ignoto

prima ff

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  1. rob6
     
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    Ragazze questa è la mia prima ff quindi siate gentili vi prego.
    Se non è di vostro gradimento potete tranquillamente dirlo perché accetto volentieri le critiche.
    Prima di leggere vi avviso che sarà una ff dai toni drammatici.
    Non sapendo dove postarla di preciso ho deciso di metterla in one shot perché ha tutta l’aria di esserlo.
    Detto questo , be che altro aggiungere…giudicate voi.


    IGNOTO
    Aveva deciso che avrebbe dato un taglio netto alla vita, e sapeva con certezza assoluta che l’avrebbe fatto.
    La sua era una certezza di quelle maturate col tempo, che portavano a una risoluzione ultima, drastica.
    Era la certezza di chi, scegliendo come soluzione la più estrema , la più rapida, silenziosa e nel contempo carica di angoscia, non sa a cosa andrà realmente incontro.
    Paura? Tanta, si, forse troppa.
    A dire il vero la sua era paura indebita.
    Era come lottare contro qualcosa indefinita e raccapricciante.
    Qualcosa che crea ribrezzo certamente, ma rimane oscura e ignota.
    A volte è sorprendente come le nostre più grandi angosce si rivelino ai nostri occhi rifugi sicuri.
    Da cosa stava fuggendo lei, sciocca e infantile ragazzina? Dalla vita che tanto la spaventava, che tanto la vessava e torturava con le quotidiane incertezze, con il rapido e incessante scorrere del tempo bastardo al quale la parola fine non potrà mai essere contrapposta?
    Adesso era lì, al buio, il freddo intenso avvolgeva i suoi capelli corvini e il vento le frustava le guance di un pallore quasi cereo. Aveva le lacrime agli occhi.
    Quelle lacrime provocate dall’incedere lento e angoscioso di qualcosa che non vorremmo mai si compisse, ma che , inesorabilmente, deve essere portata a termine.
    A un tratto le balenò in mente un pensiero cupo.
    E si vide lì, come in un rito ancestrale, immolata su un altare.
    Il desiderio di vendetta era svanito del tutto ora che si rendeva conto di essere l’immolata e non l’immolatrice.
    Era come se leggi di sangue stabilite in un tempo remoto e perduto, ritornassero a riscuotere il pegno che tanto anelavano.
    Si , adesso sentiva quelle voci che chiamavano sangue, che bramavano sangue.
    E quel sangue era suo.
    Si sentiva estremamente debole, e lo era. Lei era debole.
    Nonostante ciò era maturata in lei la convinzione che quanto più si è deboli, tanto più si è vulnerabili di fronte alla follia.
    Già, perché quello che stava per fare era una sintesi stessa della follia.
    Una strana sensazione la invase. Fulminea.
    E si sentì improvvisamente incline a voler compiere il gesto estremo che l’avrebbe precipitata in un abisso la cui unica certezza era l’ignoto. Questo suo inaspettato desiderio era alimentato dalla consapevolezza che la sua miserabile vita le aveva regalato solamente Angosce, paure, frustrazioni a dismisura.
    Aveva visto sfumare i suoi sogni, come un rozzo pennello di setole durissime che spezza l’armonia e il disincanto che una tela cela in sé.
    Ecco, era proprio così. Il suo volto come una tela, sfregiato da tagli invisibili che bruciano più di un ferro arroventato.
    Era ancora lei? Era lei la ragazzina ambiziosa ? cosa ne era stato di quei piccoli desideri, di quei lampi, di quegli attimi di indimenticabile e malcelata follia che si nasconde nel volto di una diciassettenne un po’ stramba?
    E poi che ne era stato delle mille incertezze che tanto la incuriosivano, dei mille ostacoli che giurava di superare?
    In effetti quelli, gli ostacoli, c’erano ancora.
    Si ergevano di fronte alla sua insignificante figura di ragazzina come pilastri, colonne che mai il tempo avrebbe intaccato.
    E lei, piccola com’era, impallidiva di fronte a loro, sentiva che il suo sguardo non avrebbe sopportato a lungo quello scempio che si commetteva lì davanti a lei, e di cui era vittima e carnefice.
    Il momento era arrivato. Sapeva di non voler attendere oltre.
    Per un attimo si fermò a pensare ciò che era stato, e ciò che sarebbe potuto essere.
    Si perse nelle sue memorie e poi…un ritorno brusco e inaspettato alla realtà che la circondava.
    A quel terrazzo bianco che dava sul mare, a quelle rocce candide e maledette che cullavano l’acqua tra le loro infide e ruvide pareti.
    Ascoltò il rumore delle onde che si infrangevano contro quelle pietre che presto avrebbero cullato anche lei.
    Guardò per l’ultima volta il cielo, come faceva sempre quando la paura di un ipotetico domani la assaliva famelica e traditrice.
    Lo vide lì, sopra la sua fronte, sconfinato e nero come inchiostro, che si ergeva nella sua maestosità, pronto ad avvolgerla nella tenebra più segreta.
    Volle, prima di lanciarsi nel nulla, inspirare a pieni polmoni quell’aria che sapeva di salsedine mista a sangue e polvere.
    Improvvisamente sorrise. Era un sorriso amaro quello che si fece largo su quelle labbra scolorite.
    Una piccola fossetta si venne a formare attorno alle sue labbra.
    E fu di nuovo intrappolata tra i meandri dei suoi malinconici ricordi.
    Contrasse subito le labbra, e quel sorriso svanì velocemente, così come era apparso.
    Al suo posto comparve una indefinibile smorfia di dolore, un ghigno forse.
    No, non avrebbe permesso ai suoi ricordi di spezzare la banale solennità di quel momento. Non ora, non era più il momento.
    Immaginò che scheletri alati avvolti in mantelli neri l’avrebbero attesa, una volta varcata la soglia dell’ignoto.
    Si rese conto che quella scena ai suoi occhi risultava patetica.
    Proprio lei, che aveva sempre rifiutato di credere in un dio che potesse essere capace di tanto, non poteva ora ritrattare le sue ferme convinzioni.
    Pensò che in fondo era così: tutti di fronte alla paura si aggrappano alla effimera consolazione che un dio possa esistere.
    Ma lei, lei no. Sapeva per certo che quel dio non c’era.
    O se c’era, era tremendamente meschino.
    Ma basta.
    Era davvero giunto il momento.
    L’angoscia ora le attanagliava le viscere. Cominciò a tremare visibilmente, scossa da un improvviso fremito.
    Pensò che tra qualche minuto tutto sarebbe finito e lei non avrebbe più avuto coscienza di quello che era stato.


    “addio gustav”
    Si librò nell’aria.
    Prima dell’impatto violento e mortale, un grido le rimase strozzato in gola.
    Il corpo che il mare cristallino accolse era quello di un pupazzo dagli occhi vitrei ormai sfigurato.



    In quel preciso istante le prime luci dell’alba avevano investito il mare.
    Una macchia color ametista si stava via via dissolvendo.
    Tutto era ritornato alla normalità ed era come se non fosse successo nulla.
    Pochi istanti avevano alterato il corso di una vita intera e segnato profondamente quello di un’altra.
    Già, perché in quel preciso attimo, un fascio di luce colpì il viso sudato di un giovane ragazzo.
    Era gustav.
    Si svegliò di scatto, come preso da un presentimento che lo scuoteva senza dargli tregua.
    Due occhi vitrei si insinuarono nella sua mente.
    Sapeva che Sally era in pericolo, lo percepiva nell’aria di quel tiepido mattino.
    Il vento che si era scatenato nella notte era cessato nel ricordo di qualcosa spaventosa ormai lontana.
    Ma proprio per questo motivo non si dava pace. Tutto era troppo tranquillo, innaturalmente tranquillo.
    Ripensò a Sally, quella ragazza incontrata per caso, al suo sguardo da bambina smarrita, alla sua aria trasognata e alla sua fragilità.
    Con lei aveva scoperto cosa significasse amare, per lei aveva trovato un senso a mille bizzarrie, grazie a lei tornavano a ricomporsi le tessere confuse di un puzzle dimenticato chissà in quale remota parte del suo io.
    Tutto era nato dal caso, dal caso che si intrecciava col nulla e che tornava nel vuoto.
    L’aveva amata si, ma ora non più. E questo era quanto.
    Proprio lui che al destino non aveva mai creduto, si ritrovò a pensare, preda dello sconforto, che qualcosa più grande dell’intera umanità aveva agito usandolo come pedina di una sterminata scacchiera.
    Pianse ripensando alla sua Sally e in quel momento qualcosa gli disse che l’aveva persa.
    Per sempre.
     
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