-Explosive Woman-

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  1. •Yoshi
     
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    Autore: Yoshi
    Genere: angst,drammatico,realistico
    Avvisi: violenza, tematiche forti.
    Disclaimer: La storia non è a scopo di lucro ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale

    Note: ed eccomi con una OS fatta in un momento di noia. Non tratta dei TH spero vi piaccia, vi lascio lo schifosissimo banner >.<




    Explosive Woman








    Come mio fratello, anche io ero destinata a quella fine. La mia fine, e la fine di migliaia di persone. Due mesi prima sedevo in salotto. Ero sulla vecchia sedia della nonna Shaa Di. Una sedia malconcia e cigolante. Una sedia adatta a una donna come me. Avevo solo sedici anni e sul mio capo scendeva già pesante il burqa di spessa stoffa nera. Avevo una retina di ferro arrugginita che mi calava davanti agli occhi, mi aveva persino rovinato la vista. Sedevo lì in quell’angolo con gli occhi incollati alla scatola nera che proiettava le immagini direttamente dal telegiornale locale di Baghdad un’esplosione fortissima su di un aereo aveva spezzato la vita a migliaia di persone. Era un attentato suicida uno dei tanti e il valoroso uomo che aveva sacrificato il suo sospiro di vita per Allah era mio fratello Khan Ri. Ad Allah piaceva questo. Fin da piccolissima mi hanno insegnato che l’unica cosa che conta è Allah. Qualsiasi cosa va fatta per lui. E morire per Allah è un gesto d’onore. I miei genitori mi hanno parlato della guerra Santa e degli attentati dicendomi che gli uomini che erano morti suicidi in questi attentati erano valorosi guerrieri, erano amati da Allah. Ma io sono sempre stata dubbiosa su questo. Perché bisogna uccidere anche altre persone? Tutto ciò per me rimaneva un mistero. All’età di dodici anni suonati mi è piombato un pressante velo in capo, e da allora vi è rimasto pesante, sudato,caldo,arrugginito; Sempre, mostrare il proprio volto è vergogna verso Allah perché io sono donna. Sono vergine, devo rimanerlo fino al mio matrimonio. Da piccola sono stata infibulata. Non so bene che cosa mi abbiano fatto, mi ricordo che uscì molto sangue. Fu doloroso. Mio padre si alzò soddisfatto e sorridente volse gli occhi verso di me. Stavo a capo chino torturando l’estremità del mio velo mangiucchiata dal tempo.

    -Khan Ri è morto con onore. Allah ne andrà fiero. Fra poco toccherà a te Kahraa Adi.- pronunciò indicandomi. Tra poco sarebbe toccato a me. Morire per Allah, dovevo andarne fiera. Sarei andata in paradiso e avrei trovato pace eterna. Dovevo esserne fiera. Eppure a me la cosa non piaceva. Sarei morta carica di esplosivi probabilmente e con me si sarebbero spezzate un sacco di vite. Mia madre comparve in salotto con l’espressione distrutta dalla perdita del figlio. Chiamò mio padre informandolo della cena che giaceva cotta e pronta sul legno della cucina. La solita zuppa, che per metà rimaneva fredda. Un miscuglio di verdure pescate con mani leste al mercato, nella confusione quando i commercianti sono distratti dall’odore di soldi.

    -Ohur Miri, la cena è pronta, Kahraa Adi anche per te- sussurrò flebilmente invitandoci in cucina. Premetti il pulsante per spegnere il televisore. Lo vedevo, mio padre sorseggiare quel beverone con indifferenza, contento per l’onore ricevuto dal figlio.

    -Figlia mia- cominciò prendendo un tozzo di pane secco, anche quello rubato.
    -Finalmente è giunta l’ora che anche tu ci dia un po’ d’onore. Come tuo fratello. Fra due mesi toccherà a te. Non sarà una passeggiata ma non devi pensarci. Pensa solo ad Allah e al nostro onore.- sputò dalle labbra secche con disprezzo nonostante si parlasse d’onore.

    -Ma padre, io sono donna!- pigolai, ma senza speranze, quel destino sarebbe toccato anche a me.
    -Proprio per questo ci porterai onore. E adesso mangia.- disse amaramente mentre ingoiavo quel liquido dal sapore cattivo. Terminai la cena tristemente e quando ingoiai anche l’ultimo boccone sospirai.
    -Potrei salire in camera?- pigolai speranzosa. Mi fu dato un cenno col capo da mio padre. Così spostai la sedia con un rumore frastornante di legno che stride contro le piastrelle. Mi diressi in camera buttandomi sul letto. Mi tolsi il burqa. In camera mia non vi erano leggi e il pesante velo lo toglievo sempre. Mi guardai allo specchio rotto appeso malamente da un chiodo al muro. Il mio riflesso spento. La ruggine mi si era incollata al volto. Occhi azzurro grigi spenti, cupi,tristi. Ed ero io, un’infanzia buttata via così come l’adolescenza, passata a rammendar la casa con uno straccio malconcio fra le dita callose. Ma tra due mesi sarebbe finito tutto. Avevo ancora due mesi da vivere in quello schifo. Poi basta. I giorni che vennero li passai nella mia piccola dimora a versar lacrime fra le coperte strappate e sudice del mio letto. Ohur Miri, mio padre contrattava gli esplosivi che mi avrebbero messo appresso, erano grossi e pesanti e molto costosi. L’odore di polvere da sparo era costante nelle mie narici e fastidioso. Una notte scesi le scricchiolanti scale ed andai in salotto dove le cariche esplosive giacevano. Mi sedetti di fianco a quella colonna pericolosa piangente con il dolore in mezzo al petto. Mi raggiunse la figura di donna a me più vicina, mia madre.

    -Kahraa Adi, che hai figliola?- mi disse sottovoce premurosamente. Nel mio dentro ero conscia della sua angoscia e preoccupazione per il mio avvenire da esplosivo, glielo percepivo dentro le iridi degli occhi.
    -Madre ho paura. – pigolai debole.
    -Lo so figliola, lo so, prometto che quando stessa sorte toccherà a me, ti verrò a trovare là dove tutto è bello, e non ti lascerò mai più. Mi spiace figliola- sussurrò delicatamente al mio orecchio. La strinsi forte. Fra due settimane sarebbe giunta la mia ora. Da quella sera le notti scendevo di fianco a quella colonna. Piangevo. Era l’unica cosa che potessi fare in quella disperazione. Non volevo uccidere altri uomini e altre donne, questo popolo aveva troppo sofferto. Due giorni prima della mia partenza sentii mio padre gridare forte contro un uomo. Sembrava davvero una brutta lite. Mi appoggiai al malconcio stipite della porta rosicato dalle tarme. Feci attenzione a non farmi vedere. Vidi mio padre aggrapparsi alla camicia dell’uomo stringendolo con odio.

    -Ti ho già detto che prenderemo un boing. Diretto in America! Non mi importa se i controlli saranno maggiori! Mohamed, capiscimi.- gridò
    -Dovrai fare attenzione Ohur, non è facile. Dovrai sbriciolare tutto il materiale e metterlo nei liquidi. Non lo vedranno è sicuro.- sentenziò annuendo.
    -Allora dammi una mano cazzo, c’è così tanto esplosivo!- gridò ancora mio padre alzando le mani in aria. Capii che sarebbero giunti in salotto e corsi via per le scale chiudendo forte la porta di camera. Sbriciolarono quella quantità enorme di materiale pericoloso. Sentivo l’ansia salire alle stelle. Passai quel giorno così chiusa in me stessa a riccio. Nessuno mi mosse dal mio letto, nemmeno per ingurgitare la solita imbarazzante zuppa di verdure. L’ultima notte il cielo era decorato di piccole stelle luminose. Era tanto che non comparivano tanti erano i fumi degli spari lanciati dalla guerra. Tirava un venticello estivo tipico di fine maggio. Aprii con non poche difficoltà la finestra e sporsi il capo fuori. I capelli scuri svolazzavano disordinati intorno al mio viso. Erano secchi e sciupati per via del velo. Piansi solamente due lacrime salate che colavano lente incorniciando la disperazione del mio volto. Inspirai quell’aria a pieni polmoni contando le ore che mi mancavano. Potevo saltare di sotto ma la casa era al pian terreno e non avrei risolto un bel nulla. Dovevo affrontare la mia realtà così come era seppur dolorosa. Rimasi quasi due ore a fissar quelle stelle luminose che coloravano quello scuro e plumbeo cielo notturno. Le lacrime mi si seccarono con il vento ma il dolore pungeva aspro nel mio dentro. Decisi di chiudere le palpebre poco dopo quando il mio capo poggiava sul cuscino secco e sudaticcio. Chiusi gli occhi e Morfeo mi trasportò in un sonno scuro ed agitato. Gli incubi attanagliarono la mia mente cupa e densa fino a che il sole dell’alba non fece capolino dalla finestra aperta. Le mie palpebre si aprirono disturbate dalla luce. Era giunto il giorno della nostra fine. Mia e di tanta gente innocente sottomessa allo stesso inutile e doloroso supplizio. Mia madre mi scosse leggermente.
    -Figliola- pigolò nel mio orecchio.
    -Madre.- sussurrai tristemente aprendo definitivamente gli occhi.
    -Oggi è il giorno, mi aspetterai?- sussurrò flebilmente guardando preoccupata fuori dalla finestra.
    -Certo madre- risposi prima di destarmi dal letto. Mi accompagnò in cucina dicendomi che mio padre era uscito. Potevo anche non portare il burqa fino al suo ritorno. Mia mamma mi capiva c’era una sintonia perfetta fra noi, sintonia destinata a rompersi proprio quel giorno.
    -Mangia qualcosa mentre preparo le valigie. Papà ha già sistemato l’esplosivo.- pigolò
    -Va bene vai pure- dissi sorseggiando del latte caldo accompagnato da qualche biscotto secco.
    Mangiai tristemente e poi mi rialzai per andarmi a lavare. Sospirai quando entrai in bagno spoglia di ogni vestito, immersa nella mia vergogna. Percorsi con un dito tutto il mio profilo godendomi quella flebile carezza prima di immergermi in una doccia fredda. Feci in fretta non tollerando gli aghetti d’acqua terribilmente freddi che si infrangevano sulla mia pelle. Mi rivestii delicatamente concedendomi qualche carezza più intima, sola con me stessa per l’ultima volta. Sfiorai il mio seno pensando che non sarei mai divenuta mamma, sfiorai il mio sesso provando ancora quell’acuto dolore di quando ero bimba. Sfiorai i miei fianchi magri e ossuti. E infine proiettai nuovamente gli occhi dentro lo specchio. Grigi e profondi. Occhi che parlavano di dolore, occhi che parlavano di tristezza. Mia madre mi chiamò destandomi da quei brutti pensieri. Era giunto mio padre a casa, segno che dovevamo recarci in aeroporto per la mia fine. Sentii delle grida da sotto e il mio nome urlato in malo modo mi fece capire che dovevo sbrigarmi. Mi rivestii in fretta e fissai ancora il mio riflesso nello specchio per un secondo soltanto.

    -Addio Kahraa Adi- pigolai prima di uscire dal bagno e gridare a mio padre che ero pronta. Scesi le scale di corsa e mi diede un buffetto sulla guancia. Mi chiesi perché fosse così felice dato che stava per perdermi. Ma la risposta non tardò a giungermi alle orecchie.
    -Sono orgoglioso Kahraa Adi, oggi è il tuo giorno- soffocò una risata sorniona e allegra. Sospirai tristemente uscendo da quella casa. Ma prima di montare in macchina corsi di nuovo dentro. Non avevo salutato lui! Salii le scale di corsa e spalancai la porta di camera. La finestra ancora aperta con il sole che filtrava all’interno della stanza. E poi lui. Il mio orsacchiotto di pezza, regalatomi dalla nonna. Ero molto legata a lui e me lo portavo sempre ovunque, ma stavolta no. Lui doveva rimanere lì. Lo baciai e lo coccolai sussurrandogli parole dolci, come fosse il bambino che tanto desideravo avere. Piansi ancora prima di chiudere quella porta a chiave e uscire. La chiave la tenni in tasca nessuno sarebbe entrato in camera. Tornai nuovamente a chiudere la finestra donando un bacio all’orso prima di scendere definitivamente, sotto le urla incessanti di mio padre. Partimmo alla volta dell’aeroporto di Baghdad. Seguimmo la strada silenziosamente, nemmeno la radio accompagnò quel viaggio, lasciandoci nella desolazione e nel dolore. Mia madre guardava fuori riparando le sue vergini lacrime fra le piccole sbarre del burqa. Anche io piansi pensando al mio orsacchiotto, pensando alla mia vita. Ci fermammo in un piccolo bistrot perché mio padre voleva addentare un panino per colazione. Scesi anche io per accompagnarlo. Ma rimasi fuori dal locale in un piccolo parchetto che puzzava d’urina. Al centro del parchetto c’era un lago. Piccolo anch’esso. Mi venne in mente un’idea. Se davvero nessuno avrebbe dovuto entrare in camera mia, avrei dovuto gettar la chiave. Così presi il piccolo pezzo di ferro e dopo averlo piegato con poca forza lo gettai nel lago con un sonoro impatto. Tornai alla macchina e attesi mio padre. Ci recammo in aeroporto e la tensione si attaccò saldamente ai miei nervi. Mio padre confabulò con mia madre qualcosa di incomprensibile.

    -Adesso vai in quel bagno, e mettiti questa crema addosso mettine tanta e non spalmarla.- mi diede in mano un flacone con la pubblicità di un dopo sole. Entrai nello stanzino ed eseguii gli ordini di mio padre. La crema era densa e puzzava di polvere da sparo. Capii. Avevano mescolato l’esplosivo triturato al liquido ma se l’avessi spalmato i metal detector l’avrebbero individuato. Mi rivestii mentre il liquido mi si appiccicava ai lembi della pelle. Uscii dallo stanzino e mi diressi dai miei genitori.

    -Brava figliola. Adesso tieni questo.- mi diede in mano un accendino.
    -Ti dirò io il momento in cui accendere.- sospirò duramente. Annuii flebile e mi accostai a mia madre che mi posò una mano sulla spalla portandomi alla reception per fare i biglietti. Dopo le solite e abituali azioni per prendere parte ad un volo fu il momento del metal detector. Vidi la tensione divorare mio padre pur quanto cercasse di rimanere tranquillo la tensione lo mangiava vivo e glielo si leggeva nelle iridi cioccolato. Dopo i signori davanti a noi fu il nostro turno. Sistemammo le cose di ferro nelle apposite vaschette. E passarono senza problemi e senza interruzioni. Poi fu il mio turno. La tensione mi mangiò le vene e i nervi mi si sfaldarono letteralmente. Passai sotto il macchinario che con mia estrema sorpresa non suonò. Rivolsi un sorriso sollevato allo Stuart di fianco al macchinario che rispose con un sorriso anch’egli. Mi fu poggiato sulla schiena uno zaino che conteneva ancora esplosivo disciolto in creme varie. Pesava molto ma non come il macigno infondo al mio cuore. Il volo sarebbe stato fra quindici minuti. I miei ultimi quindici minuti di vita. Ci sedemmo tutti e tre su fredde sedioline di ferro mentre aerei da tutto il mondo andavano e venivano. Tastai la tasca dei miei pantaloni sentendo al tatto l’accendino, arma di una delle tante stragi di innocenti. Mio padre sprofondò nella sedia che emise uno stridio fastidioso.

    -Ti voglio bene piccola- pigolò mia madre al mio orecchio notando la mia tensione e la mia disperazione portata dignitosamente in silenzio.
    -Anche io madre- risposi con un lungo sospiro. Annunciarono il nostro volo per Miami, il boing era pronto. Pronto ma non del tutto. Mi alzai incamminandomi verso l’imbarco, schiacciata dal pesante zaino e dalla distruzione del mio dentro. Mi riflessi nella finestra mentre la hostess controllava biglietti e documenti. Rividi ancora quelle iridi grigie tristi. Mentre mi incamminavo all’aereo fissai ancora i miei occhi sussurrando –Addio Kahraa Adi-. Mi voltai indietro guardando i miei che mi salutavano. Loro non sarebbero venuti o sarebbero morti, mi avrebbero comunicato il momento tramite un passeggero complice che era amico di mio padre. Mi sistemai nel sedile allacciandomi la cintura. Guardai fuori mentre gli uomini dell’equipaggio si impegnavano a sistemare i bagagli nella stiva. Anche il complice sarebbe morto, ma a lui infondo della vita non importava nulla. Era vedovo avevo saputo e stanco di lavorare per se stesso. Così anche lui sarebbe finito quest’oggi. Passarono veloci i momenti del decollo e la tensione era palpabile con un tocco. Sospirai pesantemente chiudendo gli occhi e lasciando che le mie ciglia solleticassero la pelle sotto di esse. Dopo circa un’ora che ero in quello stato di trance un tocco sfiorò la mia spalla. Mi voltai e vidi un uomo dal volto sconosciuto. Mi si avvicinò al volto.

    -E’ il momento.- disse, solo allora compresi. Era lui l’ospite ed era giunto il momento che mi facessi saltare in aria. La tensione mi spappolò il cervello mentre lacrime calde scendevano lente sul volto. Presi l’accendino in mano, stringendolo con forza nonostante le dita non rispondessero ai miei comandi. Con voce rotta dal pianto pronunciai

    -Mi dispiace per tutti voi, farò ciò che dovrò fare per il bene di Allah- altre lacrime invasero il mio volto e si depositarono fra le griglie del burqa, la gente impaurita guardava ogni mio gesto con terrore. Partì un fuocherello dall’accendino.

    -Addio Kahraa Adi- pigolai flebilmente prima di adagiare la fiamma sul fulcro del mio corpo, la zona più riempita d’esplosivo. Strinsi gli occhi. La fine era palpabile e vicina. Riuscii a pronunciare un grido di dolore prima che tutto finì. Avevo distrutto vite umane, distrutto famiglie,donne,uomini,bambini. Avevo distrutto le famiglie delle vittime portandogli nel loro dentro un dolore indescrivibile. Avevo distrutto case, edifici, palazzi,parchi. E fu così che mi ritrovarono, carbonizzata dall’esplosione mentre l’ultimo sospiro di vita aveva abbandonato il corpo di donna. Mentre i miei trenta grammi d’anima venivano affidati ad Allah. Adesso avevo donato onore alla mia famiglia.

    Edited by •Yoshi - 25/6/2010, 10:09
     
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  2. Littlepoint.
     
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    Mi è piaciuta tanto. Hai un modo di scrivere che prende molto, è riflessivo, mesto, ma allo stesso tempo accattivante. Non avevo mai letto niente di tuo, complimenti, hai un ottimo stile per la tua età, sul serio.

    La tematica è particolare... essendo in one shot pensavo fosse sui tokio hotel, in realtà andrebbe nella sezione "parole in libertà", ma penso che qualcuno provvederà a spostarla nel caso ^^ Comunque dicevo, tematica particolare. Hai citato anche l'infibulazione... hai citato una serie di cose che mi fanno pensare che tu ti sia documentata abbastanza su questo discorso, e questo è ottimo. Triste il personaggio della ragazza, carico di un'arrendevolezza emotiva disarmante.

    Che dire? Se ti capitasse di partecipare ad un concorso di scrittura creativa, ti suggerirei di proporre un testo come questo, se non esattamente questo. Sei molto talentuosa.

    xxx
    simo
     
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  3. •Yoshi
     
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    *piange* *prende fazzoletto* Simo *w* grazie mille!!! Si infatti ero indecisa su dove postarla... adesso chiedo alla Kate, grazie millle davvero. Sì mi sono documentata in classe e fuori da scuola, una tematica poco affrontata e molto triste purtroppo. Ti ringrazio di tutti i complimenti^^

    Kiss
     
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  4. Littlepoint.
     
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    Ci mancherebbe, sono tutti pienamente meritati! Spero che la legga qualcun altro u.u



    xxx
    simo
     
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3 replies since 20/6/2010, 18:05   116 views
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