=L'Appello-L'interstatale=

enzomma... particolare...

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  1. Kate ~
     
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    Io AMO Stephen King..!!!!!!!!

    Ad ogni modo, è stupendaaaaaa!!!!!!!

    Oddeo che male, i piedi inchiodati a terra..!!!!!!
     
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  2. °°Vanilla°°
     
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    Sì, forse soffre un pò... O.o

    SPOILER (click to view)
    Qual'è il suo libro che preferisci in assoluto? Io adoro Pet Cemetary e IT


    xxx
    simo
     
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  3. alexandra10
     
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    simooooooooooooooo che dolore!!!!!!!
    dai pero sono troppo curiosa vai avanti con la storia XD
    ma tutte al mio povero bill gli succedono? povero lo consolo io dai XD se magari ahahahha
    tadb un bacio
     
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  4. Kate ~
     
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    E' magnifica davvero..!!

    SPOILER (click to view)
    Li ho amati tutti, ma non riesco a non pensare a "La casa nel buio"e "Le notti di Salem"..
     
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  5. °°Vanilla°°
     
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    grazie mille, ragazze!!!!!! =*****

    SPOILER (click to view)
    la casa del buiooooo oddio io per quello ho perso la testa! E' il seguito dell'amuleto, che però non ho letto XD
     
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  6. Kate ~
     
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    Continua!!

    SPOILER (click to view)
    Io "Il talismano" l'ho letto prima di leggere "La casa del buio"..li ho letti uno in seguito all'altro..stupendi..!!

    A parte che mi sono piaciuti tutti..Cell, Cujo, Christine, I tommyknocker..insomma, ne ho letti un sacco..!!
     
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  7. °°Vanilla°°
     
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    SPOILER (click to view)
    oddio il talismano XD l'amuleto XDDD me scema
    ad ogni modo essendo così giovane ancora non li ho consumati tutti i suoi libri... però ne ho letti parecchi. è un grande. Beh, ora è meglio che mi metta all'opera XD


    xxx
    simo
     
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  8. Kate ~
     
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    Sì sì, continua!!!!!
     
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    O_______________________O
    avevo già letto questo capitolo...ma...ma...
    ma sono comunque senza parole!!!

    Brava continua

     
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  10. °°Vanilla°°
     
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    CONTINUO CAPITOLO PRECEDENTE

    “Mary, ti prego, non muoverti...”
    “AIUTAMI!” strillò, fra quelle lacrime disperate.
    Bill aggirò con cautela il divano. Scorse il viso di lei, rosso, rigato di lacrime, dall’espressione allucinata. E i suoi piedi. Oh, Cristo. I suoi piedi.
    Non aveva idea di come fosse avvenuto, ma di sicuro il colpevole doveva aver agito mentre lei ancora dormiva. E quando si era svegliata, al minimo tentativo di alzarsi... beh, ecco il risultato.
    “Ti scongiuro...”
    Il ragazzo si mise le mani sul capo, fissando quasi con disperazione quella scena. Fece qualche passo verso di lei, ma poi si fermò. Come avrebbe fatto a liberarla? Non voleva nemmeno pensarci. Fu scosso da un brivido nel momento stesso in cui quell’immagine gli attraversò la mente, e non si mosse più da dove si trovava.
    Chiamare l’ambulanza? Che scusa avrebbe presentato? Quante probabilità c’erano di avere un incidente del genere a causa di lavori casalinghi o altro? Avrebbero forse incolpato lui. Anche perché probabilmente Maryanne non avrebbe potuto testimoniare a suo favore in alcun modo.
    Sì, doveva liberarla. Ma... oddio, che schifo.
    Che cosa diavolo avevano usato per bloccarle i piedi al pavimento? Sembravano piccoli paletti rudimentali. Al buio non acquisivano una forma specifica, sarebbero potuti essere anche coltelli infilati a fondo nel piede.
    Come cazzo aveva fatto a non accorgersi di quello che le stavano facendo, mentre dormiva?
    Non riusciva a ragionare, bloccato dallo sgomento e dai continui gemiti di lei.
    Improvvisamente la ragazza alzò un braccio e puntò una mano tremante verso il telefono. Bill la fissò in quegli occhi imploranti, che non necessitavano di essere accompagnati da parole.
    “Mary, non posso chiamare nessuno. Ci andrei di mezzo. Cosa faccio? Cosa cazzo faccio? Oh, Cristo, Maryanne, dimmi tu cosa cazzo devo fare!”
    Lei, come spaventata dalle grida esasperate di Bill, abbassò lo sguardo e pianse più forte. Non poteva andare avanti così all’infinito. Doveva fare qualcosa, o nel giro di poche ore sarebbe morta dissanguata.
    Si diresse velocemente verso l’interruttore della luce, che accese.
    Represse la paura e le si avvicinò di più, guardandole i piedi. Sì, aveva proprio ragione, erano due coltelli da cucina, di quelli dal filo parecchio seghettato, che erano stati impiantati per quasi due terzi nei piedi della ragazza, che erano completamente sporchi di sangue fino alle caviglie. Notò che i due tagli erano stati allargati ulteriormente, e ora la lama batteva contro i lati ad ogni più piccolo movimento, provocandole forse un dolore allucinante. Probabilmente aveva tentato di toglierli da sé. Ma non aveva usato il metodo giusto. Non doveva staccarli dal pavimento, o si sarebbe rovinata con le sue stesse mani.
    “Mary, ho bisogno che mi ascolti. Ma devi anche rispondermi. Sei in grado di rispondermi?”
    Maryanne parve più spaventata che mai, ma fece cenno di sì con la testa. Bill continuò, ma preferì essere il più delicato possibile. Era già abbastanza traumatizzata.
    “Mi devi dire se hai un seghetto o qualcosa del genere.”
    La ragazza intuì al volo le intenzioni di Bill, e scosse convulsamente il capo, guardandolo, implorando pietà. Lasciami qui, piuttosto.
    Come farle capire che era necessario? Si fece ancora più vicino, fino ad entrare con un piede nella pozza di sangue. Forse aveva inteso male. “Mary... non ti voglio tagliare i piedi. È la lama che deve essere tagliata” richiamò a sé tutto l’autocontrollo di cui era in possesso, e fece un respiro profondo. Le prese le mani fra le sue, anch’esse sporche di sangue. “Avanti, dimmi dove posso trovarli. E’ importante per te, non per me. Per te, Mary.”
    Non pareva in grado di rispondere, era pallida come un cencio, e lo fissava allucinata. Forse si era un po’ tranquillizzata, ma continuava involontariamente a piangere e singhiozzare per lo shock.
    Allungò una mano insanguinata verso la porta della cucina, e puntò un dito tremante in quella direzione. Bill le lanciò un ultimo sguardo “Grazie” suonò pieno di gratitudine, cosa che gli parve ridicola. Si diresse verso la cucina, seguito dagli occhi impauriti di lei... che ricominciò presto a piangere disperatamente.

    “Dove cavolo le ha messe?” sibilò Bill, frugando a gran velocità in un cassetto di posate. Niente che potesse segare una lama di coltello.
    Stringeva con una mano il bordo del ripiano, mentre con l’altra scostava incurante tutte le vettovaglie che gli capitavano di fronte. Un qualcosa di robusto...
    Poi la sua attenzione fu attratta da un improvviso ricordo: aveva fatto alcuni lavori di manutenzione a casa di Maryanne, una volta. Forse sapeva dove trovare quello che stava cercando. Uscì dalla porta che dava sulla veranda, e là, cercando a tentoni nel buio, trovò una cassetta degli attrezzi. La portò in casa e la aprì.
    C’era di tutto là dentro. Iniziò a rovistare con foga fra martelli, chiodi, chiavi inglesi, cacciaviti, ignorando i graffi che si procurava man mano, con la sola speranza di trovare quello che cercava, quasi con frenesia. Tremava al solo pensiero di non fare in tempo, e tornare nel salotto, trovandosi di fronte la ragazza, morta. Perché lui aveva perso troppo tempo.
    Finalmente toccò qualcosa. Strinse la mano attorno all’oggetto, forse sulla lama, ma senza darvi peso, e lo estrasse con forza. Era una piccola e robusta sega. Fece una veloce prova per testarne la funzionalità sul tavolo da pranzo; ma un conto era segare quel legno friabile, un altro era provarci con un’altra lama ferrea. Non importava, quello era tutto ciò che aveva a disposizione.
    Si affrettò di nuovo verso il salotto. Nella frenesia si era quasi dimenticato di quello che lo attendeva nella stanza, e alla vista di Mary il cuore gli saltò di nuovo in gola.
    La ragazza, quando vide Bill che si avvicinava a lei con l’utensile in mano, iniziò a lamentarsi con più forza, e cercò di allontanarsi, ma l’effetto risultò nullo. Lanciò un grido e si strinse le ginocchia con le mani, guardandosi i piedi disperata, mentre alcune lacrime le cadevano sulle gambe nude.
    Bill si inginocchiò sul pavimento sporco di sangue, a pochi centimetri dalla ragazza, e guardandola accostò la lama dell’attrezzo a quella del coltello. Le dimensioni erano indiscutibilmente a vantaggio del primo.
    Iniziò a segare piano. Al primo movimento, però, la ragazza emise un grido, e tentò di afferrare i polsi di Bill per fermarlo. Sì, le stava facendo male, molto male. Ma doveva. Inavvertitamente lasciò cadere a terra l’utensile e si alzò in piedi. Diede un energico schiaffo a Mary.
    Lei lo fissò incredula, davvero senza riuscire a smettere di singhiozzare.
    “Devi collaborare” esclamò Bill, esasperato, guardandola con aria di sfida “Non intendo lasciarti qui. Stai ferma, per favore, lo so che fa male, ma ti prego, STAI FERMA.”
    Rimase per qualche istante a fissarla negli occhi, dopodichè si inginocchiò con cautela e prese fra le mani il seghetto. Mary chiuse gli occhi.
    E adesso cerca di non pensarci.
    Avanti, manca poco. Non urlare così. Non pensarci.
    Forza, ce la puoi fare, resisti. Ancora poco... ho quasi finito, ferma, ferma, non ti muovere.
    Mary, se strilli in questa maniera non riesco. Non ti voglio fare male, ma non devi muovere la gamba, o peggiorerai le cose.
    “Bravissima, Mary. Sei meravigliosa. Non piangere, ti prego... abbiamo finito” disse dolcemente Bill accarezzandole il viso con una mano sporca di sangue. La ragazza tremava convulsamente, e lo guardava, cercando nel suo sguardo un po’ di conforto. Per tutto quel dolore che stava patendo. Perché proprio a lei? Perché proprio a me?
    I manici dei coltelli giacevano a terra, segati con precisione, assieme al seghetto. Ora non restava che sfilarle i piedi dalle lame, e tutto sarebbe finito.

     
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    questo capitolo mi ha fatto venire la tachicardia...
    mi hai trasmesso un terrore assurdo...
    brava simoooooo...
    però che paura!!!!

     
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  12. Kate ~
     
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    Oddeooooo che doloreeeee!!!!!!!!!!

    Simo sei bravissima!!!!

    Complimenti!!
     
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  13. °°Vanilla°°
     
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    Oddiooooooooooooooooooooooooooo XP grazie!!!!!
    Me è morta sotto il peso dei vostri complimenti x__X

    xxx
    simo
     
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  14. alexandra10
     
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    simo questa storia mi prende sempre di piu sei troppo brava un bacione tadb!
     
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  15. °°Vanilla°°
     
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    Un’intensa scia di sangue rosso vivo macchiava il parquet del salotto, formando linee irregolari e curve, svoltando a sinistra dopo l’arcata e marcando di quel colore fervido il pavimento del corridoio per tutta la sua lunghezza, fino alla porta del bagno, chiusa.
    Bill premette con più forza la garza, ormai impregnata di sangue e ridotta ad uno straccio bagnato ed inagibile. Ne serviva dell’altra.
    Maryanne giaceva seduta sul bordo della vasca da bagno, la testa barcollante che minacciava di piombare in avanti da un momento all’altro, bianca in volto, gli occhi spenti e vacui. Emise un leggero lamento e si afferrò la gamba con le mani, mentre il ragazzo le appoggiava quella nuova e fastidiosa garza sul taglio. O per dirla in maniera più grossolana... sul buco che le attraversava il piede.
    “Calmati” disse a bassa voce Bill, per non farla agitare. Era importante che rimanesse in quello stato. Ancora qualche decina di minuti e sarebbe riuscito a fermare le emorragie.
    Ormai aveva le mani completamente ricoperte dal sangue di lei, fin quasi ai gomiti, e armeggiava con le garze per riuscire a fermare il sangue. Aveva dovuto raccogliere tutto il coraggio di cui era in possesso per fare ciò, se voleva evitare che l’amica morisse dissanguata.
    “Mary, tieni duro, non mollare, abbiamo... quasi finito” esitò a pronunciare le ultime parole. Come se ferite simili potessero essere sistemate solo con quel primo soccorso. Aveva bisogno di cure più drastiche.
    D’altronde era tutto ciò che poteva fare per lei, e sarebbe dovuto bastare almeno a non farle perdere la vita.
    La ragazza barcollò leggermente, dando improvvisi segni di squilibrio, e gemette. Stava sudando. Forse aveva anche la febbre; di certo era molto scossa, questo non poteva metterlo in dubbio.
    Gettò sul pavimento un’altra garza resa ormai inutilizzabile, ammonticchiandola sulle altre. Quella massa rossa ed informe gli dava il voltastomaco.
    Era riuscito a pulirle i piedi dal sangue, e vedeva chiaramente le fessure scure e martoriate che ne segnava il dorso.
    Prese un asciugamano e lo bagnò con acqua fredda, per poi tamponarvi le due ferite. Le dita di Maryanne stringevano un lembo della manica della maglietta di Bill, il quale si sforzava di immaginare quanto dolore avesse provato la ragazza. Ma ormai era solo un ricordo.
    Aprì il mobiletto e prese un rotolo di bende. Lo fece girare con cautela attorno al piede destro, per poi fissare la benda, per poi fare lo stesso con l’altro piede; con tutta quella premura che Dio solo poteva sapere da dove l’avesse appresa.
    Si alzò in piedi e si guardò: i jeans erano inzuppati di sangue, come pure parte della maglietta, per non parlare delle scarpe. Si lavò velocemente le mani e osservò Maryanne: coi piedi fasciati e ridotti in quella maniera non avrebbe fatto molta strada.
    La prese in braccio e salì a fatica le scale, cercando di ignorare con scarsi risultati l’odore di sangue proveniente dal salotto e dal bagno. Entrò nella camera da letto e la adagiò piano su quest’ultimo, per poi precipitarsi ad accendere tutte le luci possibili. Le coprì il corpo seminudo con una coperta, e si sedette sul bordo del materasso, fissandola con aria persa.
    Era successo tutto in un attimo. Sembrava passato poco più di un minuto da quando l’aveva trovata in salotto. E invece, voltandosi verso la sveglia elettronica che giaceva sul comodino, si rese conto che era passata quasi un’ora. Mancavano dieci minuti alle quattro del mattino.
    Maryanne giaceva catatonica sul letto, rigida, e Bill non poté fare a meno di osservare il suo petto, appesantito dalla coperta, sollevarsi e riabbassarsi, al ritmo di un respiro che poteva sembrare tranquillo, ma che in realtà non lo era affatto. Ora sicuramente pensieri irrequieti le circolavano nella testa. Forse stava rievocando quello che le era successo prima di svegliarsi. Forse stava pensando a loro due assieme. A quello che avevano fatto qualche ore fa... a quello che lei aveva fatto a lui, a quello che lui aveva fatto a lei. Erano stati insieme. E ne erano stati felici.
    Bill la guardò per intero; trovandola così indifesa, perturbabile, scoperta, insicura, ferita. Sentì che di nuovo qualcosa dentro di lui si accendeva lentamente, ma inesorabilmente. Ogni fotogramma di lei che gli attraversava la vista, lo scombussolava. Si preoccupò di provare un così forte desiderio verso Maryanne, e si sentì davvero un mostro nel constatare che il vederla in quello stato non faceva che accrescere la sua eccitazione.
    Cercò di pensare totalmente ad altro. Lanciò un’occhiata al comodino, che adesso segnava e meno cinque. Erano rimasti cinque minuti in silenzio, a fissarsi.
    Improvvisamente il ragazzo si alzò e si diresse verso la porta. Ma la voce flebile di lei lo raggiunse, immobilizzandolo “Bill...”.
    Si voltò e, meccanicamente, tornò indietro. Si risedette esattamente dove era prima. E la guardò negli occhi. Le labbra di Maryanne si muovevano delicatamente, con regolarità, sebbene tremanti “Bill, io... Margot me l’ha detto. Prima. Era...” allungò un braccio, indicando oltre la spalla di Bill, che si scostò automaticamente “Era dietro di te. In bagno. Mi ha detto tutto”
    “Cosa ti ha detto, Mary?”
    “Mi ha detto... sei un vero bastardo, lo sai?”
    “Ti ha detto questo?”
    “No. Questo te lo dico io. Ha ragione lei.”
    Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.
    Si sporse di più verso di lei e le prese le mani nelle sue.
    “Cosa le ho fatto? Tu lo sai.”
    ”Me lo ha detto prima” rispose piano Maryanne. Lo faceva imbestialire quando non arrivava subito al sodo. Perché doveva divagasi a quel modo? La prese per le spalle e la sollevò, tentando di farle male, con l’impulso improvviso di sbatterla giù dal letto, ma che fortunatamente reperì all’istante “Sì, ho capito che te lo ha detto prima, ma che cosa ti ha detto?”
    “Non vuole che te lo dica. Sta facendo di tutto perché tu lo capisca da solo. Vuole farti ricordare...”
    “Ti prego Mary, dimmelo ora!”
    ”Non posso, Bill. Credimi. Non posso. Vorrei tanto aiutarti a capire, ma Margot mi ucciderà se ci proverò”. La ragazza scivolò piano da un lato, scostandosi da Bill; come se non volesse essere nemmeno sfiorata dalle sue mani. Dal viso pallido emerse un’improvvisa espressione di odio e disprezzo, che lui si sorprese di ricevere così, su due piedi. “Mi fai paura, Bill. Non voglio più vederti, dopo questa sera”
    Ora il ragazzo stava davvero montando su tutte le furie. Si alzò dal letto e sbattè un piede a terra “Mary, e che cazzo! Non mi rinfacciare in questo modo cose che non so nemmeno di aver fatto! Piuttosto dimmi tutto e la facciamo finita!”
    “Preferisco di no. Non voglio perdere la vita per uno fuori di testa come te”
    Fuori di testa? Ma che cazzo aveva fatto? Non ne aveva un’idea, esattamente come aveva una voglia matta di scoprire tutto.
    Fissandola con aria di sfida un’ultima volta, girò sui tacchi e afferrò la sua giacca poco distante, incurante del sangue che lo ricopriva quasi interamente. Se lo avessero visto così per strada a quell’ora di notte? Avrebbero solo dovuto farsi i cazzi loro.
    “Bill, aspetta” esclamò a fatica Maryanne, puntandogli una mano accusatoria contro. Il ragazzo si voltò un’ultima volta, insofferente. Ma alla vista dello sguardo allucinato di Mary, dentro di sé si ridestò un po’ di curiosità. Non un po’... molta. Si avvicinò di nuovo al letto, e si sedette accanto a lei. “Cosa, Mary? Cosa?” cercò di incitarla. Lei lo afferrò per le maniche della giacca e lo avvicinò a sé. Era così vicina che poteva sentire sul viso il suo lieve e caldo alito, mentre bisbigliava poche parole. “Bill...l’interstatale.”
    “L’interstatale?”
    “Non posso dirti altro. Mi spiace.”
    Perplesso quanto preoccupato, si alzò violentemente dal letto. “Là c’è il telefono, un bicchiere d’acqua, se hai bisogno chiama i tuoi genitori”
    “Abitano fuori città, decerebrato”
    “Allora chiama me, il numero di cellulare lo conosci. Nel caso debba tornare...Chiamami, ok?”
    Maryanne annuì con un lieve cenno della testa, e si tirò la coperta fin sotto il mento. Forse aveva paura. Esattamente come ne aveva lui.
    Ma non poteva starci troppo a pensare.
    Scese le scale e corse verso la porta d’entrata. Dovette togliersi la giacca, perché nonostante il buio ancora persistente il caldo umido iniziava a farsi sentire.
    Si incamminò velocemente verso la macchina, e quando la raggiunse armeggiò con le chiavi. Vi si infilò dentro e azionò il motore.
    La macchina si risvegliò, e dopo poco, i suoi fari illuminavano l’asfalto di quella strada privata, che presto l’avrebbe ricondotto fuori.
    È così, eh? L’interstatale.
     
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