l'asfalto.

    Arrivarono alla vecchia casa e Carl intimò a tutte con un semplice gesto della testa di salire di sopra e scomparire dalla sua vista, a tutte tranne a Celeste che dovette rimanere con lui.
    Aprì la porta della "stanza della verità" e facendole cenno con la mano la invitò ad entrare inchiodandola con il suo sguardo di ghiaccio. La ragazza entrò, nonostante le sue gambe si fossero fatte molli dalla paura.
    L'uomo entrò dopo di lei e richiuse la porta alle sue spalle, poi si diresse al tavolo contro il quale si appoggiò. Si portò una sigaretta alla bocca, l'accese e molto tranquillamente le domandò "Che hai fatto sta notte?".
    "L-le solite cose" balbettò incapace di capire a causa del terrore fino a che punto si spingeva in realtà quella domanda.
    "Le solite cose? Mmm e fammi capire, cosa?" la incalzò portandosi una mano sul mento.
    "Sono stata sul marciapiede, i clienti..." rispose sempre più perplessa.
    Carl si voltò verso la parete con un sorriso sarcastico stampato sulle labbra "Sul marciapiede? I clienti?" ripetè tra se e se "Puttana! Ma fammi il piacere!" urlò subito dopo tra i denti percorrendo con grandi falcate la distanza che lo divideva da lei, per poi colpirla violentemente in pieno viso. Un pugno sotto il quale Celeste cadde in ginocchio contro il pavimento portandosi istintivamente una mano sulla faccia. Copiose gocce di sangue cominciarono a sgorgare dalle fessure tra le sue dita per andare a riversarsi a terra.
    Il dolore che le attanagliava il volto le impediva anche di urlare. Sentiva il viso andarle a fuoco e al tempo stesso completamente anestetizzato da quel colpo. Non riusciva ad avvertirne la sensibilità.
    "Tu vuoi prendere per il culo me?! Nessuno puoi farlo! Neanche tu puttana da quattro soldi! Ti ho seguita! Ti ho vista con il tuo amichetto! Ho visto come ti comporti con lui! E' stata bella la festa?". Serrò tra le labbra la sigaretta che ancora teneva nell'altra mano e ne inspirò una gran boccata di fumo rendendo incandescente la cenere, poi con un ghigno sadico ritornò con lo sguardo sulla ragazza.
    Celeste, che aveva visto quel gesto tra le ciocche di capelli che le ricadevano sul viso, indietreggiò trascinandosi sul pavimento, ma non servì a niente: Carl premette con forza la sigaretta contro la sua pelle spegnendola. Lei a quel contatto rovente emise un gemito di dolore.
    "Ti è piaciuto ballare, eh?" le sussurrò all'orecchio in quell'istante, ancora con quel ghigno dipinto sul viso, poi gettò via la cicca "Davvero pensavi che non venissi a saperlo? Davvero mi credevi così fottutamente cretino?" le domandò urlando fuori di sè, mentre la colpiva con forti calci allo stomaco.
    "Uno, eh? Uno?! Ieri notte eri a spassartela con quello, maledetta!" continuò rabbioso persistendo a colpirla "Mi hai preso in giro! Dicevi che esistevo solo io per te! Dicevi questo! Ma sei solo una puttana! Ti dovrei ammazzare per questo!" la sua voce adesso era spezzata da dei singhiozzi. Si allontò di qualche passo dal corpo della ragazza che giaceva inerme a terra dandole finalmente tregua dopo quella serie di continui e violenti calci.
    Parlava ancora, ma ormai Celeste non lo sentiva più. Per lei quelle parole erano diventate solo un ronzio. Cercò di alzarsi su un braccio, ma subito crollò di nuovo sul pavimento. Il dolore le pervadeva ogni singolo nervo, sentiva ogni costola della sua gabbia toracica essersi trasformata in poltiglia. Il sangue oltre ad inondargli il viso, le intasava le narici impedendole di respirare dal naso e costringendola a prendere aria dalla bocca, dalla quale, ormai, sputava sangue che le lasciava il suo sgradevole sapore ferreo.
    Quel denso rosso scarlatto si confondeva con le lacrime che uscivano dai suoi occhi inumidendo i capelli impastati da quel miscuglio. Il suo petto, invece, era preda di spasmi e singhiozzi strozzati derivati sia dal pianto che dal dolore.
    Carl ritornò su di lei e vedendo i suoi piedi avvicinarsi cercò di ritirarsi indietro con le poche forze che aveva, ma questo l'afferrò per i capelli alzandola e rimettendola in piedi.
    "U-uccidimi e falla finita...non voglio più vivere questo inferno...non c'è la faccio più...fammi morire..." biascicò tra le lacrime.
    "Io non ti uccido. Ucciditi tu, se ne hai il coraggio" rispose lui lasciandola andare e ricadde a terra.
    "Se ti trovo ancora con quello, ammazzo lui al posto tuo" disse infine uscendo dalla stanza.
    Celeste rimase sola in quella stanza. Sola con la sua sofferenza e una scelta da fare.

    Lei era lì. Su quel marciapiede, in quella via nonostante fosse dolorante e livida dalla notte prima. Le ragazze dopo che Carl se n'era andato erano corse da lei preoccupate da tutte le urla e dai tonfi che avevano sentito. Quando l'avevano trovata rannicchiata a terra tra le lacrime e il sangue l'avevano immediatamente soccorsa come meglio potevano.
    Vide Bill arrivare sulla sua auto e Celeste subito si incamminò a passo svelto verso la direzione opposta per non vederlo e affrontarlo. Non dovevano stare più insieme, quel bastardo era stato chiaro, se l'avesse ancora visto l'avrebbe ucciso e lei questo non poteva permetterlo.
    Il ragazzo vedendola andare via scese dalla macchina e le corse dietro fermandola per una spalla e girandola verso di sè.
    "Perchè te ne stai andando?" le aveva domandato in quel frangente di tempo, ma appena si trovò di fronte il suo viso livido per lui fu come ricevere un pugno allo stomaco. Un istante dopo subentrò anche la rabbia. Si sentì un fuoco crescergli dentro e scoppiargli inondando ogni sua singola vena, ogni singolo capillare.
    "Che cosa è successo?" le domandò, ma lei non rispose. "Cosa è successo? E' stato lui?!" insistette scuotendola leggermente.
    "Lasciami Bill! Mi fai male!".
    Bill lasciò andare la sua spalla notando la circolare ustione che vi era "Te l'ha fatto lui? Io l'ammazzo quel bastardo! Dimmi dove sta che l'ammazzo!".
    "Smettila! Lui ammazzerebbe te! E ora vattene!".
    "Perchè vuoi che me ne vada?".
    "Non ti voglio più vedere! Lasciami in pace! Vai via!" gli urlò contro Celeste, per poi dargli di nuovo le spalle per andarsene.
    "Ma che stai dicendo?" la bloccò.
    "Cosa non ti è chiaro della parola vattene?".
    "Tu non vuoi che io me ne vada, è lui che ti costringe a dire questo, non è vero?".
    Quella sua insistenza la stava uccidendo. Sentirsi ancora i suoi occhi addosso, sentire ancora la sua voce, continuare a vederlo anche per un secondo in più la stava uccidendo. Sarebbe voluta scoppiare a piangere tra le sue braccia e sentirsi confortata e protetta da lui, ma se l'avesse fatto avrebbe firmato la sua condanna a morte. Lei doveva essere cattiva, spietata, doveva distruggere il suo cuore e farla finita una volta per tutte.
    "Senti Bill io sono una prostituta! Mi pagano per sesso e sono andata con mezza Amburgo! Cosa pretendi da una come me? Che si butti in un relazione seria? E con te poi? Dimmi perchè dovrebbe succedere questo! Se io ti ho assecondato è stato solo per interesse! Voglio dire gli uomini che vengono qui sono sempre così spilorci e finalmente ti capita uno che per delle indicazioni ti lascia 100 euro e per una scopata 200, chi non ne approfitterebbe? Solo una stupida! Mi dispiace di averti illuso o chissà cos'altro, ma tu per me non conti niente. In te vedo solo un portafogli pieno di banconote e basta. Mi dispiace, ma questa non è una di quelle favole dei film. Questa è la realtà. Benvenuto tra le puttane della Boulevard of broken dreams!". Mentre pronunciava quelle parole cercò di essere il più cinica e fredda possibile.
    "Tu non pensi davvero queste parole".
    "Questo è quello che pensi tu. Sei davvero appiccicoso. Ti conviene andartene se non vuoi che chiami la polizia".
    La rabbia e la confusione gli offuscarono la mente facendogli dire ciò che non pensava "Ok, me ne vado. Però sappi che il servizio è stato davvero scadente" detto quello Bill ritornò a bordo del suo macchinone e con una brusca inversione ritornò da dove era venuto, mentre Celeste guardava andare via l'unica persona che aveva avuto la capacità di farla sognare e sperare, anche se per poco.

    CAPITOLO 12 -Evasione-




    La luce lunare attraversava in tutto il suo splendore il vetro della finestra illuminando il pulviscolo che lento ed inesorabile galleggiava nell'aria. Celeste l'osservava assorta. Pensava che doveva essere bello sentirsi leggeri, doveva essere bello essere talmente piccoli ed impercettibili da risultare quasi invisibili, doveva essere bello essere impalpabili. Nessuno poteva toccare, nessuno poteva avere la presunzione di affermare di aver potuto afferrare quei microscopici frammenti, nessuno ne poteva rivendicare la proprietà.
    Ormai erano passati due giorni da quando aveva visto Bill salire sulla sua auto ed andare via dalla Boulevard of broken dreams, per forse non ritornarci mai più. Tutto era ritornato come prima: lei sempre su quel marciapiede, ma adesso c'era l'amarezza di sapere che lui non sarebbe venuto a prenderla e portarla via da quel posto, Carl la trattava come le altre, se non addirittura peggio. A causa di quel sogno che stava vivendo aveva trascurato le sue compagne e mandato in fumo il piano per la libertà. Adesso quell'obiettivo si era fatto più lontano. L'unica opportunità che aveva, l'aveva bruciata. Forse condurre quella vita era il suo destino.
    I suoi pensieri furono interrotti bruscamente da dei tonfi su per le scale: qualcuno stava correndo. Il rumore si fece più vicino, fin quando la porta improvvisamente si spalancò scoprendo la figura di Consuelo dal viso pallido e stravolto. Richiuse l'uscio dietro di sè e subito dopo, prima che Celeste potesse aprire bocca, dei violenti colpi contro il legno fecero sussultare la ragazza.
    "C-che succede?" le domandò.
    "Carl è arrabbiato" mormorò quella tra le lacrime, mentre cercava di dare sostegno alla porta che sembrava spezzarsi in due sotto quei calci.
    Celeste e Kirsten l'aiutarono in quell'intento, poi il silenzio calò inaspettatamente nella stanza. Tutte e tre si allontanarono incerte di qualche passo, ma quando un ennesimo colpo squarciò quell'apparente quiete sussultarono.
    "Psss! Ragazze, siamo noi. Carl se n'è andato".
    All'udire la voce di Cecilia tirarono un profondo sospiro di sollievo, poi questa aprì la porta e accompagnata da Andreea entrò. Entrambe si sedettero su uno dei due letti, poi la greca guardando Celeste disse "Visto che sei di nuovo fra di noi dovresti saperlo anche tu...".
    "Cosa dovrei sapere?" fece la ragazza stranita.
    "Sono incinta" mormorò Andreea.
    Celeste sgranò gli occhi "C-cosa?" balbettò "Sul serio? Ma quando? Come diamine...?".
    "Un mese circa, ma l'ho saputo solo qualche giorno fa".
    "Lo sapevate tutte?" chiese guardando le altre che a sguardo basso annuirono "Perchè non me l'avete detto prima?! Perchè tenermi all'oscuro?!".
    "Innanzitutto tu eri sempre con il tuo belloccio, poi cosa ci garantiva che non avresti parlato per ingraziati Carl?" disse Consuelo con stizza.
    "Davvero credevate che io avrei fatto la spia? Davvero?! Ma non mi conoscete? Che vi è preso!? Io...ok, in questo ultimo periodo sono stata un pò con la testa fra le nuvole, ma se me ne aveste parlato io avrei cercato di fare qualcosa! Vi fidate così poco di me?".
    L'ispanica volse lo sguardo dal lato opposto.
    "Hai ragione...scusaci..." disse Andreea.
    Celeste sospirò "Cos'hai intenzione di fare?".
    "Lo voglio tenere, ma non potrò nascondere il segreto in eterno...la pancia inizierà a farsi notare e Carl...oddio! Non ci voglio neanche pensare" concluse fra le lacrime.
    "Sai chi è il padre?".
    "No...".
    Aggrottò la fronte "Allora, perchè?...".
    "Non saprò chi è il padre, ma è ugualmente mio figlio...io da quando ho saputo di portare una vita in grembo mi sento importante per qualcuno, essenziale, amata...non voglio uccidere l'unica cosa che mi iffonde speranza e forza per andare avanti...non voglio che quel mostro gli faccia del male".
    Celeste la guardò teneramente "Va bene, stanotte stessa lascerai questo posto".
    Andreea la guardò con gli occhi e la bocca spalancati in un'espressione di sorpresa "Cosa?".
    "Fidati di me" furono sua le ultime parole.
    Chi meglio di lei poteva sapere ciò che stava provando Andreea? Chi? Lei che aveva dovuto far scivolare dalle sue mani Bill, lei che aveva chiuso gli occhi davanti a quella luce che lui gli offriva nell'oscurità rinnegandola, lei che aveva segnato definitivamente il suo destino. Lei che aveva fatto tutto quello per non far correre rischi a l'unica persona che aveva avuto il coraggio di guardare oltre, oltre a quella maschera da prostituta.

    Un'ora dopo Celeste scese per vedere se Carl fosse in giro. Fortunatamente lo trovò seduto sulla vecchia poltrona del salone d'ingresso con i piedi incrociati sopra il fradicio tavolino basso e la testa leggermente inclinata sulla spalla. In una mano teneva un bottiglia di wisky, mentre nell'altra serrata in un pugno vi era il suo solito coltellino dalla lama affilata e lucente e il manico cesellato. Stava dormendo e questo rassicurò Celeste, almeno in parte.
    Risalì e andò a chiamare Andreea che in quel frattempo stava mettendo in un borsone le sue poche cose. Quando fu pronta iniziarono a ridiscendere le scale scalze con calma e cautela. Ogni volta che le piante dei loro piedi nudi toccavano la superficie di marmo freddo di un gradino automaticamente respiravano un piccola boccata d'aria, poi scendevano il successivo e in quel frangente di tempo trattenevano l'ossigeno già trasformato in anidride carbonica, per poi rilasciarlo quando sentivano il contatto con la seguente superficie marmorea e così via. Una volta terminate indossarono le scarpe e piano si diressero alla porta d'ingresso che quando venne aperta cigolò. Quel rumore riecheggiò nell'ambiente silenzioso facendo smettere di battere i cuori delle ragazze per lo spavento. Carl però, per loro grande fortuna, non si era mosso di mezzo centimetro e continuava a dormire.
    Andreea uscì dalla casa seguita da Celeste. Fuori faceva freddo, ma i loro cuori battevano così forte e pulsavano così tanto sangue caldo che non l'avvertivano neanche.
    "Stai attenta e buona fortuna" disse la ragazza abbracciando l'amica.
    "Grazie, Celeste".
    "Di nulla. Sarai una splendida madre".
    La rumena sorrise, poi cominciò a risalire la stradina sterrata che portava alla strada principale. La seguì con lo sguardo finchè non fu inghiottita dall'oscurità.

    CAPITOLO 13 -La fine è solo l'inizio...-




    Celeste ritornò verso la casa. Poteva scappare anche lei se solo avesse voluto, ma non era una soluzione. Scappare e andare dove? Da Bill? Sarebbe stata una follia. Carl l'avrebbe comunque trovata e non si sarebbe fatto scrupoli.
    Una volta dentro il respiro le si bloccò a metà gola e il suo viso divenne bianco. Carl le stava di fronte, con il coltello serrato in una mano che gli ricadeva tesa sul fianco: la stava aspettando. Consuelo ero a pochi passi dietro di lui e osservava la scena con gli occhi sbarrati, mentre accanto a lei giacevano dei cocci sul pavimento.
    "Tu sali di sopra!" le ordinò.
    "Ma..." mormorò la spagnola.
    "Ho detto sali sopra!" urlò.
    Quella annuì terrorizzata e cose via su per le scale. Quando si sentì il rumore della porta chiudersi Carl a passo svelto si diresse verso Celeste e afferandola per i capelli la trascinò fuori.
    "Maledetta stronza! Tu mi dai solo problemi!" disse mentre la tirava e strattonava.
    La portò nel retro della casa dove vi era un piccolo capanno al cui muro di cemento c'era conficcato un grosso gancio di ferro da cui pendeva una lunga catena conclusa da un collare. Lì la buttò malamente a terra facendola finire tra la fanghiglia.
    L'uomo prese il collare e fece per incastrarlo attorno al collo della ragazza, ma questa gli morse con forza la mano.
    "Puttana cagna!" esclamò ritirandosi e subito dopo colpendola.
    Celeste cadde con il viso contro il fango e Carl ne approfittò per metterle il collare.
    "Vediamo se con questo ti finisce la voglia di mettermi i bastoni fra le ruote!" le disse con un ghigno divertito, si allontanò di qualche passo come per andarsene, però poi si fermò "Ritroverò Andreea, non ti preoccupare. Ammazzerò lei e quella schifezza dentro la sua pancia. Nessuna di voi puoi sognarsi di scapparmi!" le ringhiò in faccia "Per quanto riguarda te, rimarrai qui a riflettere fin quando non ti deciderai di mettere la testolina a posto e mi supplicherai in ginocchio di perdonarti da brava cagnetta" e così dicendo picchiettò con l'indice sulla fronte della ragazza accompagnato da un risolino sadico. Celeste in risposta digrignò i denti ed emettendo un verso gutturale fece per scagliarsi contro di lui, ma la catena a quel movimento divenne dapprima tesa, poi richiamò a sè la ragazza facendola cadere in ginocchio e strozzandola.
    Carl a quella scena rise "Dimenati cagnetta, dimenati" disse per infine andarsene.
    Celeste rimase sola in balia di quel freddo penetrante e come coperta solo un cielo nero reso ancora più freddo dal bagliore glaciale della luna.

    Il mattino dopo fui svegliata da dei passi sull'erba ghiacciata dalla brina mattutita. Poggiata con la testa contro la dura parete di cemento aprì gli occhi dalle ciglia leggermente coperte sulle punte da piccoli cristalli di ghiaccio e fu accecata dalla chiara luce del sole. Una mosca gli volò attorno e lei per scacciarla scosse la testa ancora frastornata, poi si sentì prendere per i capelli e portare la testa all'indietro. Improvvisamente un'ondata di acqua gelida la colpì in pieno viso facendole spalancare gli occhi e annegandola quasi. Si accovacciò contro il muro tremante e battè più volte le palpebre per poi vedere il volto di Carl che ghignava divertito.
    Celeste lo guardò con disprezzo e gli sputò contro. Una frazione di secondo dopo uno sparo fece volare via gli stormi di uccelli che stavano annidati tra i rami degli alberi che formavano la vegetazione circostante, in quel mentre sul torace di Carl comparve una macchia rossa che andò ad espandersi sul tessuto della sua camicia. Questo cadde in ginocchio di fronte alla ragazza, poi si accasciò del tutto a terra.
    Celeste guardò quella scena boccheggiando, senza realizzare davvero cosa stesse succedendo.
    "C-Celeste aiutami" mormorò l'uomo con un filo di voce.
    Lei l'osservò smarrita per qualche istante, per poi scoppiare in una fragorosa risata isterica.
    "Ahahah! Tu chiedi aiuto a me? Tu bastardo chiedi aiuto a me?! Ahahahah! Mi hai reso la vita un inferno! Mi hai portato via tre anni della mia vita che nessuno potrà mai restiturimi! Muori! Muori! L'avrei voluto fare io con le mie mani, ma meglio così! Non mi sono dovuta sporcare con il tuo lurido sangue!".
    Frugò velocemente tra le sue tasche in cerca delle chiavi che avrebbero aperto il collare liberandola. Le trovò e si privò dell'arnese che le aveva lasciato segni violacei su tutto il collo. Si alzò e fece per correre via, ma si sentì afferrare per la caviglia. Era Carl che un istante dopo mollò la presa ed esalò l'ultimo respiro.
    Celeste provò pena per lui. Aveva fatto la fine del topo, la fine che si meritava.
    Corse dentro la casa urlando come una forsennata "E' morto! E' morto! Siamo libere! Libere!".
    A quelle urla tutte le ragazze accorsero sconvolte.
    "Ma che stai dicendo? Che significa che è morto?" disse Kirsten.
    "Andate fuori! E' lì! Morto davanti ai miei occhi!" rispose ridendo.
    Cecilia si precipitò fuori e vicino al capanno vide il corpo di Carl esanime. Ritornò dalle altre con le lacrime agli occhi dalla felicità.
    "Non ci posso credere! E' morto davvero! L'hai ucciso tu?".
    "No no, gli hanno sparato! Non so chi sia stato, ma ci ha salvato!".
    Kirsten sentì l'esigenza di essere sorretta dal muro, mentre Consuelo andò ad abbracciare Cecilia, poi si girò verso Celeste.
    "Scusami per ieri notte...ho fatto cadere per sbaglio quel vaso e lui si è svegliato...ero morta di paura, aveva quel coltello in mano e ho dovuto confessare...scusa".
    "Non importa. Adesso lui è morto ed è questo ciò che conta! Siamo libere! Niente più marciapiedi! Niente più Bouleverd of broken dreams! Possiamo tornare ad essere ragazze normali! Prepariamo i nostri stracci e lasciamo questa topaia!".
    "Tutta questa fretta di andarvene? E io che pensavo che la festa fosse appena iniziata". Una voce bassa interruppe quell'entusiasmo.
    Un uomo dalla corporatura robusta stava davanti alla porta con un sorriso compiaciuto.
    "C-chi sei?" domandò Celeste.
    "Il vostro nuovo capo. Vedete il vostro caro Carl aveva dei grossi debiti con me che non ha saldato. Ed avete visto cosa succede a chi non mi rispetta...ora anche se è passato a miglior vita il debito rimane e l'unica cosa che ha e che può riscattare quel debito siete voi, mie care. Quindi da adesso in poi starete sotto ai miei comandi! Che non vi sali in testa di scappare o di ribellarvi: non mi sono mai piaciute le teste calde!" battè un pugnò contro la porta "Io vi spezzo le gambe!".
    Quella felicità come era venuta in un attimo si era dissolta bruscamente lasciando spazio alla sconsolazione. Si erano appena liberate di Carl, avevano appena assaporato la libertà, sentire cosa significa essere liberi che già erano costrette a ritornare a quella realtà che le perseguitava, come se non volesse lasciarle andare via. Come se non avessero già sofferto abbastanza per meritarsi un pò di serenità.
     
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9 replies since 22/11/2012, 15:25   146 views
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