Clic

Si può denunciare un umanoide per esser stati derubati del proprio cuore?

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  1. -_Dabby_-
     
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    Premessa:

    è da tanto che non scrivo e ieri sera mi è venuta in mente questa breve storia. E' stato un flash e ho subito avuto una gran voglia di scrivere, come mi succedeva quand'ero più piccola e ancora m'illudevo di poter aver un futuro come scrittrice. Ho finito di scrivere alle una di mattina e ora vorrei sapero cosa ne pensate. Per ispirarmi ho utilizzato la canzone dei Linkin Park Valentine's Day che trovate a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=nalOXRHotGg
    vi consiglio di leggere ascoltando questa canzone! Buona lettura ;)


    Clic



    I clic delle macchine fotografiche m’assordano. Mi manca l’aria, fa caldo. Gli altri fotografi spingono per potermi rubare il posto che con tanta fatica mi sono conquistata. Dal canto mio io m’adatto. Tiro una gomitata al mio vicino, incurante dell’occhiata d’odio che mi scocca. Poi le urla. So benissimo che non è accaduto nulla di grave. Nessun incidente, nessun attentato. Semplicemente siete arrivati voi.
    Il red carpet s’illumina ulteriormente appena passate davanti a noi fotografi. I flash v’assaliscono. Entri subito dopo tuo fratello. Avanzi incurante, come sempre. Incurante di tutto ciò che ti circonda, incurante di quelli sguardi freddi che ti squadrano, di quelli scatti che ad ogni clic si portano via una parte di te. Alzi il mento, con la tua solita aria di sfida. Mi tremano le mani,non riesco a concentrarmi, qualcosa mi blocca. Per un attimo mi premo la mano sul petto, alla ricerca del cuore. Sì, c’è ancora e batte come non mai.
    I tuoi occhi castani si spostano da un obbiettivo all’altro, senza meta, lontani migliaia di anni luce. Vuoti.
    Quando mi riprendo ve ne state già andando. Senza pensarci urlo il tuo nome : “Tom!”. Ti giri. Sicuramente non è stata la mia voce a farti girare ma quelle delle centinaia di fan che ti stanno chiamando alle mie spalle. Non m’importa e questa volta, senza rifletterci su troppo, ti scatto una foto. Subito me ne pento. Mi sento soffocare. Mi volto e, non so come, riesco a farmi largo attraverso la calca, a fuggire. La macchina fotografica brucia tra le mie mani mentre corro come un’idiota alla ricerca di un posto tranquillo, lontano dalla folla. Alla fine, esausta mi siedo su un muretto. Riaccendo l’apparecchio per poter scrutare il mio piccolo tesoro. Il tuo sguardo m’inchioda. In quella frazione di secondo nella quale il mio dito ha premuto il pulsante tu hai finalmente ceduto. Amarezza, disprezzo per chi ti sta derubando di te stesso sono dipinti nei tuo occhi. È lo sguardo di un animale in gabbia. Lo sguardo di chi vorrebbe essere altrove, libero da tutte queste costrizioni, libero di divertirsi come gli pare senza essere divorato da degli obiettivi. Come ho già detto hai ceduto, ma solo per quella frazione di secondo. Sicuramente ti sei subito ripreso. Sono sempre stata certa che non mentissi dicendo di sentirti un umanoide. Ma ora dimmi: si può denunciare un umanoide? Si può denunciare un umanoide per esser stati derubati del proprio cuore?
    Sono passati già tre mesi, però io non riesco proprio a togliermi dalla testa quel pomeriggio. Povera illusa.

    Era stato davvero un lungo pomeriggio. Era la prima (e ultima) volta che lavoravo per voi, anche se lavorare è forse una parola un po’ troppo grossa. Facevo d’assistente al vostro fotografo, ecco così va meglio. Era tutto il pomeriggio che sgobbavo pulendo obbiettivi, spostando il cavalletto da una parte all’altra della stanza, regolando la luce. Finalmente però avevamo finito, il photo shoot era completo. La stanza s’era completamente svuotata mentre io sistemavo i vari attrezzi nelle loro custodie; diciamo che eravamo rimasti solo io e un cavalletto con una macchina fotografica poggiata sopra, puntata verso lo sfondo. Insomma non proprio una gran compagnia. Ad un certo punto però udii la porta aprirsi. Sollevai lo sguardo e ti vidi entrare. Probabilmente avevi appena finito di cambiarti; ora indossavi una maglia nera con delle stampe argentate e dei jeans scuri, i capelli legati in una coda bassa. Mi salutasti e ti diressi verso un tavolino per raccogliervi qualcosa. Avevi dimenticato il cellulare. Ti girasti, volgendomi un sorriso di scuse per avermi interrotta nel mio lavoro e feci per andartene. Ti bloccasti sulla porta, come preso all’amo da un pensiero. Credei che avessi dimenticato qualcos’altro così m’alzai per chiederti se avessi bisogno d’aiuto. Non feci in tempo ad aprir bocca che tu mi precedetti: “Mi scatteresti una foto?” chiesi voltandoti. Come una scema rimasi impalata di fronte a te. Incapace di mettere insieme una qualsiasi risposta coerente mi limitai ad annuire. Ti misi in posa davanti allo sfondo, mentre io prendevo posto dietro l’obbiettivo. Impegnai tutta me stessa per concentrarmi e fare uno scatto decente. I tuoi occhi mi fissavano attraverso l’obbiettivo e per la prima volta in tutto quel lungo pomeriggio non mi sembrasti un divo, una star irraggiungibile, ma un semplice essere umano. Scattai la foto e un flash t’abbagliò. Indifferente t’avvicinasti a passi lunghi all’obbiettivo. “Posso vedere?” chiesi, quasi dolcemente. “Sì certo”. Non mi diedi il tempo di spostarmi. Ti misi dietro di me e fissasti la foto nello schermo senza pronunciarti. Ero tentata di voltarmi, ma percepivo il tuo viso poco distante dalla mia spalla e avevo paura di arrivarti troppo vicina. O forse non avevo paura, ne ero semplicemente tentata ma sapevo che era sbagliato, che non dovevo farlo. Mentre ero immersa in questi miei pensieri percepii qualcosa sul mio collo. Erano le tue labbra, che premevano calde e delicate sulla mia pelle. Mi voltai e le incrociai con le mie. Fu un bacio lungo, mi parve infinito. Infinitamente appagante, infinitamente dolce, infinitamente favoloso … infinitamente unico. Dolce e amaro allo stesso tempo. Poi, senza alcun preavviso, l’incantesimo si ruppe. T’alzasti senza nemmeno guardarmi, come avessi paura che potessi cogliere qualcosa di troppo in quel tuo sguardo magnetico. Ti rimisi al tuo posto davanti all’obbiettivo. Per un attimo pensai d’essermi immaginata tutto, come se il tempo fosse tornato indietro e io non avessi ancora scattato la fotografia. La porta s’aprì di scatto ed entrò Bill: “Ti muovi?” la domanda gli morì in bocca appena ti vide in posa. “Ma che stai facendo? Abbiamo finito, dobbiamo andare!”. “Volevo solo fare un ultimo scatto, c’ho preso gusto …” risposi lanciandomi un sorriso furbesco. Probabilmente non sfuggì a Bill ma egli non ebbe nemmeno il tempo di replicare che già tu lo spingeva fuori dalla porta, mentre ti voltavi per un ultima volta a salutarmi.

    Ancora oggi mi chiedo perché tu l’abbia fatto. Il bacio intendo. Non sono mai riuscita a spiegarmelo. Nei primi momenti successivi al tuo addio credei seriamente d’aver immaginato tutto. Eppure la foto era lì, quella non mentiva di certo. Fatto sta che ora tu ha in te una parte del mio cuore che probabilmente non riuscirò mai più a riavere.

     
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0 replies since 5/1/2010, 12:20   64 views
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