Attimi che cambiano la vita

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  1. ::ele::
     
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    Allora, eccovi la mia ficcy*-*
    Posto un po' di capitoli alla volta visto che in teoria sarebbe quasi finita^^
    Commentateeeee

    Capitolo Primo

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    Era il 9 giugno 2007.
    La fine della scuola.
    Il giorno più bello dell’anno per molti ragazzi e ragazze, che entusiasti si rincorrevano per i cortili delle scuole ormai deserte tirandosi gavettoni e secchiate d’acqua.
    Tutti pensavano già all’imminente estate, alle vacanze, alle nuove amicizie e al divertimento.
    Tutti, tranne me.
    “Oh Ele, allora cos’hai deciso? Vai in tram o vieni con noi in piazza?”
    “Vado in tram, sorry ma non sono in vena oggi.”
    “Ok, allora ci sentiamo dopo!”
    Erano le 11 di una bella mattinata calda, ma io avevo la mente persa in qualcos’altro. Arrivò il tram, ci saltai su velocemente e mi sedetti mettendo subito nelle orecchie il mio amato I-pod. Al solo pensiero che avrei dovuto passare tutta l’estate lontana dagli amici, dal mare, dalla libertà, da tutto, mi veniva da vomitare.
    Era già ora di scendere, cavolo. Non mi andava proprio di vedere mia madre, in quel momento la stavo odiando con tutta me stessa. Come aveva potuto farmi questo?! Mandarmi per tre mesi in Germania, paese che io Detestavo, fra l’altro in una famiglia sconosciuta, così, senza neanche tenere conto del mio parere. Io che in tedesco sapevo dire sì e no “Ciao come stai?” e “Io mi chiamo”. Tutto grazie alla sua amica che abitava là e che l’aveva convinta che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile e utilissima. Ma me l’avrebbero pagata, sia lei, a costo di piazzarle una bomba sotto casa ad Amburgo, dove SICURAMENTE sarei passata inosservata, che mia madre. Potevo sembrare una pazza con istinto omicida, ma quella era una delle poche cose di cui ero fermamente convinta in quel momento. Magari con metodi un po’ meno drastici, ma me l’avrebbero pagata.
    Eccola che arrivava in macchina per portarmi a casa.
    “Allora tesoro com’è andata oggi? Non ti sei bagnata vero?? Perché se ti ammali adesso è una tragedia! Devi partire fra una settimana!”, mi disse lei con un sorrisetto preoccupato.
    ”Mamma per favore, ci saranno 35 gradi all’ombra! È Estate! ESTATE! E per tua informazione me la stai rovinando! Ti odio. Odio te e la Germania”
    “Ma insomma, Elena, ne abbiamo già parlato! Tu fai un liceo con indirizzo linguistico, quindi mi sembra il minimo che tu possa fare! Basta discutere! Devi pensare al tuo futuro!”
    Odiavo quando mi chiamava con il nome intero. Bla bla bla. E poi chi aveva parlato?? Io no di certo. Nessuno aveva ascoltato il mio parere! E poi sempre con questa storia del futuro. Non ne potevo più. Ma tanto sapevo già che era inutile cercare di discutere con mia madre, voleva sempre avere ragione, nonostante sapesse che spesso non ce l’aveva per niente.
    Arrivammo a casa e io scappai subito in camera mia, noncurante di mia sorella che mi chiamava sventolando una lettera.
    “Non mi interessa, qualsiasi cosa sia! Per me potresti anche bruciarla!” le urlai incazzata.
    “Ma Ele, è la lettera della famiglia tedesca! Dai vieni a vedere almeno chi ti ospita! Ci sono anche le foto…”
    “Chia vaffanculo! Lo sai benissimo che io non ci voglio andare! Quindi non la tocco nemmeno quella lettera!”
    Sapevo che era ingiusto prendersela con lei, ma ero davvero disperata. Avevo già programmato di andare due settimane al mare con le mie amiche in Luglio. Avevo programmato di uscire tutte le sere e di rivedere quelle persone che d’inverno non vedevo mai. Avevo programmato di andare a quella festa, che organizzava LUI. L’avrei rivisto dopo due mesi che non lo sentivo più. Era strano ammetterlo, ma a me piaceva ancora. Moltissimo. Ma comunque era inutile pensarci, dato che era tutto andato a farsi fottere per colpa di mia madre e delle sue manie. Perché mio padre era partito? Perché doveva lavorare così lontano da casa? Almeno lui mi avrebbe aiutato. Spensi il cellulare e mi buttai sul letto, piangendo. Vaffanculo vita! Vaffanculo a tutto!! Perché ero sempre così sfigata??? Uffa.


    Capitolo Secondo

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    Passarono sei giorni e io mi ritrovai con l’umore sottoterra e con una valigia vuota tra le mani, tutta da riempire. Ah giusto, anche con mia madre che vagava per la casa urlandomi dietro le centinaia di cose che dovevo prendere. Era talmente sclerata che sembrava dovesse partire lei al posto mio. Ma prego! Per me non ci sarebbero stati problemi, anzi. Purtroppo, però, la dura realtà era che fra esattamente 24 ore avrei dovuto essere sull’aereo che mi avrebbe portata a Francoforte, da dove poi avrei preso un bus diretto in una cittadina di cui non mi ricordavo neppure il nome da quanto mi interessava. Bene! Non sarebbe bastato passare 3 preziosissimi mesi della mia esistenza in Germania, sola e sconsolata, ma avrei dovuto farlo addirittura in un posto sperduto che non conosceva nessuno! Almeno fossi finita in qualche città grossa ed importante dove fare shopping (e soprattutto da dove sarei potuta scappare più in fretta e più facilmente)..
    Giacca, maglioni, jeans, camicie, beauty, biancheria.. Ecc, ecc.. Ok, c’era tutto. Sembrava che dovessi partire per il Polo Nord! Ma porca miseria, neanche il clima mi sosteneva. In Tedeschia (è così che mi divertivo a sfottere il nome della mia prigione) ci sarebbero stati sì e no 15/20 gradi. Tradotto, nemmeno l’ombra di un top o pantaloncini corti, per non parlare di costumi da bagno. Com’ero felice. Mi ficcai sotto le coperte depressa. Non ero mai andata a dormire così presto. Ma non ce la potevo fare a reggere per l’ennesima volta i discorsi stupidi di mia madre sull’autodifesa in caso di agguato in aereoporto o sul bus. Mi addormentai in fretta, piena di rimpianti sulla bella estate che avrei voluto passare.
    Ronf, ronf..
    “Elenaaaaa, SVEGLIATI!! Sono le 7!! Vuoi perdere l’aereo??”
    “Sì, magari.” Dissi io strabuzzando gli occhi. “Mamma, ma sei impazzita? Non c’è bisogno di sbraitare così! Ho ancora l’udito buono, se non ti spiace”
    “Oh insomma, muoviti e vestiti! Finisci la valigia! Prepara la borsetta! I soldi! I documenti! La macchina fotografica! Hai caricato il cellulare?? Prendi anche…”
    “Mamma, ti prego, taci! Fammi almeno questo favore! Non rovinare anche i miei ultimi attimi di vita sotto questo tetto!”
    “Bene come vuoi! Non lamentarti poi quando ti accorgerai di esserti dimenticata delle cose!”
    “Ah guarda, non c’è problema! Torno a casa immediatamente a prenderle. E poi ci resto anche.”
    Sentii un bruciore agli occhi e scappai in bagno, dove potei finalmente rimanere da sola. E piangere senza che lei mi vedesse, senza dargliela vinta anche quella volta. Forza Ele, ce la puoi fare. Alla fine cos’erano 3 mesi? Sarebbero passati velocemente e nemmeno mi sarei ricordata di quell’ estate di merda. Così mi lavai, mi vestii, mi truccai e presi la valigia in mano. Oddio quanto pesava. Per fortuna almeno su quello mia madre non aveva ancora detto niente.
    “Quanta roba ci hai messo in quella valigia? Guarda che se poi ti mettono la tassa in aereoporto la paghi con i tuoi soldi!”
    Ah ecco. Le ultime parole famose. Mi sembrava troppo bello per essere vero.
    Mi fiondai in camera della mia sorellina. Stava ancora dormendo. Non la volevo svegliare, ma appena mi avvicinai al letto lei balzò seduta sul materasso.
    “Vorresti andartene senza salutarmi eh!” disse saltandomi al collo.
    “Chiara così mi strozzi! Anzi, buona idea! Uccidimi finchè sono in tempo…”
    “Dai Ele, guarda che ti divertirai un casino! Ah giusto, devo dirti una cosa sulla tua famiglia tedesca.. Mi sono informata su Internet e ho….”
    “No guarda, evitiamo l’argomento! Finchè non vedrò il cartello con scritto “Sei in Germania, preparati alla morte” non voglio neanche pensarci!”
    “Sì ma è importantissimissimo!”
    “Chia, devo proprio andare. Anche perché mi sa che se non mi sbrigo fra poco arriverà la mamma munita di ascia e minaccerà di dividermi in due se non esco subito di qui. Fai a modo sister!” la baciai affettuosamente e mi avviai verso l’uscita della stanza, guardando tutti i poster che aveva attaccato recentemente. MCR, Green Day, tanti altri gruppi che non conoscevo. Poi notai che c’è n’era uno piccolo, vicino alla porta. Tokio Hotel. Ma chi saranno stati poi. Di sicuro una band di ragazzetti che volevano solo farsi notare. Ma non avevo più tempo per pensare a quelle cose così terribilmente irrilevanti ed uscii. Presi la valigia, la borsetta e scesi le scale. Fuori dal cancello c’era già il taxi che mi aspettava per portarmi a Milano. La mia cara mammina aveva infatti avuto la brillante ed astuta idea di non portarmi di persona all’aereoporto, perché l’avevo più volte minacciata che mi sarei buttata giù dalla macchina appena avrei potuto o che avrei comprato per l’occasione lo spray anti-aggressione al peperoncino per spruzzarglielo negli occhi e farla sbandare; l’ospedale, se non addirittura la tomba, erano comunque prospettive migliori della Germania. Mia madre fingeva di essere disperata per la mia partenza, come ogni buona madre che si rispettasse, io invece non contraccambiai neppure il suo lungo abbraccio e ficcai l’enorme bagaglio nel cofano dell’auto. Salii in macchina e fissai mia madre con uno sguardo da Spero-Che-Tu-Inciampi-In-Qualche-Scalino-O-Che-Ti-Metta-Sotto-Un-Tir-Molto-Pesante. Sapevo che non era una cosa molto carina da augurare a una madre, ma ultimamente non la sopportavo più. Mi faceva diventare isterica. Poi se avesse potuto mi avrebbe pure sventolato il fazzoletto bianco come nei film. La detestavo. E mentre pensavo a tutte queste belle cose, il taxi partì. Così vidi scomparire la mia bella e amata casa, il mio gigantesco giardino, il mio cagnolone che avevo addirittura dimenticato di salutare, la villetta di Marco il mio vicino di casa che non vedevo da tantissimo tempo. Osservai scorrere sotto di me la strada che facevo tutti i giorni in scooter per andare in palestra, la strada che facevo per andare a prendere un gelato con le mie amiche. Chissà cosa avrei fatto l’indomani a quell’ora. Chissà dove sarei stat, ma soprattutto con chi. Accesi subito l’I-pod con la riproduzione casuale e alzai il volume al massimo. Tanto per rallegrare un po’ la situazione mi venne scritto sul display “Home” di Michael Bublè.

    Another aeroplane,
    another sunny place
    I’m lucky, I know...
    but I wanna go home
    I’ve got to go home
    Let me go home…


    Ecco appunto! Lasciatemi tornare a casa!! Pensai a come corrompere il taxista e convincerlo a tornare indietro. Mmm, avrei potuto offrirgli i miei risparmi! E anche mia madre se la voleva! Ma sapevo che era tutto inutile, quindi continuai ad ascoltare la musica, mentre una lacrima calda e lenta mi scese sulla guancia rosata dal fard.


    Capitolo Terzo

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    “Eccoci arrivati! Siamo all’aereoporto piccola.”
    Piccola sarà poi tua sorella. Glielo stavo per dire, ma poi pensai che me la sarei presa di nuovo con la persona sbagliata. In fondo il taxista stava solo cercando di essere gentile.
    “Da quanto hai parlato durante il viaggio credo di aver capito che non sei molto vogliosa di partire..”, mi disse lui sbadigliando.
    “Eh già, ma sa mia madre ha ancora il potere su di me. Però appena avrò 18 anni la storia cambierà..”
    Lui sorrise e assunse uno sguardo di compatimento. Quindi decisi di prendere in fretta la valigia e andare. Ma porcamiserialadra non mi ricordavo che fosse così pesante! Mi stava per crollare per terra, ma fortunatamente riuscii in fretta a riprendere l’equlibrio e avanzai fingendo che non fosse successo niente. Lo sguardo del taxista esprimeva ancora più compatimento. Ma và al diavolo. Tre minuti prima ero la sua “piccola” e poi non smuoveva nemmeno un dito per aiutarmi e salvarmi dall’abbordaggio del valigione abnorme. Tutti uguali (e inutili) gli uomini. Dopo ore di cammino riuscii finalmente ad orientarmi e a imboccare la strada giusta per il check-in. Odiavo gli aereoporti. Ore di file, mille controlli, attese lunghissime. Per non parlare del fatto che, sfigata com’ero, mi capitava sempre il metal detector tarocco che suonava per una minima molletta messa fra i capelli. Finalmente era il mio turno. La ragazza allo sportello mi chiese la carta d’identità. Tirai fuori il portafoglio ed eccola ancora lì. Non la carta d’identità, ma la sua foto. La foto di Carlo. Non era il mio ex, no assolutamente. Diciamo che avevamo un conto in sospeso. Avevo capito di essermi innamorata di lui perché era un anno e mezzo che stavo male. Solo per lui. Era una storia un po’ triste, quindi decisi di non pensarci più e di dare la carta d’identità alla povera ragazza che mi stava fissando un po’ preoccupata. Eh, non era colpa mia se Carlo mi faceva ancora quell’effetto. Senza volere mi scappò un sorriso; la ragazza decise definitivamente che non ero del tutto normale. Pazienza. Dopo tutti i vari passaggi burocratici arrivai finalmente nella sala d’attesa. Ero lì, tutta sola, e pensavo. Pensavo che avrei potuto ancora salvarmi, spacciandomi per una seguace di Bin Laden e minacciando tutti di morte, facendomi così sicuramente espellere dall’aereoporto. Oppure, via molto più semplice, sarei potuta tornare indietro. Era una parola. Quante volte avrei voluto riavvolgere tutto e fare scelte diverse.
    “Il volo diretto a Francoforte è in partenza al gate 9. Ripeto, il volo diretto a Francoforte è in partenza al gate 9.”
    Ok. Era l’inizio della fine. Un bel respiro e via.
    Dopo il lungo corridoio mi aspettava un passaggio che collegava l’aereoporto direttamente al mio aereo. L’oltrepassai in fretta, non vedevo l’ora che fosse tutto finito. Presi posto nel sedile che mi era stato assegnato sul biglietto e aspettai che salissero tutti gli altri passeggeri. Speravo che almeno il viaggio non fosse straziante. E per una volta fui accontentata: un ragazzo biondo, piuttosto pallido, abbastanza alto e robusto si mise a sedere proprio di fianco a me. Dio esisteva allora!! Con questo non volevo dire che mi fossi innamorata del tipo, ma almeno ero sollevata di non avere di fianco un cinquantenne grasso e flaccido che soffriva di mal d’aereo. Fu proprio lui a parlarmi per primo.
    “Hallo, wie geht’s?“
    Ok. Era tedesco. Solo per quel motivo avrei potuto sputargli in faccia. Ma decisi che in fondo era stato carino, quindi decisi di rispondergli gentilmente. Anche perché ero riuscita miracolosamente a capire cosa mi aveva chiesto.
    “Gut danke! Aber ich bin Italienisch..“, provai a dirgli che ero italiana, così forse mi avrebbe parlato in inglese.
    Infatti..
    “Ah scusa, allora è meglio così! Comunque piacere, io sono Andreas!”
    Mi stava già simpatico. Parlammo molto durante il viaggio, soprattutto della Germania e della mia situazione, che non ero riuscita a nascondergli.
    “Vedrai che andrà tutto bene” disse cercando di consolarmi. “Ma dov’è che abita la tua nuova famiglia?”
    “Ehm.. in verità non me lo ricordo neanche!” gli risposi un po’ imbarazzata.
    Lui mi sorrise in un modo dolcissimo. Nonostante non fosse il mio tipo ideale di ragazzo, era riuscito a sciogliermi un po’ e a farmi sentire meglio. Molto meglio. Anche se l’avevo appena incontrato mi sembrava di conoscerlo da una vita: era spiritoso, allegro, ma anche tenero e riflessivo. Purtroppo il viaggio stava per finire.
    “Ok Ele, facciamo che ti lascio il mio numero, così se decidi di scappare o se hai bisogno di qualche aiuto per il tedesco, ci sono io!”. Io avrei voluto appendermi a una sua gamba e non staccarmi più. Andare con lui ovunque fosse diretto. Ora che ci pensavo avevamo parlato praticamente solo di me durante il viaggio. Ma anche se non volevo ammetterlo a me stessa, sapevo benissimo che non l’avrei rivisto mai più.
    Ci scambiammo comunque il numero di cellulare e dopo 5 minuti scendemmo dall’aereo.
    “Allora ci si vede bella italiana!” disse lui schioccandomi un bacio sulla guancia. Io lo abbracciai e per un momento quasi interminabile rimanemmo a guardarci negli occhi senza dire niente. Poi mi voltai e senza più girarmi uscii dall’aereoporto.
     
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  2. elekna
     
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    incantata è stupenda devi postare subitooo ;)

     
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  3. Oo.eleh.oO
     
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    sono curiosissima di sapere come continua..è particolare come FF non è banale...in parole povere è stupenda!!!!
     
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  4. ::ele::
     
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    Grazie^^
    Posto subito altri capitoli ^_^

    Capitolo Quarto

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    Bene. E adesso cosa cavolo faccio? All’improvviso mi ricordai del bus. Piccolo problema. Come facevo ad arrivarci?? Ero nel panico più totale. Avevo voluto rimanere estranea ad ogni costo a tutto ciò che riguardasse il viaggio, senza rendermi conto che poi non avrei più saputo come fare. E infatti ora mi trovavo lì, nel bel mezzo dell’aereoporto di Francoforte, grosso tre volte quello di Milano, senza avere la più pallida idea di come procedere. L’unica soluzione rimaneva andare a chiedere a qualche Info-point. Così feci, mi trascinai la valigiona appena recuperata ed arrivai allo sportello delle informazioni. Per mia grandissima fortuna il tipo era uno gentile e non nevrotico e scazzato come sono di solito quelli che invece di aiutarti ti fanno venire ancora più dubbi. Mi spiegò che dalla fermata numero 3, l’unica cosa che sapevo era quella, partiva il bus per Loitsche. Finalmente venni a conoscenza della mia destinazione. Loitsche. Mah. Mai sentita nominare. Seguii le indicazioni del ragazzo ed arrivai incolume all’enorme parcheggio dei pullman. 1, 2.. 3! Trovata. Caricai la valigia e salii. L’autista mi disse che sarebbe partito dopo 10 minuti, ma io decisi di sedermi subito. Osservai bene le persone che erano già sopra al bus. Tre vecchiette che parlottavano cose indecifrabili, un uomo piuttosto strano e mezzo ubriaco che sonnecchiava su due sedili, una signora con il figlioletto e un gruppo di giapponesi che non persero nemmeno quell’occasione per fare foto. Loro almeno ridevano e sembravano felici, io mi sentivo malissimo. E soprattutto sola. Per fortuna il pullman partì, perché stavo per compiere la cazzata di scendere e scappare. Dopo non avrei davvero saputo dove andare. Mi stesi anch’io come l’ubriaco, e cercai di dormire, ma ovviamente non ci riuscivo. Il viaggio durò 3 ore.
    Vidi comparire all’improvviso un grande cartello con scritto in maiuscolo “LOITSCHE”. Eccomi, arrivata. Tirai fuori dalla borsetta i documenti con l’indirizzo della mia nuova famiglia. Per fortuna il parcheggio era pieno di taxi; ne chiamai uno e mostrai all’autista il foglio con la mia meta. Dopo circa un quarto d’ora si fermò, lo pagai e scesi. Il cuore mi salì in gola. La casa era grande e bianca, con un ampio giardino intorno. Trovai l’enorme cancello già aperto, quindi decisi di entrare e bussare direttamente alla porta. Sperai con tutte le mie forze che nessuno venisse ad aprire. Ma ecco che in una frazione di secondo si spalancò e mi ritrovai di fronte uno strano ragazzo vestito in maniera decisamente curiosa, con i lunghi capelli rasta raccolti in una coda infilata in un cappellino da rapper. Il suo sguardo era apatico, come se si fosse appena svegliato. Erano le 4 di pomeriggio, quindi la cosa mi parve un po’ strana. Mi guardò per un attimo e poi mi disse:
    “Wir brauchen nichts zu kaufen, danke” (“Non abbiamo bisogno di comprare niente, grazie“) e mi richiuse la porta in faccia.
    Perfetto! Mi aveva appena scambiata per un venditore porta a porta. Non avevo davvero parole. Quindi contrallai di nuovo, ma l’indirizzo era giusto. Fortunatamente dopo pochi secondi si spalancò per la seconda volta la porta e ne uscì una bella donna bionda e piuttosto giovane, che continuava a ripetere “Tut mir Leid! Tut mir Leid!” (“Mi dispiace, mi dispiace!”) agitando le braccia verso di me. Poi, vedendo l’espressione pensierosa sul mio viso, si mise a parlare in inglese. Notai che aveva una pronuncia perfetta.
    “Scusaci tantissimo, quello che ti ha aperto prima era mio figlio Tom, anche se credo che tu sappia già chi sia. Perdonalo, ha sempre la testa fra le nuvole!”
    Non afferrai bene la frase “Anche se credo che tu sappia già chi sia”, ma la lasciai continuare.
    “Tu devi essere Elena! Benvenuta in questa casa!” mi disse con un sorriso a 40 denti e trascinandomi dentro insieme alla mia fedele valigia.
    “Io sono Petra! Molto piacere!” e mi strinse la mano. Io ricambiai gentilmente la stretta e la ringraziai dell’accoglienza.
    “Ora in casa ci siamo solo io e Tom, ma fra poco arriveranno anche Bill e mio marito. Vedrai che sarano entusiasti di conoscerti!”
    Sì, pensai, sempre che anche loro non mi avessero scambiato per una venditrice ambulante.
    “Vieni che ti mostro la casa e la tua camera!”
    L’edificio era magnifico, molto lussuoso e moderno, diverso da come appariva all’esterno. Mi fece entrare in tutte le stanze, descrivendomele accuratamente, finchè arrivammo ad una camera che comunicava con un’altra mediante una porta. Al momento era chiusa, quindi non potevo vedere cosa ci fosse oltre.
    “Eccoci arrivate! Questa sarebbe la stanza di Bill, ma lui te l’ha ceduta volentieri per questi 3 mesi che passerai con noi. Lui starà di là con Tom, tanto per loro non ci saranno problemi. Bè allora ti lascio sola per disfare i bagagli, anche perché penso che sraai molto stanca! Ci vediamo dopo” e così dicendo, uscì.
    Mi guardai attentamente intorno; i muri erano dipinti di celeste, con appese molte foto. Il letto era grande e morbido. L’armadio era spazioso e di fianco aveva una scrivania, con un computer sopra. Di fronte c’era una mensola, piena di targhette intitolate a dei certi “Tokio Hotel”.
    Quel nome mi era in effetti familiare, ma non riuscivo a ricordare bene dove l’avessi sentito. Decisi di vedere cosa c’era oltre alla famosa porta, cha troneggiava nella parete opposto a quella dell’armadio. Con la mano un po’ tremante afferrai la maniglia e proprio nello stesso momento l’uscio si spalancò.


    Capitolo Quinto

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    Manco a dirlo, mi ritrovai di fronte ancora quel benedetto ragazzo di prima, che scoppiò subito a ridere come un ossesso. Io lo guardai con occhi sgranati, cercando di capire cosa ci trovasse in me di così esilarante. Finalmente si calmò, e mi disse con un inglese un po’ incerto:
    “Ciao, io sono Tom! Scusa per prima, non sapevo che fossi tu quella che doveva arrivare!”
    Poi aggiunse con un sorrisetto malizioso che mi fece notare il piercing al labbro inferiore:
    “Comunque è strano che tu non mi sia ancora saltata addosso urlando e con la bava alla bocca!”
    Io lo scrutai dall’alto al basso e poi gli risposi ostile:
    “Guarda, io di solito non mi appendo al primo ragazzo che CERCA di fare il figo che incontro. Non sono messa così male”. Non so perché ma cominciava già a darmi sui nervi.
    “Uhh, ha carattere la ragazzina! Ok, come non detto. Adesso vado giù a mangiare qualcosa. Vieni con me?”
    “No grazie, non ho fame”, mentii. Ero super affamata, ma volevo restare un po’ sola. “E’ meglio che metta a posto la mia roba”. Gli lanciai un’occhiata un po’ gelida; lui scrollò le spalle e uscì dalla “mia” stanza trascinano i piedi come se avesse paura che da un momento all’altro avesse potuto perdere i pantaloni.
    Visto che finalmente avevo campo libero, oltrepassai la fatidica porta e rimasi di sasso.
    La stanza era grande e sommersa di vestiti sparsi ovunque, di cartacce di cibo e di lattine vuote. Ma la cosa che mi colpì di più fu un mobiletto pieno di chitarre stupende. Il letto enorme, ovviamente disfatto, era vicino a una grossa scrivania piena di fogli. Ne presi uno in mano e l’unica cosa che capii fu una frase un po’ insolita.
    Bitte, spring nicht.
    Oltre a quel foglio ce n’erano molti altri, pieni di accordi e scarabocchi. Non potevo credere che quell’automa spudorato e pompato fosse anche un compositore di canzoni.
    Continuai la mia ispezione, ma ad un tratto fui interrotta dal rumore di passi che si stavano dirigendo verso la stanza. Non feci in tempo a pensare a una qualsiasi buona scusa che subito mi apparve davanti un ragazzo ancora più strano di Tom.
    Era alto e molto magro, con un viso particolare, dai lineamenti leggeri e ben definiti, gli occhi truccati di nero, un piercing al sopracciglio destro, le labbra sottili e uno sguardo stupito stampato sul volto. I capelli erano lunghi e corvini, piastrati in maniera da far assomigliare la pettinatura a una folta criniera che contornava il viso pallido. Mi colpirono molto le mani, una delle prime cose che ero solita guardare in un ragazzo: le sue erano lunghe e dalle dita affusolate, con le unghie ben tagliate e smaltate di nero e di bianco. Al contrario di Tom, era vestito con pantaloni piuttosto attillati e una t-shirt che a me non sarebbe passata neanche per il collo. Era davvero notevole la somiglianza che aveva con il fratello, nonostante avessero stili completamente diversi.
    “Ehm, ciao! Io sono Bill, mia madre mi ha detto che sei arrivata qualche ora fa! Ma credo che tu abbia sbagliato stanza, la tua è quella di là!” mi disse allegro.
    Oddio, cominciavo già a fare figure di merda. Però almeno era stato gentile.
    “Sì, scusa, hai ragione!” gli risposi imbarazzata. “Comunque piacere, io sono Elena”
    Ci sorridemmo impacciati e feci per uscire, quando, non so come, mi venne da chiedergli:
    “Ma è tuo fratello che scrive canzoni e suona? Perché ho visto i testi e le chitarre..”
    Lui scoppiò in una sonora risata. Ma insomma, ero davvero così stupida?? Per la seconda volta nello stesso giorno dovetti aspettare che il mio interlocutore la smettesse di sfottermi beatamente. Bill mi rispose:
    “Come, davvero non sai niente?? Davvero non sai chi siamo?”.


    Capitolo Sesto

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    Io ci rimasi di merda. Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere. Provai a ricordare se avessi mai visto i loro volti da qualche altra parte, ma non mi veniva in mente niente.
    “Ehm, veramente no..” fui costretta ad ammettere.
    Bill mi prese per un braccio e mi mostrò i testi delle canzoni, i premi e le foto.
    “Io e il mio gemellino suoniamo in un gruppo insieme a due nostri amici, Georg e Gustav. Wir sind Tokio Hotel!”.
    E così ricordai. La lettera, mia sorella, il poster. Oh cavolo. Uno dei cosiddetti “ragazzetti che volevano solo farsi vedere” era lì davanti a me. Ed ecco perché Bill e Tom erano così simili! Erano gemelli… Mio Dio.
    “In effetti non mi stupisco che tu non ci conosca, per ora abbiamo avuto successo per lo più qui in Germania e in Francia. In Italia siamo ancora sconosciuti”
    “Ma scusa, allora perché io sono qui? Cosa c’entro?”, mi venne spontaneo chiedergli.
    Mi trovavo in casa di due ragazzi idolatrati da migliaia di persone e che potevano avere tutto ciò che desideravano. E dicerto non avevano tempo da sprecare con una sconosciuita venuta in vacanza studio. Non riuscivo a capire.
    “Adesso siamo in pausa dal lavoro, ma nostra madre ha voluto che quando rinizieremo ci sia accanto una persona estranea, che riesca a stare con noi senza assalirci. Ormai non riusciamo a muoverci senza guardie del corpo. Quindi ha scelto te, approfittando anche del fatto che così avremmo potuto migliorare un po’ il nostro inglese”.
    Rimasi dispiaciuta dalle sue parole, doveva essere abbastanza dura la loro vita, privata di molte libertà.
    “Va bè, adesso mi vado a fare una doccia. Hai due possibilità: o mi segui o ti prendi il nostro ultimo cd in inglese che è là sulla scrivania e te lo ascolti per bene. Così poi mi dirai cosa ne pensi”.
    Gli sorrisi e propesi per la seconda opzione. Lo salutai, presi il cd e tornai nella mia stanza.
    Stereo, play, volume.

    You get up
    And somebody tells you
    Where to go to


    Mi immedesimai subito nelle parole di Bill. Il ritmo era piacevole e dovevo ammettere che anche Tom non era niente male alla chitarra. La canzone si intitolava “Scream”.
    Ascoltai tutti i brani, dal primo all’ultimo.
    Le mie conclusioni erano che Bill aveva una voce magnifica e che i testi tutto sommato mi piacevano. Insomma, erano un buon gruppo, anche se li conoscevo ancora pochissimo.
    Mentre pensavo a queste cose sentii bussare alla porta.
    “Avanti!”. Era Bill.
    “Allora? Cosa ne dici?”
    “Bè devo dire che mi piace tutto il cd. Complimenti”. Mi ero fatta un’idea sbagliata di loro.
    Bill sorrise compiaciuto e nel mentre si passò la lingua sul labbro superiore; facendolo mi fece notare un particolare che mi era sfuggito sino a quel momento. Aveva un piercing sulal lingua, ovvero dove avrei voluto averlo io.
    Cominciai a pensare che forse quei tre mesi non sarebbero stati poi così tragici come temevo..


    Grazie ancoraaa^^
     
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    Capitolo Settimo

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    Dopo qualche ora scesi con Bill per la cena.
    La tavola apparecchiata era semplicemente favolosa, curata al massimo. Per non parlare dei piatti che c’erano sopra! Uno spettacolo. Petra mi fece sedere di fianco a Tom, di fronte avevo lei e Bill, mentre a capotavola sedeva quello che doveva essere Hans. Aveva una faccia simpatica; era senza dubbio un bell’uomo, moro e con la carnagione abbastanza pallida. Mi raccontarono un po’ della loro vita, del fatto che i gemelli non erano i veri figli di Hans, del loro amore spropositato per la musica, del loro rapporto precario con la scuola, nonostante avessero dei bellissimi voti entrambi.
    “Mammina, non preoccuparti, ci pensa lei a farci da maestra” sbottò Tom sporgendosi verso di me.
    Mi girai verso di lui con uno sguardo pietoso; se era una battuta aveva fatto ridere solo Hans. Ecco da chi aveva preso quel marpione di Tom.
    Finita la cena tornai su, dopo aver dato la buonanotte ai miei nuovi “genitori”. Ascoltai la musica per un po’ e poi decisi che era meglio andare a dormire dato che la giornata era stata piuttosto stancante. All’improvviso mi ricordai che dovevo chiamare mia madre. Me ne ero completamente scordata. Presi il cellulare e trovai sul display 27 chiamate senza risposta. Ops. C’erano anche 2 messaggi: uno ovviamente di mia madre. Diceva:”Insomma Elena vuoi deciderti a chimarmi??”. Avrebbe potuto benissimo chiamare al telefono fisso di casa Kaulitz, che era scritto sulla lettera, ma sapevo che non si sarebbe mai attentata perché il suo inglese era pari a quello del mio cane.
    Composi il numero di casa e appena un nanosecondo dopo rispose la voce di mia madre: “Sì pronto?? Ele sei tu??????”. Doveva essere attaccata all’apparecchio da un bel po’.
    “Sì mamma, sono io…..”
    “Alleluia!!! Stavo per chiamare la polizia!! Mioddio, mi hai fatto stare tremendamente in pensiero!! Ma sei impazzita?? Ormai mi veniva un infarto!!”
    Ovviamente tutto questo lo disse con una voce che avrebbe sentito anche un sordo.
    “Ehm bè, ciao anche a te mammina!”
    “Ciao un cavolo! Come stai? Com’è la casa? Ti danno da mangiare?? Ti sfruttano??”
    “Ma oh, cosa dici! Mi trovo bene tutto sommato, e sono ancora viva.”
    Non avevo per niente voglia di sentirla. Però rimasi ad ascoltarla per farla contenta.
    La telefonata durò un quarto d’ora, poi finalmente mi disse: “Ok, ci sentiamo domani! Ti saluta la Chiara!”
    “Ok mamma, notte” e misi finalmente giù.
    Mia madre era definitivamente senza speranza.

    Il mattino seguente mi svegliò un urlo disumano seguito da strani versi YO-YO che provenivano dalla camera dei gemelli. Decisi di andare a vedere se era caduto qualcuno dal letto, ma appena entrai rimasi senza parole.
    C’era Tom impegnato in uno strano balletto in piedi sul materasso, con le cuffie nelle orecchie e solo i boxer addosso. Anche se era magrino, dovevo ammettere che aveva un fisico niente male. Ovviamente stava “cantando” a squarciagola. Appena mi vide entrare, si tolse le cuffie e mi chiese di salire a ballare con lui. Io non gli risposi neanche e tornai in camera mia.
    Ormai sveglia (purtroppo) andai in bagno, mi truccai, mi vestii e scesi per la colazione. Al tavolo c’era solo Bill che beveva un succo di frutta. Anche struccato era davvero bello.
    “Buongiorno Ele!” mi disse raggiante.
    “Ciao Bill! Anche te sei stato svegliato da quello psicopatico di tuo fratello??” gli chiesi.
    “Eheh, io ormai ci ho fatto l’abitudine! Comunque volevo dirti che fra poco viene qui un mio amico e credo che poi andremo fuori a pranzo insieme visto che i miei sono a lavorare. Ti va di venire con noi?”
    “Viene anche l’essere abominevole che ora è intento a dimenarsi sul letto?”
    “Mah, non gliel’ho ancora chiesto, ma visto che si tratta di mangiare credo che accetterà all’istante..”
    “Bè dai, vengo solo perché me l’hai chiesto te” gli risposi sorridendo.
    “Perfetto! Non vedo l’ora che arrivi Andr…”
    *DLIN DLON*
    “Ah eccolo! E’ arrivato”. Bill corse alla porta e la aprì velocemente.
    “Andy ciao!! Come stai amico??”
    “Benissimo Mackie! E lo scemo dov’è?”
    Già il fatto che questo misterioso amico chiamasse Tom “Lo scemo” me lo fece salire di 100 punti.
    “E’ di sopra che fa il cretino sul letto. Dai entra”
    E io mi sentii svenire. E mi mancò il fiato per qualche secondo. Era lui. Andreas. Era davanti a me, con la mia stessa espressione ebete stampata sul viso.


    Capitolo Ottavo

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    “Ma cosa vi sta succedendo?? State male tutti e due?” chiese Bill preoccupato.
    “Ehm.. veramente... Io.. Noi…” feci io balbettando.
    “Ele! Tu qui?? Sei finita nella famiglia di Tom e Bill?? Ma non ci posso credere!!” esclamò finalmente Andreas, correndo verso di me e abbracciandomi forte.
    “Andreas! Tu conosci i Kaulitz?? Oddio!! Che bello rivederti! Anche se è solo un giorno che ci siamo salutati all’aereoporto, mi sembrano passati anni!” gli dissi io.
    “Sono i miei migliori amici! Li conosco praticamente da una vita! Non ci posso davvero credere…”
    Bill continuava a guardarci perplesso poi disse: “Ehm scusate se interrompo questo bel quadretto ricongiunto, ma mi sembra di stare a “C’è posta per te”. Che ne dite di raccontarmi tutto? Come cavolo fate a conoscervi??”.
    Così io e Andreas gli spiegammo del nostro incontro e del viaggio in aereo.
    “Wow, non è molto originale dirlo ma non ci posso credere! Bè dai meglio se vi conoscete già!” fu il suo commento.
    Proprio in quel momento dove tutto sembrava andare bene, piombò nella sala Tom. Ovviamente saltò addosso ad Andreas, dopo averlo salutato con un “Bella fratello”.
    Dopodichè si mise a mangiare una bistecca. Stavo per vomitare il poco che avevo mangiato per colazione e anche la cena della sera prima. Una bistecca alle 9 di mattina??? Oddio! Va bè che in Germania avevano abitudini diverse, ma non credevo così tanto.
    Evitai di osservarlo mentre era intento a smangiucchiarsi felice la sua carne e continuai a parlare con Bill e Andreas.
    Dopo circa un’ora decidemmo di uscire e andare in centro. Bill si mise un cappello e gli occhiali scuri, Tom si infilò le cuffie nelle orecchie.
    “Ma guarda, direi che così sei irriconoscibile!” lo stuzzicai io.
    “Eh ma Ele, io a differenza di mio fratello non ho paura che qualche bella ragazza mi salti al collo mentre sono in giro. Anzi, non aspetto altro!”.
    Maniaco.
    Cafone.
    Non lo sopportavo.
    Va bene che era tutto sommato un bel ragazzo e pure famoso, ma doveva darsi una calmata!
    Ci venne a prendere un taxi. Bill salì davanti, io ero fra gli altri due. Il viaggio passò silenzioso, ma appena scendemmo dall’auto capii che finalmente stavo di nuovo bene.
    “Io direi che ci sta un po’ di shopping prima di pranzo!” esclamò Bill.
    “Sìììì che bella idea!” feci io felice.
    “Ma visto che ci sei tu Ele, oggi hai il comando. Portaci in tutti i negozi che vuoi e noi ti seguiremo!”. Bill mi guardò sorridendo.
    Ma quanto era tenero e sensibile?? Lo adoravo.
    “Perfetto” sbottai allora “allora si parte!”.
    Li trascinai in un centro commerciale enorme. Mi diressi subito in un negozio con abbigliamento anche per uomo: “Visto che comandante generosa che sono??”.
    Girammo in lungo e in largo quando trovai un paio di pantaloni per ragazzo stupendi. Erano abbastanza stretti, blu scuri e pure di marca.
    “Tooom… visto che oggi ho io il potere ti obbligo a provare questi!” e glieli allungai.
    Tom mi guardò sbigottito. “Ele io in quei cosi non ci infilo neanche un dito!”
    “Ma Tommy, ha ragione lei! Devi obbedire…” disse Andreas ridendo.
    Tom ci fulminò ed entrò nel camerino controvoglia. Poco dopo uscì.
    Stava da Dio.
    “Tom sono tuoi. Punto.”, gli dissi io subito.
    “Wow fratellino, ti stanno davvero bene!”. Bill era stupito quanto me. Finalmente Tom portava qualcosa con il cavallo più su delle ginocchia.
    “Eh bè, modestamente sono io che li rendo belli” disse lui malizioso.
    Niente da fare.
    Tom non sarebbe mai cambiato, nemmeno sotto tortura.


    Capitolo Nono

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    Io comprai un cappotto beige stupendo, Bill un paio di occhiali (visto che ne aveva pochi, ehh andava capito poverino), mentre Andreas si limitò a provarsi un cappello.
    Verso mezzogiorno ci dirigemmo in un ristorante che conoscevano loro. Stavamo per entrare, quando un grido acuto mi spaccò un timpano.
    “BILL!! TOM!! Oh mein Gott!!”
    Erano due ragazzine dall’altro lato della strada. Sembrava le stessero uccidendo a bastonate da quanto urlavano forte.
    “Wir lieben euch!!!”
    Bill si limitò a salutarle con la mano, Tom non le guardò neanche. Quindi entrammo nel ristorante.
    “Ma come fate a non stancarvi di queste tipe che non sanno fare altro che strillare come delle isteriche ogni volta che vi vedono?? Io mi porterei dietro un bazooka” dissi rivolta a Bill.
    “Ma dai Ele” mi rispose lui “sono le nostre fan, dobbiamo accettarle così come sono!”
    Mah.
    Ci sedemmo ad un tavolo circolare; il ristorante era uno di quei locali dove solo per sedersi si pagava una fortuna.
    “Oggi pomeriggio abbiamo le prove Tom” disse Bill.
    “Ma col cazzo! Bill siamo in pausa dal lavoro! Non se ne parla” rispose l’altro.
    “Dai fratellino, il produttore ha insistito che proviamo solo i singoli in inglese che usciranno prossimamente”
    “Che palle però! Io volevo dormire”
    Io scoppiai a ridere: “Bè dai, qualcosa di molto costruttivo devo dire! Se al mattino invece di trasformarti in uno scimpanzè dormissi di più, poi ti andrebbe anche di fare le prove!”.
    Tom mi guardò. Ma stavolta non aveva l’aria da furbetto come al solito. Era serio.
    “Oh ma che cazzo vuoi da me?? Non sai niente della nostra vita, sei una completa estranea e ti permetti anche di dirmi cosa fare? Ma stai zitta va” e si alzò di scatto dirigendosi verso i bagni. Io rimasi completamente impietrita.
    “Tom piantala! Dove stai andando?” disse Andreas ricorrendolo.
    “Ele scusalo, in questo periodo è un po’ così..” mi sussurrò Bill.
    “No Bill, sono io che dovrei tacere ogni tanto. Solo che non pensavo se la prendesse così! Vado a chiedergli scusa..”.
    E mi precipitai dietro ad Andreas. Quando arrivai davanti alla porta del bagno degli uomini, c’era lui fermo appoggiato al muro.
    “E’ inutile Ele, non vuole aprire a nessuno, non so che cazzo gli sia preso..”
    “Dai provo io”. Decisi di tentare anche se immaginavo già la risposta.
    “Tom sono l’Ele, ti prego aprimi! Scusa per prima… Non volevo offenderti”
    “Vattene” mi rispose ovviamente lui.
    “Dai Ele, andiamo se no rimarrà chiuso lì dentro in eterno” mi suggerì affettuoso Andreas.”Ok tu vai, io ritento poi arrivo”. Così lui tornò al tavolo.
    “Tom senti, scusa davvero, ma non credo di averti niente di sconvolgente! Stavo scherzando! Dai non fare il bambino, cazzo!”.
    E la porta si aprì di scatto. Tom aveva il viso segnato di lacrime. Mi prese per un braccio e mi trascinò dentro, richiudendo la porta alle sue spalle.
    “Stavi scherzando eh?? Ma certo, fai pure, tanto il povero idiota Tom che sa solo andare a letto con la gente non si offende per nulla! Sai Elena, mi sono davvero stancato di essere sempre preso in giro. Io non sono come Bill! Lui è perfetto, intelligente, sensibile, bellissimo, io sono solo il mostro maniaco che si veste da sfigato! Ma vaffanculo!”.
    Mi disse tutto questo fra i singhiozzi e intanto le lacrime continuavano a scendergli sulle gote.
    “Tom per favore. La gente non si inventa le cose, sei tu che non fai altro che pensare e dire quelle cose sulle ragazze! Oppure sei tu che sei un falso atomico, perché ti giuro che dal primo momento che ti ho sentito parlare ho avuto l’impressione di te che hanno tutti. Mi dispiace se ti fa soffrire, ma sei tu che te li cerchi questi commentini acidi.”
    Accadde tutto in un attimo. Tom uscì dal bagno di scatto senza neanche rispondermi. Lo seguii, ma era tutto inutile. Era già uscito correndo dal ristorante.
    Non mi rimaneva che tornare al tavolo.
    “Ehi bellezza, allora niente Nobel per la pace neanche a te eh?” mi chiese Andreas ridacchiando.
    Sapevo di avere ragione, di pensare davvero quelle cose che avevo appena detto a Tom.
    Ma allora perché avevo il magone? Perché mi sentivo tremendamente in colpa?
     
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  6. °Barbie
     
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    Bellissima..sei davvero brava! Scrivi troppo bene! :)
     
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5 replies since 2/12/2007, 15:45   122 views
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