i'll never walk alone

Perchè a volte bisogna crescere...

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    Ciao a tutte/i!!
    Questa fan fiction è un po’ un casino…Ogni tanto mi convince, ogni tanto è la quintessenza della banalità per me!! Che dire vedremo che ne penserete voi…ho circa un quarantina di pagine già pronte, ma vedremo se vi interesserà ed in base a quello ci saranno gli aggiornamenti!!! Non mi resta quindi che invitarvi a commentare numerose!!!

    I Tokio hotel non mi appartengono e tutto quello che scrivo è solo frutto di una mente malata come la mia quindi questa storia non è a scopo di lucro e non vuole offendere nessuno dei membri della band…

    Sbrigate le faccende burocratiche…COMINCIAMO!! I hopo you like it..


    “I’LL NEVER WALK ALONE”



    1° Capitolo: No Fear, Destination Darkness

    <allora io vado!>
    Urlai alla mia migliore amica Elsa mentre afferravo le chiavi di casa…nessuna risposta…
    <io vado!!> ripetei alzando un po’ il tono della voce, niente da fare, ormai era diventata sorda!!
    < SI! Vai tesoro in bocca al lupo!> Elsa finalmente era comparsa dall’altra camera, si avvicinò e mi abbracciò velocemente.
    <starete bene vero? Giuro di non metterci più di 2 orette, forse 3 e se c’è qualche problema…>
    <ti chiamo, ma è possibile che mi ripeti sempre le stesse cose?! Pensa a stare bene te che noi staremo una favola ok?>
    <ok, ma per qualsiasi cosa…> provai a rifare le mie raccomandazioni, ma neanche quella volta ci riuscii…
    <basta vattene!!> e mi spinse letteralmente fuori dalla porta del condominio.
    Aspettai l’ascensore, era come sempre rotto, scesi a piedi.
    Lo stavo facendo, stavo andando ad affrontare la più grande paura della mia vita probabilmente.
    Quando uscii dal condominiaccio in cui vivevo da 6 mesi e m’incamminai verso la prima tappa della mia, potremmo chiamarla “missione” penso.
    Riuscivo anche a sorriderci su, o ero più forte di quello che credevo, o ero diventata molto brava a fingere anche con me stessa. In realtà avevo una paura bestia, quella sera in un modo o nell’altro la mia vita avrebbe avuto una svolta. E tutti, penso, hanno un po’ paura di certi cambiamenti, magari la gente non lo ammette, ma la paura è la condizione dominante dell’uomo, perché è la paura che ti fa sentire vivo.

    Chissà di cosa ha paura lui?

    La domanda giunse come un lampo nella mia testa, ma cercai di non pensare troppo a lui. Per quello avrei avuto tempo dopo.
    Tra un pensiero e l’altro giunsi al “Letzter”, dove lavoravo e fuori c’era Detlef che mi aspettava, come d’accordo.
    <ehi Detlef!> avvicinai, e lo abbracciai.
    <ciao Gina, tutto ok?> mi disse con il suo sorriso. Negli ultimi sei mesi era l’unica persona, a parte Elsa, a essermi stata vicina. Lui sapeva rispettarmi e aspettarmi. Sapevo che aveva una cotta per me, e forse lo ricambiavo, ma dire che avevo altro a cui pensare era un eufemismo…
    <hai il pass?> gli chiesi
    <si sono riuscito a procurarmelo> e mi allungo un tesserino plastificato con una mia foto. <devi essere alle 18 a questo indirizzo> e mi allungo un foglietto piegato
    <la sorveglianza sarà abbastanza rigida, comunque col pass non avrai problemi. Ufficialmente sei li per una breve intervista a Bill Kaulitz sul nuovo album che stanno incidendo da pubblicare sul sito di un fan club. Saranno molto ferrei sui tempi perché sarete in parecchie, avrai al massimo 10 minuti, per cui qualsiasi cosa tu debba fare, sbrigati!>
    Lo guardai, con i suoi capelli chiari e il suo sguardo buono, perché non lo potevi definire in altra maniera. Lui non lo sapeva, ma forse facendomi questo piacere, mi stava allontanando da lui.
    <detlef, sei un angelo!> gli dissi, e lo pensavo, lo pensavo davvero.
    <non mi vuoi proprio dire che succede e che devi fare vero?>
    Mi guardò e mi fece sentire in colpa perché fondamentalmente gli stavo mentendo. Si perché non ero una di quelle che faceva la sottile differenza tra mentire e nascondere qualcosa. Per me in qualsiasi caso era prendere in giro qualcuno. E odiavo farlo, soprattutto a chi voglio bene.
    <domani, domani ti dirò tutto!>
    <ci conto…come sta la piccola?>
    Era sempre così premuroso con noi.
    <insomma, a giorni…>
    Un velo di tristezza mi scese nella voce e nello sguardo. E lui, come sempre se ne accorse.
    <dai vedrai che ce la farà!!>
    Non era proprio il momento di farmi prendere dalla mia crisi di pianto, non li, non in quel momento, non davanti a Detlef.
    <si…io ora vado. Ci vediamo domani pomeriggio!> dissi cercando di nascondere il più possibile le lacrime che erano proprio li li per scendere.
    Lui mi abbraccio forte e mi diede un bacio sulla testa, non gli era difficile visto che era almeno 30 cm più alto di me.
    <dovunque devi andare, vuoi che t’accompagno?> disse mentre mi stringeva.
    <no prendo la metropolitana> dissi staccandomi.
    <ok! Ci vediamo domani allora>
    <si domani…ciao!>

    Mi girai e mi allontanai accelerando il passo, afferrai di rabbia un fazzoletto dalla borsa e mi asciugai qualche lacrima che, bastarda, scendeva sulle mie guancie.
    Non devi piangere, mi ripetevo con scarsi risultati però. Ero in uno di quei momenti in cui avevo davvero bisogno di una sigaretta, ma non potevo. E la mia testa girava freneticamente. Perché non potevo? E giù ancora lacrime.
    Sinceramente mi rendevo conto di star diventando ogni giorno più patetica e mi vergognavo di me stessa. Dovevo essere forte, forte per lei!
    Arrivai alla stazione della metropolitana. Entrai. Tra barboni, extracomunitari, drogati e puttane, la compagnia non era delle migliori. E ancora nella mia testa il pensiero che in un modo o nell’altro avrei dovuto portarla via dal quel posto.

    Già col tuo stipendio da cameriera e senza che tu abbia un cavolo di foglio di carta, uno stramaledetto titolo di studio, dove pensi di andare?

    Basta urlavo nella mia testa, possibile che il mio cervello non si fermasse mai?
    Salii sulla metropolitana e presi posto vicino a un finestrino.
    Afferrai il mio vecchio lettore cd, già perché il mio mp3 l’avevo venduto per 20 euro a un turco per pagare le medicine l’altra settimana. Ero veramente patetica.

    “'n ganz normaler tag
    die strasse wird zum grab
    die sporen sind verwischt
    Kalt is die nacht
    wir friert ist zu schwach
    niemand wird sie zahln
    Niemand had sie gesehen

    Einsam und verloren
    unschichtbar geboren
    Beim ersten schrei erforen
    vergessene kinder
    Name unbekant
    endlos weggerant
    aus der welt verbannt
    vergessene kinder

    Sie sehen
    Sie Fuhlen
    Verstehen
    Genau wie wir
    Sie lachen
    und weinen
    wollen leben
    Genau wie wir

    Augen ohne gluck
    Alle traume wurden erstickt
    panik, vor dem licht
    Und angst vor jedem gesicht
    Schuld die keinen trifft
    Die zeit heilt nicht

    Einsam und verloren
    unschichtbar geboren
    Beim ersten schrei erforen
    vergessene kinder
    Name unbekant
    endlos weggerant
    aus der welt verbannt
    vergessene kinder

    alles sollte anders sein
    Alles sollte anders sein

    Wir sehen
    Wir fuhlen
    verstehen
    Genau wie ihr
    Wir lachen
    und weinen
    Wollen leben
    Wir sehen
    Wir fuhlen
    verstehen
    Genau wie ihr
    Wir lachen
    und weinen
    Wollen leben
    genau wie ihr“


    Già, “Non dovrebbe proprio essere così / Non dovrebbe proprio essere così / Noi vediamo, sentiamo, crediamo / Proprio come voi / Noi ridiamo e piangiamo / Vogliamo vivere qui / Noi vediamo, sentiamo, crediamo / Proprio come voi / Noi ridiamo e piangiamo / Vogliamo vivere qui / Proprio come voi”
    “Sono persi e tanto soli / Nati ma mai conosciuti / Lasciati tutti a se stessi / Bambini dimenticati “

    Bambini dimenticati, lasciati a morire. E per lei non volevo questo, avrei lottato per lei. Penso si chiami istinto materno, quello che vedevi nei documentari dove mamma leonessa sbranava tutti per i suoi piccoli. Perché per mia figlia avrei affrontato di tutto e di più, per riuscire a salvarla. Per lei, solo per lei, avrei affrontato le più grandi rock star di Germania, forse ormai d’Europa.

    Mezzora più tardi ero sotto il palazzo dell’Universal dove si teneva l’intervista a Bill Kaulitz. Salii fino al 6° Piano. C’era una porta a vetri e all’interno potevo vedere almeno una dozzina di ragazze tutte eccitate che chiacchieravano, probabilmente parlavano dell’ultimo cambio di pettinatura di Bill.
    Aprii la porta e subito mi trovai tre energumeni di dimensioni cosmiche che mi accerchiarono.
    <lei chi è? ha il Pass?> mi disse il più grosso dei tre.
    <si si eccolo!> e glielo tesi
    <gina Stern…per che sito è qui?>
    Oh cazzo, pensai, per che maledetto sito ero li?
    Decisi di provare con la faccia tosta e un po’ di furbizia, convinta com’ero di essere un po’ più astuta delle bodyguard.
    <c’è scritto lì!> dissi con la mia migliore faccia da schiaffi, che sapevo fare benissimo aggiungerei.
    Il bodyguard mi guardò storto e io, che sono sempre stata una discreta testa di cazzo se posso dirlo, continuai.
    <sai leggere no? No se vuoi ti leggo cosa c’è scritto…>
    Mi fulminò con lo sguardo.
    <ehi ragazzina non prendermi per il culo…>
    <non potrei mai signore!>
    L’ho già detto che ero stupida vero?
    <passa…>
    <grazie signore>

    Riafferrai il pass e mi buttai su una sedia li vicino. Guardai il pass. Ah ecco, ero li come intervistatrice del Official Tokio Hotel Fan Club di Monaco di Baviera. Guardai l’orologio. 18.10. Ritardo da star, pensai, d’altronde per sistemarsi i capelli a Bill ci vorranno circa due ore quindi…
    Passati altri 10 minuti uscì David Jost da una porta scura posta dall’altra parte della camera.
    Mi alzai in piedi.
    <allora intanto a nome dei Tokio Hotel vi voglio ringraziare per essere qui oggi. Come sapete i Tokio Hotel sono sempre felici di poter incontrare e relazionarsi con le fan e incontrare voi oggi, come rappresentanti dei fan club di tutta Germania è per noi un onore. Vi ricordo che l’intervista durerà al massimo dieci minuti siamo dispiaciuti di non potervi dare più tempo, ma come vedete qui siete in molte e vogliamo dare a tutti la possibilità di parlare con Bill. Detto questo, possiamo cominciare, andremo in ordine alfabetico.>
    Chiamò una ragazza che tutta eccitata entrò nella porta.

    Un Ora dopo ero ancora lì. Ormai mancavo solo io e altre 3 ragazze.
    Presi il mio telefono.
    Bipp Bipp
    <pronto…>
    <ciao elsa…Come va?> E’ irrazionale preoccuparmi così tanto, ma non riesco a farne a meno. Penso che sia sempre per quella storia del istinto materno…
    <lo sai che stai diventando noiosa, ossessiva e rompi balle?!? Stiamo benissimo noi! Ha appena finito il biberon che avevi lasciato, e le è piaciuto molto per la cronaca, poi ha fatto il ruttino e le ho cambiato il pannolino già due volte. Ora stiamo guardando i cartoni della Pimpa. Secondo me piacciono più a me che a lei, però ogni tanto sorride e sbava come il suo solito!>
    Sorrido, Elsa è grande.
    <ha 3 mesi, dubito che possa capire qualcosa dei cartoni della Pimpa…>
    <già in effetti con i genitori che si ritrova…beh insomma allora posso guardare il Signore degli Anelli…>
    <no che Gollum non TI fa dormire…continua con la Pimpa che vai forte…tra non molto torno, spero.>
    <ok ok non ti preoccupare! Oh guarda gli sono andati via i pallini!!>
    <elsa…>
    <tua figlia mi sta guardando come se fossi una de…decelebrata!>
    <e ci credo!! A dopo…>
    <si certo…ehi Gina…>
    <si…>
    <stai tranquilla…>
    <ok a dopo…>

    Elsa era fantastica come zia…

    <gina Stern> mi sentii chiamare.
    Ok, mi dissi, calma e respira, calma e respira, calma e respira, calma e…vaffanculo!!
    Mi avvicinai al signore sulla porta che me l’aprii per farmi passare.
    <prima porta a destra…> mi disse
    Annuii e entrai nel corridoio.
    Ecco la porta. Bussai.
    <avanti…>
    Ok calma Gina calma, mi ripetevo, con risultati francamente desolanti.
    Abbassai la maniglia, mi sembrava che tutto andasse al rallentatore, il mio corpo andava al rallentatore. Entrai.



     
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