Cosa hai detto che sei...?!?

...incinta. Tomi...[il mio primo,vero successo!]

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    evvai ora c'è anche il secondo capitolo!!!
    eheheh...
     
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  2. @>Billina@>
     
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    Bella davvero...Molto carina....
     
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  3. ø¤º°°º¤Tokio Girl¤º°°º¤ø
     
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    Ok...bene...*Gusty sorride felice*...il vostro Gusty è salvo...almeno per ora...*risatona malefica!!!*
     
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  4. °°Vanilla°°
     
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    CITAZIONE (ø¤º°°º¤Tokio Girl¤º°°º¤ø @ 30/11/2007, 20:44)
    Ok...bene...*Gusty sorride felice*...il vostro Gusty è salvo...almeno per ora...*risatona malefica!!!*

    Waaaaaaaa neeee prima che ti vengano idee stranozze mi conviene postare!!!! uahuahuah...
    come sempre, buona lettura ^^


    “Tom…Tom! Che combini? Dormi?” il ragazzo aveva la testa appoggiata alle braccia, incrociate sul tavolo, e non dava alcun segno di vita. Bill gli spinse con forza un gomito giù dal tavolo, per farlo riprendere. Tom gemette e si strofinò gli occhi “Cosa vuoi, Bill?”
    “Cosa stai combinando? Non hai dormito stanotte?”
    “Eh? Io? Cosa?” farfugliò il rasta, stropicciandosi il viso con le mani. Non aveva dormito. Non aveva dormito per niente. Aveva pensato soltanto alla chiacchierata che aveva avuto con quella ragazza…oddio come si chiamava…ah, Erin. Difficile da dimenticare, visto il pugno che gli aveva tirato, dandogli anche dello zotico.
    Le ragazze violente avevano un debole per lui…e lui aveva un debole per loro. Tutte a lui le sfortune. “Bill…sono disperato.”
    ”Credevo l’avresti presa alla leggera…” rispose il gemello sarcasticamente, tirando su con la cannuccia un sorso di coca cola dalla lattina semi vuota che aveva davanti. Tom non voleva litigare. Non voleva nemmeno parlare con Bill, perché lui avrebbe di sicuro messo in discussione la sua maniera di risolvere le cose. Lasciò ricadere la testa fra le braccia con un sospiro.
    “Tomiiii…”
    “Mmmmh…”
    “Dai su, non fare così…”
    “Mmmmh…”
    “E’ vero, hai fatto una puttanata, questo lo sappiamo tutti…”
    “Mmmmh…?”
    “No, non sto cercando di scaricare la colpa su di te, ma…”
    “Mmmmh?”
    “Non hai prestato attenzione, tutto qui…”
    “Mmmmh?!?”
    “Cosa…?”
    “Vuoi stare zitto, Bill?” sbraitò Tom sollevando di scatto la testa “Io cerco di dimenticare, e tu non fai che rinfacciare!” Bill lo guardò senza alcuna espressione precisa in volto. Sembrava voler dire Fai come vuoi. Ma forse stava dicendo Sei senza speranza. O magari Non me ne frega niente. Ad ogni modo sostenne il suo sguardo per un po’, per poi tornare ad appoggiarsi contro lo schienale della sedia e a bere la coca cola. Quando ebbe finito staccò la linguetta dell’apertura della lattina e ci giocherellò passandosela tra le mani. “Ich muss durch den Monsun…Nananana…”
    “Bill mi dai sui nervi.”
    Rimasero in silenzio per quasi dieci minuti. Quando Bill smise di canticchiare improvvisamente. Il suo guardo scese ripidamente dalla porta d’entrata del bar a Tom. E poi di nuovo alla porta d’entrata. E poi di nuovo a Tom.
    Il gemello alzò di scatto la testa. Bill sembrava nervoso mentre compiva quell’operazione.
    Cosa stava accadendo?
    “Tomi…”
    “Bill, cosa c’è?”
    “Fanculo, abbassati!” sibilò Bill alzandosi dalla sedia e schiacciando la testa del fratello verso il tavolo, in modo che venisse nascosto almeno parzialmente dalla pianta che aveva alle sue spalle.
    All’entrata una ragazza bionda e alta, di circa diciassette anni, era scesa da una macchina. Dalla portiera opposta era sceso un uomo di grosse dimensioni, alto e tonico, di circa quarant’anni.
    Tom scrutò di sottecchi la scena, per quanto la sua posizione glie lo permetteva. “Bill…secondo te Erin ha un ragazzo?”
    “Ma sei idiota? Ti pare che quell’uomo possa essere il suo ragazzo?”
    “Oh, cazzarola…”
    “Ma stai giù, però!” Bill lo calcò ancora più in basso, schiacciandogli la testa contro il tavolo e sporgendosi per vedere meglio.
    “Ahia…Bill…potresti…”
    “Shhhh! Devo sentire cosa dicono!” lo zittì lui. Ora erano al bancone del bar, e l’uomo di grandi dimensioni disse qualcosa a Erin. Lei rispose. Ma erano troppo lontani per poter sentire. Bill si sporse ancora di più, e per sbaglio il cappellino di Tom gli cadde dalla testa, rotolando verso gli sgabelli del bancone. Verso Erin. E verso l’uomo. Oh no…non buono.
    “Bill, il mio cappel…”
    “Taci idiota!” Bill gli tappò la bocca, ma era troppo tardi. L’uomo si girò verso di loro per raccogliere il cappellino di Tom, e si guardò in torno per capire di chi fosse.
    Né Tom né Bill si avvicinarono per riprenderlo, e l’uomo, dopo pochi secondi, si risedette, lasciando il cappellino sopra il bancone accanto a sé.
    Bill prese la giacca e fece per alzarsi “Tomi andiamocene di qua…non vorrai finire nei guai, spero!” fece per alzarsi, ma Tom gli prese un polso e lo fece risedere, guardandolo negli occhi “Non senza il mio cappellino.”.
    ….
     
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  5. @>Billina@>
     
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    Bella...Continua...Mi prende....
     
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  7. ø¤º°°º¤Tokio Girl¤º°°º¤ø
     
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    si si continuaaaaa
     
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    “Tom, sei pazzo!” disse piano Bill, cercando di farsi sentire il meno possibile. Tom cercò di mantenere la calma “Hai idea di quanto l’ho pagato?”
    “Non importa! Non…”
    Tom si alzò piano dalla sedia e si abbassò, piegandosi. Bill, impotente di fronte a quella scena, iniziò a gesticolare e a scandire le parole in modo che Tom potesse leggere il labbiale, ma il gemello non lo degnò neppure di uno sguardo; cercò di chiamarlo schioccando le dita, ma sapeva che non avrebbe funzionato. Tom era troppo testardo…
    Il rasta scivolò piano per terra, avvicinandosi con cautela al bancone, subito alle spalle dell’uomo grande e grosso.
    In quel momento Erin si voltò.
    Lo vide.
    Gli occhi azzurri le si sbarrarono e assunse un’espressione atterrita. Si voltò dall’altra parte e cercò di distrarre l’uomo, e facendo segno a Tom con la mano di andarsene, e alla svelta anche. Ma lui non se ne accorse e nemmeno vi badò.
    Ora si trovava appena sotto lo sgabello dell’uomo; allungò piano la mano, mentre non scollava gli occhi dalla figura che si trovava di fronte. Oh cazzo, oh cazzo, oh cazzo, fa che non se ne accorga, fa che non se ne accorga, fa che non se ne accorga!
    Con lo sforzo dipinto sul volto, allungò ancora di più il braccio verso il cappello. Ma era troppo in alto per poterlo raggiungere da quella posizione.
    Bill osservò la scena dal tavolo; il fratello buffamente accucciato dietro lo sgabello su cui sedeva l’uomo, che stranamente ancora non si era accorto di niente, il suo braccio teso all’inverosimile. Toccò la visiera che sporgeva dal bancone con l’indice e il medio, cercando di afferrarla fra di essi, ma non riuscì. Riprovò.
    “Sono molto deluso da te, Erin” disse il padre a testa bassa, guardando nel bicchiere che aveva in mano “Non mi aspettavo potesse accadere qualcosa del genere. Nella MIA famiglia...Erin, mi stai ascoltando?”.
    La ragazza, seduta accanto a lui, lo stava ascoltando, ma non riusciva a smettere di fissare appena oltre, con un’espressione terrorizzata che le sbarrava quegli occhi di ghiaccio. Riusciva a vedere una mano sino al polso, peraltro coperto da un polsino grigio, sbucare da sotto il bancone, appena dietro suo padre, e allungarsi disperatamente verso il cappellino. E ogni volta che lo toccava per avvicinarselo, lo allontanava di pochi millimetri.
    “Erin!” esclamò suo padre, richiamandola alla sua attenzione. La ragazza si scosse. “Cosa…cosa c’è, papà?”.
    Papà? Come papà? Tom storse il naso; oddio. Quello era il padre…altro che ragazzo. Era molto peggio…Fece un respiro profondo. Aveva la fronte imperlata di sudore, e il cuore gli batteva a mille; allungò ancora di più il braccio, e afferrò finalmente la visiera del cappello. Eureka!
    “Erin, mi stai ascoltando?”
    “Sì…sì, certo. Ma…papà…”
    “Dimmi.” Erin non sapeva davvero cosa dire. Ma doveva pur evitare che suo padre si accorgesse di Tom…pensa…pensa…
    “Papà, non fa niente, dai…non è un dramma. Ho diciassette anni…”
    “Qui sta il problema. Sei ancora piccola. Avresti potuto dirmelo prima, avremmo provveduto all’aborto. Ora devo soltanto trovare il farabutto che…”
    Aborto? Lui…sapeva? Ora che aveva in mano il cappello, doveva riuscire a riportare il braccio giù e…Bill lo chiama dal tavolo. Che deficiente, pensò Tom, come potrei capire quello che dice? Ma gesticola…devo riuscire a leggere il labbiale. Indica l’uomo…Non capisco, Bill, non capisco…
    Fece segno di no con la testa per indicare che non capiva.
    Bill fece una faccia sgomenta; prese la giacca e si alzò dal tavolo…perché, Bill?
    Tom non voleva sapere. Accennò un sorriso preparatorio, e piano alzò la testa, con un movimento quasi meccanico. Oh… “Salve…” farfugliò Tom. Aveva le labbra incurvate in un sorriso, ma lo sguardo allucinato.
    Il padre di Erin era girato verso di lui. Lo stava osservando con un’espressione interrogativa.


    “Cosa stai combinando, ragazzino?” disse il padre di lei, interrogativo.
    Tom guardò Erin, sempre con quel falso sorriso, aggiungendo però all’espressione uno sguardo implorante. Erin scosse piano il capo. No, Tom. Non ti azzardare a…
    “Ehm…hehe…ciao, Erin!” fece lui, muovendo piano le dita di una mano. La ragazza si diede uno schiaffo sulla fronte e volse gli occhi al cielo. Cristo, che babbeo.
    “Conosci mia figlia?” l’uomo lo scrutò per qualche istante. Tom pregò che Erin non gli avesse parlato di…
    Oh. L’uomo sbarrò gli occhi. Tom iniziò a sudare. Tanto. Non riusciva a tirare giù il braccio dal bancone, i muscoli delle sue braccia erano a dir poco paralizzati…no…no…Cristo ti prego no…
    Ma niente.
    Troppo tardi.
    “TU SEI IL BASTARDO!” Gridò l’uomo, guardandolo negli occhi, e assumendo all’improvviso un’espressione scomodamente cattiva. In quel momento non vi sarebbe stata troppa differenza fra lui e un leone inferocito.
    Tom emise un gemito e cercò di arretrare; cadde a terra e picchiò il mento. Mentre cercava di tirarsi su, l’uomo si alzò in piedi e lo prese per la felpa, sollevandolo da terra.
    “TU SEI MORTO!” sibilò ancora, e fra lo scompiglio generale che s era creato spinse Tom contro il tavolo dive poco prima stava seduto Bill. Il ragazzo barcollò. Reggeva ancora in mano il cappellino che era riuscito a recuperare, anche se ormai non ci pensava nemmeno più. “Io…mi lasci spiegare…”
    “No, tu non mi spieghi niente!” Come una molla, il pugno dell’uomo partì in direzione del ragazzo, che abbassò la testa, schivando un colpo che forse gli avrebbe fracassato la mascella.
    Bill era vicino all’entrata, la giacca in mano, atterrito; non avrebbe mai avuto il coraggio di intervenire.
    Erin era paralizzata. Perché Tom, sei stato così stupido? Non potevi stare zitto? Perché?
    L’uomo prese di nuovo Tom per la maglia e gli tirò un forte schiaffo, spingendolo poi contro il muro. Gli serrò la gola con una delle grosse mani. Il suo viso era a pochi centimetri da quello del ragazzo, che ansimava sotto la pressione di quella mano che con tanta forza gli opprimeva le vie respiratorie “Tu sei morto” disse di nuovo l’uomo. Sollevò ancora il pugno e lo colpì in pieno stomaco, facendolo gemere. E ancora. E ancora.
    “Papà, fermati!” gridò Erin, posandogli una mano sulla spalla. Lui si voltò “Papà, finiscila! Non vorrai passare di nuovo dei guai, spero!”
    “Erin, vai a casa, per favore. Questa è una faccenda complicata.”
    Tom si divincolò sotto la stretta del padre di Erin. Ma lui sembrò non accorgersene, troppo intento nella discussione, e lo tenne inchiodato saldamente al muro.
    “Faccenda complicata?” sbottò Erin. A quanto pare Tom non era l’unico con cui perdeva la pazienza “Papà, non c’è niente di complicato!”
    “E’ una cosa che non ti riguarda, vai a casa.” Non la riguardava, eh? Questo era il colmo. I grandi occhi azzurri della ragazza fremettero di rabbia “Come sarebbe a dire che non mi riguarda? Quella che ci va di mezzo per nove mesi e anche dopo sono IO, non TE!”
    “Tesoro, davvero, vai a casa.”
    “No papà, ora NOI andiamo a casa! Lascia andare Tom!”
    Ma non ce ne fu bisogno; Tom nella confusione fra padre e figlia era riuscito a sgusciare dalla presa, e urtando sgabelli, pestando cani e travolgendo vecchiette uscì in scivolata dal bar, seguito a ruota da Bill, che tuttavia Tom dovette trascinare acchiappandolo per un braccio.
    “Oh, cazzo! E’ scappato!” ancora parzialmente feroce, l’uomo scattò fulmineamente fuori dal bar. Ma Erin no. Erin era uscita dalla porta secondaria.
    “Tom, cosa cazzo hai combinato?” gridò Bill cercando di prendere fiato, senza smettere di correre. Alle loro spalle, il padre di Erin li seguiva con un’energia quasi inesauribile “ORA VI PRENDO, BRUTTI BASTARDI!”
    “Tom…ma io che c’entro?”
    “E che ne so! Ti avrà visto scappare con me…corri!” accelerarono il passo, Tom più che motivato, Bill stanco ma atterrito, e l’uomo dietro come il concorrente di una corsa campestre.
    Fu un attimo, e Tom, in difficoltà per colpa del cavallo esageratamente basso dei pantaloni, piombò a terra.
    “Tom!” gridò Bill, fermando la corsa. Il gemello giaceva a terra e si teneva la caviglia con entrambe le mani “Tom alzati dai muoviti!” cercò di smuoverlo lui, ma Tom non si alzava; era troppo concentrato sul dolore da non accorgersi che l’uomo stava per svoltare l’angolo.
    Fu allora che percepì un forte colpo alla spalla. Gemette e si voltò.
    Venne scaraventato fra i bidoni dell’immondizia in un vicolo poco distante, e, dolorante, cercò di rimettersi in piedi “Sei pazzo? Hai idea di cosa ti avrebbe potuto fare mio padre se ti avesse preso?”
    “Beh…suppongo non vada in giro con una pistola nella tasca della giacca” disse Tom sorridendo amaramente. La caviglia gli faceva un male d’inferno, e l’occhio su cui aveva precedentemente ricevuto lo schiaffo stava gradando verso il blu cupo. Erin lo guardò seriamente preoccupata “Sei un vero pazzo…tutto questo per uno stupido cappellino...”
    “Uno stupido cappellino pagato la bellezza di cento dollari americani…”
    “Tom! Cristo, eccoti” esclamò Bill, entrando nel vicolo ombroso. Vide Tom, che contro il muro appoggiato ad un cassonetto dell’immondizia si reggeva la caviglia, e vide anche Erin, che gli si avvicinava per sorreggerlo. “Tom…forse è meglio se…”
    “Vi riaccompagno in albergo” intervenne la ragazza, passandosi un braccio di Tom sopra le spalle e tirandolo su. Il ragazzo assunse un’espressione di dolore, e provò a zoppicare di qualche metro in quella nuova situazione.
    “Te la sei cavata con una storta” disse lei, guardando il terreno, per controllare i movimenti del piede di lui “Se ti avesse preso forse la caviglia sarebbe stata la tua ultima preoccupazione.”
    “Grazie, mi hai proprio tolto un peso dal petto…” ridacchiò di rimando il rasta, appoggiandosi a lei. Bill si passò l’altro braccio di Tom attorno alle spalle e si diressero verso l’albergo.


    Bill entrò nella sua stanza e vi si chiuse a chiave. Tom non aveva voglia di chiedergli il perché…soprattutto per il fatto che lo sapeva. Erano le sue cazzate e farlo stare così male. Sempre.
    “Tom…vuoi che ti accompagno in stanza?” chiese Erin, mentre si dirigevano verso l’ascensore. Era evidente che da solo non ce l’avrebbe mai fatta, zoppicava come un agnellino appena nato.
    Presero l’ascensore, il solito ultimo piano, percorsero il corridoio fino alla stanza di Tom, dove aprirono con la chiave magnetica.
    Lo fece sedere sul letto “Va bene…ora io tolgo il disturbo” disse lei frettolosamente, senza lasciargli il tempo di replicare. Ma Tom la prese per un polso “Aspetta un attimo.” Disse con voce ferma. Erin si voltò e si sedette sul letto. “Dimmi?”
    “Grazie, Erin…”
    “Non c’è di che. Mi avrebbe fatto piacere vederti morto, ma la mia parte buona ha preso il sopravvento…”
    “Puoi anche non scherzare…”
    Rimasero in silenzio. Tom si appoggiò piano il sacchetto col ghiaccio sull’occhio “Grazie, davvero. Strano che tu abbia voluto aiutarmi nonostante tutto…”
    “Già, insolita la cosa, non trovi?”
    Tom allungò una mano verso di lei. Ma la ragazza strisciò un po’ più indietro “Tom…”
    “Scusa.”. Sorrisero entrambi. Lui era così buffo; sorrideva nonostante avesse quell’occhio blu, e l’effetto era davvero comico. Lei rise.
    “Cosa c’è?” chiese lui, ma Erin non rispose, troppo divertita.

    “Erin…” chiese lui qualche minuto dopo “Com’è…sì, insomma…com’è essere incinte?”
    “Dipende”
    “Da cosa?”
    “Dipende dalla sicurezza che hai. Devi avere sicurezza.”
    “Che genere di sicurezza?”
    “Beh…se il padre di tuo figlio è l’uomo che ami, allora sei la donna più felice del mondo. Altrimenti è un inferno.”
    “Ah…” Tom preferì stare zitto. Forse lei voleva farlo sentire di nuovo in colpa…se sì ci stava riuscendo alla grande. Se no, era pura ingenuità dettata dall’istinto, che funzionava alla perfezione.
    Abbassò lo sguardo (quell’unico occhio con cui poteva vedere bene) e guardò istintivamente il ventre di Erin. La maglietta che indossava quel giorno era un po’ attillata.
    Provò una strana emozione nel vedere che già si intravedeva un po’ di gonfiore.
    “Tom…vuoi provare?”
    “…Cosa?” chiese lui distogliendo lo sguardo. L’aveva beccato di nuovo, ma stavolta non sembrava arrabbiata. Gli tendeva la mano “Vuoi provare a sentire?” Tom un po’ titubante gli diede la mano. Lei la prese nella sua, e si sollevò appena la maglietta, lasciando scoperto il ventre, e vi poggiò la mano del ragazzo.
    Il cuore di Tom iniziò a battere più forte.
    “Senti niente?”
    “Sì…qualcosa.” Istintivamente lui sorrise. È vero, qualcosa si muoveva là dentro. Da qualche parte là stava crescendo qualcosa che aveva in sé un po’ di lui. Lui era anche là dentro.
    “E’ ancora un po’ presto, forse...” rise la ragazza.
    “Come pensi di chiamarlo?”
    La ragazza si accigliò per qualche secondo, aggrottò la fronte, volse gli occhi al cielo. Non aveva ancora pensato come chiamarlo.
    “Non lo so…se è una femmina forse Erika. Ma sicuramente sarà una femmina…”
    “Erika?” Tom fece una faccia schifata, e rise “Che razza di nome è Erika? E poi chi l’ha detto che è una femmina? Sicuramente è un maschio. Io lo chiamerei Spike…”
    “Guarda che non è un cane, Tom” risero entrambi. Ma c’era qualcosa; Tom non riusciva a staccare la mano dalla pancia di lei. Abbassò la voce “Dici che ci sta ascoltando?”
    “Certo…da quanto ne so, può capire tutto ciò che diciamo.”. Il ragazzo sorrise.
    Si accostò piano con il viso alla pancia di Erin, e sussurrò “Uno…due…tre…prova!”
    “Ma dai!” rise lei, spingendolo da una parte. Entrambi si misero a ridere, poi Tom la zittì “Silenzio…magari sta dormendo!” lui allungò di nuovo la mano e le accarezzò piano il ventre.
    Erin non potè fare a meno di sorridere teneramente. Lui…lui stava parlando a suo figlio.

     
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  9. •B a b y W a y.
     
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    uaaaaa che dulse il miu Tomi!!!!!^^ continuala è veramente bella!!^^
     
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  10. ø¤º°°º¤Tokio Girl¤º°°º¤ø
     
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    povelo tommino...continuaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
     
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  11. martalabastarda
     
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    continua please! mi fà uno strano effetto Tom in versione padre....però è interessante!
     
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  12. °°Vanilla°°
     
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    Scusate la lunga attesa =P

    Buona Lettuuuuura XD



    “Svegliati, Tom…svegliati!” sentì una voce che lo chiamava insistentemente, e una mano che gli scrollava il braccio. Aprì gli occhi…per l’esattezza. Non poteva essere che Bill.
    “Cazzo vuoi a quest’ora?”
    “Se per quest’ora intendi le undici e mezza…”
    “Ah”
    “Muoviti, alza quel culo!”
    “Ma ho sonno…”
    “E’ tutta la notte che sei lì, non ti basta?”
    “No”
    “Oh, avanti…”
    “Bill…oddio Bill, sto per diventare padre” Tom si avviluppò ancora di più nelle coperte “Tra poco sarò il genitore di Erika…o Spike…boh…e si muove…siiii, si muove nella pancia…”
    Bill osservò con preoccupazione il fratello muoversi pigramente sotto le coperte “Tom?”
    “Mmmmh…Bill vai via…fammi rimanere solo. Solo col mio dolore…”
    “Tom, non sai quello che dici…stai sparando un mucchio di cazzate.”
    “Ma io ieri…ho sentito…e anche lui sente…quando faccio un due tre provaaa….”
    Bill capì che non era il caso di svegliare il fratello. Forse tutti quei pugni allo stomaco ricevuti dal padre di Erin il giorno prima gli avevano rovesciato il contenuto della vescica nel cranio, e il che equivaleva a dire che suo fratello in quel preciso istante aveva il cervello pieno di merda.
    “Tom…io…me ne vado. Se vuoi fare colazione…”
    “E chi vuole fare colazione?!”
    “Ok. Io…vado” Bill infilò la porta e scese nella hall, dove si sarebbe incontrato con Georg e Gustav.
    Tom rimase in quella stanza, colpito dai raggi del sole mattutini che gli toglievano la voglia di dormire ma lo impigrivano ancora di più.
    Si tolse le coperte dalla testa…aveva tutti i rasta alla rinfusa. Si guardò allo specchio di fronte al letto e rise da solo per dieci secondi. Com’è buffo…
    Perché si sentiva così strano? Forse…forse non voleva che accadesse…forse non voleva diventare padre…sapeva che quando il bambino sarebbe nato, lui non l’avrebbe potuto vedere. E in parte era un bene, perché una rock star che diventa padre a una così tenera età è parecchio compromettente per una buona carriera.
    E poi lui odiava i bambini. Sempre per quella roba lì…piscia, cacca, pianti.
    Però ieri, parlando di lui con Erin era stato così felice…così sollevato di parlarne con tranquillità e prospettiva, che forse si sentiva quasi pronto.
    Pronto per che? Cosa dici Tomi, tu non sarai mai padre, e non lo vuoi essere. Nemmeno a distanza.
    Ma hai idea del dolore che provocherai a quella ragazza?
    Io so solo che mi farà fuori se glie lo dirò a questo modo…
    E allora perché non provi a rimediare in qualche modo, Tomi?
    Oddio…sono pazzo, sono davvero pazzo stamattina, sto parlando con l’altra metà di me stesso.
    Buttò le coperte da un lato ed si alzò dal letto, stiracchiandosi. Si incamminò verso il bagno.
    Cavoli, che male alla caviglia…
    Ecco, allora per meglio dire zoppicò verso il bagno. Siamo precisi, per favore.
    Aprì la doccia e vi si infilò sotto. L’acqua inizialmente fredda lo scosse fortemente.
    E se quello a cui teneva non era il bambino che stava per nascere, ma Erin?
    No, io credo di non essere legato a nessuno…
    Allora, magari sei solo in colpa?
    Sì, questo si può considerare…
    Oddio, stava parlando di nuovo da solo…aprì di più l’acqua fredda e con piccoli lamenti si fece una doccia ghiacciata. Svegliati Tomi, svegliati!


    Tom, zoppicando leggermente, entrò nell’ascensore e scese nella hall, per poi recarsi al ristorante dell’albergo. Quella doccia fredda gli aveva fatto bene. Ora aveva le idee un po’ più chiare, anche se la confusione gli annebbiava ancora la mente.
    Ormai era tardi, e nella sala non c’era quasi nessuno; scorse verso il muro, seduti ad un tavolo, i tre ragazzi, in compagnia di due ragazzine in piedi di fronte a loro.
    “Ci fareste un autografo?”
    “Certo” rispose Bill, prendendo la penna e il cd che lei gli stava porgendo. Scrisse velocemente qualcosa e lo passò agli altri due. “Ecco a te” rispose Georg riconsegnandolo alla proprietaria. La ragazzina si guardò attorno spaesata “Ma dov’è Tom Kaulitz?”
    “Vuoi l’autografo?” chiese Tom comparendo alle sue spalle. Sorrise tristemente, ma senza darlo troppo a vedere. La ragazzina sorrise; ma certo.
    E Tom firmò anche questa…mentre le due ragazzine se ne andarono via col sorriso sulle labbra.
    “Vedo che ti sei degnato di scendere fra noi comuni mortali” lo sbeffeggiò Gustav giocherellando con la tazza del cappuccino, beccandosi un’occhiata cattiva da parte di Bill. In effetti, forse era meglio lasciarlo in pace…
    “Scusate. Ero molto stanco…”
    “Sì Tomi, ti capiamo” rispose frettolosamente Georg “Io al posto tuo non so cosa avrei fatto…”.
    Rimasero in silenzio. L’unico rumore era quello proveniente dagli altri pochi clienti rimasti in sala e, terribilmente fastidioso, quello prodotto dalla tazzina che Gustav faceva rullare avanti e indietro sul tavolo, assorto nei suoi pensieri. Poi si fermò. E scese ancora il silenzio.
    Tom si mise la testa fra le mani “Secondo voi cosa dovrei fare adesso, ragazzi? Insomma…io…”
    “Ma Tomi, dipende” intervenne Bill a bassa voce “Se ci tieni…”
    “Naturalmente premesso che io non ci tengo…”
    “Ma se ieri ti ho visto così…” Gustav si sporse per tappare velocemente la bocca a Georg. Eccolo là, non poteva mancare. Tom sollevò un sopracciglio “Visto cosa, Georg?”
    “Lui?” ridacchiò scherzosamente Gustav “Cosa vuoi che veda lui?”
    “Oh, andiamo Gus…non mi avrete spiato?” i tre ragazzi diedero inizio ad un’imbarazzante silenzio fatto di sguardi significativi. Sul volto di Tom comparve un’espressione di totale disprezzo “Siete dei coglioni…lo sapete, vero?” fecero sì con la testa. Effettivamente, non avrebbero dovuto, era vero. Ma insomma…dovevano capire come avrebbe reagito Tom. Dovevano sapere se ci sarebbero stati problemi…e a quanto avevano visto la sera prima, Tom sembrava non porsene più di tanti. “E’ stata una cazzata, Tomi…lo sappiamo benissimo” Bill cercò di non lasciar precipitare la situazione “Ma…scusa Tom, ma adesso…noi abbiamo visto come ti sei comportato, e ci sei sembrato molto motivato. Sei stato a dir poco paterno…e se tu volessi essere padre?”
    “Spero stiate scherzando!” sbottò allarmato il rasta. Smise di dondolarsi sulla sedia e posò le mani sul tavolo con decisione. Ma non parve convincente…forse perché era sul punto di piangere. Era tanto che non piangeva, ma l’emotività di quei tre giorni lo aveva reso davvero vulnerabile. Tanto da farlo addirittura piangere. Si asciugò velocemente le lacrime “Io non voglio. E se pensate che lo faccia per la ragazza…beh, forse avete ragione. Non voglio sapere quando nascerà, non voglio sapere proprio niente. Non voglio più rivedere lei. Per quanto mi riguarda…”
    “Tom, perché devi sempre fare il bastardo?” intervenne Georg, zittendolo. Aveva la sua solita voce calma “E’ inutile tutte le volte cercare di nascondere quello che si prova. Tu sei uno esageratamente rinco… perché non vuoi ammettere i tuoi sentimenti? O per lo meno, se non vuoi venirceli a confidare a noi, dillo a lei, che è la diretta interessata”. Tom non aveva parole. Perfetto Georg, sei riuscito a rovinare la nostra amicizia…no vabbè, questo era troppo. Però non poteva perdonargli di avergli levato così violentemente la sua corazza davanti a tutti. Davanti a Bill. Si alzò dalla sedia “Credo di aver fatto male a scendere. Torno in camera. Sono sicuro che starete meglio senza di me” il ragazzo si allontanò velocemente. Il dolore alla caviglia era niente pari a quello che stava provando per sopprimere le lacrime.

    Rimase chiuso nella stanza per tutto il pomeriggio. Cos’era…cos’era…perché lo stava provando? Qualcosa che, pur non essendogli nuovo, sentiva così estraneo. Un sentimento che lo faceva stare davvero male…Ora, cosa avrebbe dovuto fare? Si sedette sul letto e guardò l’orologio da parete. Tic-tac, tic-tac, tic-tac. Oh, che noia. E che angoscia…distolse lo sguardo. Erin. Era tutto lì quello a cui riusciva a pensare? Che grande sforzo d’immaginazione Tom, complimenti…


    Spero vi piaccia! Presto posterò il continuo..


    xxx
    simo
     
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  13. kate:)93
     
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    bella...bella....!
     
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  14. elekna
     
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    stupendaaa
     
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  15. °°Vanilla°°
     
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    Grazie Mille, molto gentili! ^^

    xxx
    simo
     
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85 replies since 27/11/2007, 22:14   1803 views
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